SRL O SPA?
AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA
ISPEZIONI
IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA
MA ALLORA
SERVE VINCERE AL T.A.R.?
UN PICCOLO AIUTO ALLE IMPRESE
ISPEZIONI IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA
La circolare ministeriale 24/2004
ne limita l’applicabilità ai crediti retributivi
Lorenzo
Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
La riforma della regolamentazione delle ispezioni in materia di lavoro
e di previdenza sociale e specificatamente la «diffida accertativa
per crediti patrimoniali», sulla quale mi sono già intrattenuto
in un precedente numero, merita qualche altra riflessione sia per
la sua innegabile novità e rilevanza, sia perché è stata
emanata la circolare del Ministero del Lavoro 24 giugno 2004, n.24
(in Guida al lavoro 2004, 27, 19 e segg.). Giova rammentare che, nell'ambito
dell'attività di vigilanza, il personale ispettivo della Direzione
provinciale del lavoro ha il potere di effettuare accertamenti in
merito alle «inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono
crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro». Effettuato
l'accertamento, l'ispettore può notificare al datore di lavoro un
atto di "diffida" con il quale gli intima di corrispondere al
lavoratore gli importi risultanti dagli accertamenti. Tale atto di
diffida può acquistare valore di «accertamento tecnico con
efficacia di titolo esecutivo» mediante «provvedimento del
direttore della Direzione provinciale del lavoro» se il datore di
lavoro, nel termine di trenta giorni dalla notifica della diffida, non
promuove il tentativo di conciliazione oppure se, presentata tempestivamente
l'istanza, la transazione non viene conclusa. Contro la diffida dichiarata
esecutiva è possibile
il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro composto
dal direttore della Direzione regionale del lavoro, dai direttori regionali
dell'INPS e INAIL nonché da due rappresentanti sindacali, uno per
i datori di lavoro e uno per i lavoratori. Tale ricorso sospende
l'efficacia esecutiva della diffida sino alla decisione del Comitato. Decorsi,
peraltro, novanta giorni dalla presentazione del ricorso, lo stesso deve
intendersi rigettato (silenzio - rigetto), sicchè il lavoratore
- che durante il procedimento è rimasto inerte - può avvalersi
del titolo esecutivo, formato a suo favore dall'Amministrazione, notificando
precetto e pignoramento. Nel mio precedente intervento evidenziavo numerose
perplessità in
ordine alla legittimità costituzionale di un siffatto procedimento,
che non garantisce il diritto di difesa nella fase accertativa, attribuisce
alla diffida la stessa efficacia di una sentenza senza le garanzie
giurisdizionali, non prevede una forma di tutela giurisdizionale avverso
la diffida accertativa e soprattutto contro la sua forza esecutiva. Si
tratta di un'eccezione rispetto al sistema che, in caso di ricorso alla
Suprema Corte di Cassazione, prevede la possibilità di chiedere
la sospensione dell'esecuzione persino della sentenza di appello che è frutto
di un'approfondita cognizione, se non altro perché si tratta del
secondo grado di giurisdizione ed è pronunziata da un Giudice collegiale
dopo una sentenza del Giudice monocratico. Si tratta di norme di carattere
generale che, oltretutto, trovano conferma anche in particolari procedimenti
volti al recupero dei crediti della Pubblica Amministrazione per sanzioni
amministrative, tributi e contributi previdenziali la cui normativa regolamenta
la fase giurisdizionale nonchè la possibilità e le condizioni
per ottenere la sospensione dell'esecuzione (vedi articolo 22, L. 689/1991;
art. 24, D.Lgs. 46/1999). Sconcer-ta, dunque, la nuova disciplina che si
esporrà a censure
di costituzionalità anche perché essa non è pienamente
rispondente alla delega prevista dall'art. 8 della L. 30/2003. La
circolare ministeriale citata limita l'applicabilità del particolare
procedimento ai "crediti retributivi", la cui nozione è evidentemente
meno ampia di quella di "crediti patrimoniali". Non tutti i crediti
patrimoniali, hanno, infatti, natura retributiva. Probabilmente la
lettura ministeriale è volta a porre riparo alla scelta del maldestro
legislatore (che ha mutuato parte dell'art.2 del d.l. 9 ottobre 1989, n.
