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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
NOVEMBRE 2004
 

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AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA

ISPEZIONI IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA

MA ALLORA SERVE VINCERE AL T.A.R.?
UN PICCOLO AIUTO ALLE IMPRESE

ISPEZIONI IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA
La circolare ministeriale 24/2004 ne limita l’applicabilità ai crediti retributivi

Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno

avvocato.ioelelorenzo@tin.it


La riforma della regolamentazione delle ispezioni in materia di lavoro e di previdenza sociale e specificatamente la «diffida accertativa per crediti patrimoniali», sulla quale mi sono già intrattenuto in un precedente numero, merita qualche altra riflessione sia per la sua innegabile novità e rilevanza, sia perché è stata emanata la circolare del Ministero del Lavoro 24 giugno 2004, n.24 (in Guida al lavoro 2004, 27, 19 e segg.). Giova rammentare che, nell'ambito dell'attività di vigilanza, il personale ispettivo della Direzione provinciale del lavoro ha il potere di effettuare accertamenti in merito alle «inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro». Effettuato l'accertamento, l'ispettore può notificare al datore di lavoro un atto di "diffida" con il quale gli intima di corrispondere al lavoratore gli importi risultanti dagli accertamenti. Tale atto di diffida può acquistare valore di «accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo» mediante «provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro» se il datore di lavoro, nel termine di trenta giorni dalla notifica della diffida, non promuove il tentativo di conciliazione oppure se, presentata tempestivamente l'istanza, la transazione non viene conclusa. Contro la diffida dichiarata esecutiva è possibile il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro composto dal direttore della Direzione regionale del lavoro, dai direttori regionali dell'INPS e INAIL nonché da due rappresentanti sindacali, uno per i datori di lavoro e uno per i lavoratori. Tale ricorso sospende l'efficacia esecutiva della diffida sino alla decisione del Comitato. Decorsi, peraltro, novanta giorni dalla presentazione del ricorso, lo stesso deve intendersi rigettato (silenzio - rigetto), sicchè il lavoratore - che durante il procedimento è rimasto inerte - può avvalersi del titolo esecutivo, formato a suo favore dall'Amministrazione, notificando precetto e pignoramento. Nel mio precedente intervento evidenziavo numerose perplessità in ordine alla legittimità costituzionale di un siffatto procedimento, che non garantisce il diritto di difesa nella fase accertativa, attribuisce alla diffida la stessa efficacia di una sentenza senza le garanzie giurisdizionali, non prevede una forma di tutela giurisdizionale avverso la diffida accertativa e soprattutto contro la sua forza esecutiva. Si tratta di un'eccezione rispetto al sistema che, in caso di ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, prevede la possibilità di chiedere la sospensione dell'esecuzione persino della sentenza di appello che è frutto di un'approfondita cognizione, se non altro perché si tratta del secondo grado di giurisdizione ed è pronunziata da un Giudice collegiale dopo una sentenza del Giudice monocratico. Si tratta di norme di carattere generale che, oltretutto, trovano conferma anche in particolari procedimenti volti al recupero dei crediti della Pubblica Amministrazione per sanzioni amministrative, tributi e contributi previdenziali la cui normativa regolamenta la fase giurisdizionale nonchè la possibilità e le condizioni per ottenere la sospensione dell'esecuzione (vedi articolo 22, L. 689/1991; art. 24, D.Lgs. 46/1999). Sconcer-ta, dunque, la nuova disciplina che si esporrà a censure di costituzionalità anche perché essa non è pienamente rispondente alla delega prevista dall'art. 8 della L. 30/2003. La circolare ministeriale citata limita l'applicabilità del particolare procedimento ai "crediti retributivi", la cui nozione è evidentemente meno ampia di quella di "crediti patrimoniali". Non tutti i crediti patrimoniali, hanno, infatti, natura retributiva. Probabilmente la lettura ministeriale è volta a porre riparo alla scelta del maldestro legislatore (che ha mutuato parte dell'art.2 del d.l. 9 ottobre 1989, n. 338 conv. in l. 7 dicembre 1989, n.389, riguardante crediti contributivi) creando una giustificazione razionale all'abnorme procedimento nella tutela costituzionale del diritto alla retribuzione del lavoratore subordinato. A prescindere dai dubbi di legittimità costituzionale occorre, peraltro, individuare una forma di tutela per il datore di lavoro che non possa o non voglia conciliare la rivendicazione insita nella diffida perché convinto di avere correttamente operato. Il meccanismo non può che essere l'azione di accertamento negativo da esperire allorchè si è formato il silenzio rigetto del Comitato regionale per i rapporti di lavoro. Un'azione che vede il datore di lavoro nella veste di attore in senso formale ma convenuto in senso sostanziale sicchè l'onere della prova continua a seguire le regole generali dettate dall'art. 2697 c.c.. In ambito giudiziario la valenza degli accertamenti ispettivi è stata ampiamente esplorata e i risultati sono consolidati nel senso che solo per i fatti direttamente percepiti dal verbalizzante sussiste la piena prova fino a querela di falso, mentre sono privi di identico valore i fatti appresi da terzi, salvo conferma in occasione della prova per testi da acquisire in giudizio con le relative garanzie (giuramento e contraddittorio), e non hanno alcun valore le valutazioni o qualificazioni elaborate dagli ispettori rispetto alle quali - e ci mancherebbe altro - permane la piena autonomia di giudizio del Giudice. Rispetto a tale elaborazione giurisprudenziale appare ambigua la formulazione dettata dall'art.10, comma 5, del D.Lgs. 124/2004 secondo cui verbali di accertamento ispettivo «sono fonte di prova ai sensi della normativa vigente relativamente agli elementi di fatto acquisiti». La lettura di tale formulazione, veramente infelice, va necessariamente interpretata nel senso innanzi esposto e ricostruito dalla Giurisprudenza, per non aggiungere altra perplessità sulla costituzionalità della norma. Sicuramente la diffida accertativa, dopo il provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro acquista valore di accertamento tecnico. In buona sostanza il Giudice può evitare di avvalersi di una consulenza tecnica di ufficio nel corso del giudizio utilizzando le risultanze tecniche dell'accertamento ispettivo (ad esempio contabili). Questa funzione della diffida accertativa mi sembra condivisibile e conducente alla concentrazione, rapidità ed economicità del processo. Essa non lede l'interesse alla difesa del datore di lavoro nei limiti in cui permane la necessità di provare in giudizio i fatti presupposti, e in ogni caso la norma - come interpretata dallo stesso Ministero nella citata circolare - non esclude la possibilità di contestare, motivatamente sotto il profilo tecnico, il contenuto dell'accertamento cosicché sarà, poi, il Giudice a stabilire l'ammissibilità e rilevanza di una consulenza tecnica di ufficio in base all'andamento del processo. Resta il problema della sospensione dell'esecuzione: una soluzione appare l'utilizzo della procedura regolamentata dall'art. 700 c.p.c., per la quale occorrerà dimostrare il fumus boni iuris, e cioè la parvenza del buon diritto, e il pregiudizio imminente e irreparabile che potrà essere individuato nell'entità del presunto credito in relazione alla capacità patrimoniale del datore di lavoro e - perché no - anche nell'impossidenza del lavoratore ove non garantisca possibilità di recupero delle somme indebitamente pagate soprattutto in caso di rapporto di lavoro cessato, nel qual caso non sono possibili recuperi mediante trattenute sulla retribuzione e sul TFR.

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