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L’UNIVERSITÀ DEL DOPO RIFORMA
IL CORAGGIO DELLA RIPARTENZA
SOSTENERE L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
TUTELA DELL’IDEA E DEL PATRIMONIO AZIENDALE
L’UNIVERSITÀ DEL DOPO RIFORMA
IL CORAGGIO DELLA RIPARTENZA
Nuovi servizi on line dell’Ateneo salernitano
Pasquale Persico
Direttore Dipartimento Scienze Economiche e Statistiche
Università degli Studi di Salerno
ppersico@unisa.it
Per una persona come l'amico Raimondo Pasquino, Rettore dell'Università di Salerno, che lavora 14 ore al giorno e che da dieci anni è impegnato intensamente nell'attività di implementazione del prestigio e della funzionalità del suo Ateneo, la parola ripartenza potrebbe suonare come un tentativo di sminuire i suoi meriti. In realtà, ogni responsabilità comporta il rischio di dover costatare che alcune decisioni finiscono per rivelarsi dannose solo dopo molti anni. L'impegno profuso nel portare a compimento il programma edilizio ha fatto salire nella graduatoria delle Università quella di Salerno che oggi dispone di infrastrutture competitive. Lo stesso discorso vale per i servizi ai docenti e agli studenti. Questo mio articolo, però, tratta dell'Università di Salerno come Ateneo della formazione, ben sapendo che quest'ultima, attualmente, è fortemente sganciata dalla ricerca. Due concetti sono utili al discorso: lo studente equivalente 1 e quello equivalente 2. Il concetto di studente equivalente è molto semplice, lo studente equivalente è chi studia e va avanti con gli esami (studente equivalente 1 del vecchio ordinamento) o va avanti con i crediti (studente equivalente 2 del nuovo ordinamento). Uno studente che ha un rapporto tra esami superati ed esami previsti uguale a 1 è uno studente modello che vive in una università efficace. Se questo rapporto scende - ad esempio a 0,50 - avremo che lo studente impiegherà il doppio del tempo per laurearsi ed entrare nel mercato del lavoro. Quello che è accaduto a Salerno è anche quello che si è verificato in molte Università italiane, a riprova che il peggioramento dell'efficacia della didattica, in applicazione della riforma, ha finito per trascinare i rettori in un vicolo cieco ma con responsabilità da attribuire più al Senato che agli stessi Rettori. Ma veniamo alle considerazioni sui dati. È possibile affermare che tutte le facoltà hanno peggiorato i risultati rispetto al concetto di studente equivalente. Ancora oggi il vecchio sistema di formazione risulta di gran lunga più efficace del nuovo. Faccio alcuni esempi. Per la facoltà di economia, il maggiore serbatoio per le imprese, con il vecchio ordinamento lo studente medio impiegava in media 8 anni per una laurea completa; in base ai dati disponibili il tempo è diventato di 9 anni medi ma per la laurea breve. Anche ingegneria ha subito questa tendenza nonostante avesse avviato per tempo l'applicazione della riforma anche in fase sperimentale: 10 anni nel vecchio ordinamento per la laurea di 5 anni e più di 9 anni per quella triennale. I dati per le altre facoltà sono addirittura peggiori. A mio giudizio ci sarebbe bisogno di un terremoto sostanziale che difficilmente può avvenire in tempi di rinnovo di mandato. Eppure un cambiamento è necessario se non vogliamo che Salerno diventi sempre più una Università esamificio senza finalità di efficacia e di efficienza. In definitiva, la mia critica riguarda le facoltà ma la responsabilità politica è del Senato che non ha aperto discussioni di programma su come creare il nuovo nell'Università di Salerno, e il Rettore, pur non avendo oggettive responsabilità su questi temi, finirà per essere travolto dalla palese inefficacia dell'offerta didattica oggi in campo. Certo le altre Università non stanno meglio, e in vista di un dibattito forte su queste tematiche, è bene che il Rettore si faccia promotore di un programma innovativo per rimuovere il pericolo. Il nuovo programma dovrà essere una ripartenza forte, non un semplice programma adattivo, occorre un riequilibrio dei poteri decisionali a vantaggio dei dipartimenti che devono diventare ispiratori dei programmi di base e