338 conv. in l. 7 dicembre 1989, n.389, riguardante crediti contributivi)
creando una giustificazione razionale all'abnorme procedimento nella tutela
costituzionale del diritto alla retribuzione del lavoratore subordinato.
A prescindere dai dubbi di legittimità costituzionale occorre, peraltro,
individuare una forma di tutela per il datore di lavoro che non possa o
non voglia conciliare la rivendicazione insita nella diffida perché convinto
di avere correttamente operato. Il meccanismo non può che essere
l'azione di accertamento negativo da esperire allorchè si è formato
il silenzio rigetto del Comitato regionale per i rapporti di lavoro.
Un'azione che vede il datore di lavoro nella veste di attore in senso formale
ma convenuto in senso sostanziale sicchè l'onere della prova continua
a seguire le regole generali dettate dall'art. 2697 c.c.. In ambito
giudiziario la valenza degli accertamenti ispettivi è stata ampiamente
esplorata e i risultati sono consolidati nel senso che solo per i fatti
direttamente percepiti dal verbalizzante sussiste la piena prova fino a
querela di falso, mentre sono privi di identico valore i fatti appresi
da terzi, salvo conferma in occasione della prova per testi da acquisire
in giudizio con le relative garanzie (giuramento e contraddittorio), e
non hanno alcun valore le valutazioni o qualificazioni elaborate dagli
ispettori rispetto alle quali - e ci mancherebbe altro - permane la piena
autonomia di giudizio del Giudice. Rispetto a tale elaborazione giurisprudenziale
appare ambigua la formulazione dettata dall'art.10, comma 5, del D.Lgs.
124/2004 secondo cui verbali di accertamento ispettivo «sono fonte
di prova ai sensi della normativa vigente relativamente agli elementi di
fatto acquisiti». La lettura di tale formulazione,
veramente infelice, va necessariamente interpretata nel senso innanzi
esposto e ricostruito dalla Giurisprudenza, per non aggiungere altra perplessità sulla
costituzionalità della norma. Sicuramente la diffida accertativa,
dopo il provvedimento del direttore della Direzione provinciale del
lavoro acquista valore di accertamento tecnico. In buona sostanza il Giudice
può evitare
di avvalersi di una consulenza tecnica di ufficio nel corso del giudizio
utilizzando le risultanze tecniche dell'accertamento ispettivo (ad
esempio contabili). Questa funzione della diffida accertativa mi sembra
condivisibile e conducente alla concentrazione, rapidità ed economicità del
processo. Essa non lede l'interesse alla difesa del datore di lavoro
nei limiti in cui permane la necessità di provare in giudizio i
fatti presupposti, e in ogni caso la norma - come interpretata dallo stesso
Ministero nella citata circolare - non esclude la possibilità di
contestare, motivatamente sotto il profilo tecnico, il contenuto dell'accertamento
cosicché sarà, poi, il Giudice a stabilire l'ammissibilità e
rilevanza di una consulenza tecnica di ufficio in base all'andamento
del processo. Resta il problema della sospensione dell'esecuzione: una
soluzione appare l'utilizzo della procedura regolamentata dall'art. 700
c.p.c., per la quale occorrerà dimostrare il fumus boni iuris, e
cioè la
parvenza del buon diritto, e il pregiudizio imminente e irreparabile
che potrà essere individuato nell'entità del presunto credito
in relazione alla capacità patrimoniale del datore di lavoro e -
perché no - anche nell'impossidenza del lavoratore ove non garantisca
possibilità di recupero delle somme indebitamente pagate soprattutto
in caso di rapporto di lavoro cessato, nel qual caso non sono possibili
recuperi mediante trattenute sulla retribuzione e sul TFR.
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