specialistici, dovrà essere la ricerca di base e quella specialistica a definire il lemmario delle cose da insegnare per dare le capacità e le competenze innovative. C'è coraggio sufficiente per fare questo? Anche le altre istituzioni dovranno fare la loro parte provocando un dibattito serio sul ruolo dell'Università senza accontentarsi di miopi tentativi di portarla sul territorio allargato. L'Università è la struttura dello sviluppo necessaria al territorio. Più di una strada o di un'autostrada. Per equità fornisco le informazioni per le altre facoltà, ripetendo che il mio è un allarme per una ripartenza senza se e senza ma. Facoltà di Farmacia: tempo medio di laurea 10 per il vecchio ordinamento per laurea di 5, e ancora 10 per il nuovo con laurea di 3 anni. Facoltà di Giurisprudenza: 10 anni per il vecchio ordinamento per laurea di 4 anni e ancora 10 per la laurea triennale. Facoltà di Lettere: 8 anni per la vecchia laurea di 4 e 10 per la nuova di 3 anni. Simili sono i dati per Lingue e Scienze della Formazione. Per la facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali: dai 10 anni di media per la laurea del vecchio ordinamento si passa ai 9 per la triennale del nuovo ordinamento. Più grave appare la situazione per Scienze Politiche che passa dai 10 anni per la laurea quadriennale agli oltre 10 per quella triennale. Il coraggio della ripartenza va riferito a tutta l'Università che prendendo spunto dai risultati, anche parziali, in suo possesso, senza fidarsi delle manipolazioni ministeriali o di quelli di Bologna, cerca un percorso nuovo anche in discontinuità con quanto viene propinato come nuova riforma. L'insoddisfazione dei giovani, che pur questi dati segnalano, dovrebbe stimolare i professori a rivedere le modalità di ingresso per fare incontrare le esigenze degli studenti con le aspettative potenziali e non con il brutale riscontro che la riforma dei corsi di laurea sia ispirata da numeri legati agli interessi del corpo accademico. Tornare indietro per una ripartenza significa riconsiderare il ruolo delle lauree specialistiche per tenerle più vicine ai temi della ricerca e dei dottorati, ridare ai dipartimenti un potere di progettazione e di responsabilità, e restituire alle facoltà un ruolo di orientamento più generale a partire dalle lauree di base. L'Università di Salerno deve finalmente apparire anche come Ateneo della ricerca, di base e applicata, competitiva e in rete internazionale. Solo la possibilità esplicita data agli studenti della laurea specialistica di poter accedere anche al mondo della ricerca internazionale può rinsaldare l'idea che finalmente l'Università svolge il suo ruolo, allarga le potenzialità del territorio, attrae capitale umano, diventa infrastruttura di città per lo sviluppo locale e territoriale. Naturalmente tutto questo non potrà essere fatto dal Rettore, da solo; egli può chiamare nuovamente in campo le potenzialità interne ed esterne all'Università per offrire loro una nuova linea strategica da perseguire per trovare risorse e istituzioni in grado di potenziare questo nuovo processo. Gli altri Atenei, quelli più antichi, a cominciare da Bologna stanno facendo anche peggio, presentando nel manifesto di studi una batteria di master di primo e secondo livello, che finiscono per essere la reale misura che l'Università non vuole più assolvere il suo ruolo fondamentale. Per fortuna l'Ateneo di Salerno non ha preso ancora questa direzione, sarebbe opportuno chiarire fin da ora che si dovrà creare un'interfaccia operativa con le struttura specializzate in master per dialogare con quelle che possono essere accreditate rispetto al progetto formativo complessivo. La ripartenza di Pasquino deve essere fondata sulla speranza che l'incompleto esistente sia di base per una flessibilità progettuale finalmente coraggiosa, che non ha paura di formare laureati e ricercatori per il mercato internazionale, e quindi capace di attrarre imprese in cerca di capitale umano specifico, da catturare in uscita dal laboratorio di formazione e ricerca della nostra Università.
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