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  Dicembre 2012

Articoli - n° 2 Marzo 2004
 



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IL RECESSO DEL SOCIO NELLA SPA
PRIME CONSIDERAZIONI PRATICHE

LAVORI ATIPICI DELLA SALUTE
LE NUOVE FUNZIONI NEL NUOVO MERCATO DEL LAVORO

IL NUOVO CONDONO EDIIZIO
INCERTEZZE E POLEMICHE

IL RECESSO DEL SOCIO NELLA SPA
PRIME CONSIDERAZIONI PRATICHE
Pragmatismo e visione del futuro per una delicata scelta statutaria

di Gennaro Stellato
Avvocato civilista

studiostellato@tiscalinet.it

Si è più volte evidenziata l'importanza, nell'ambito della riforma del diritto societario, di una serie di istituti realmente innovativi che possono, a ragione, considerarsi fondamentali nella costruzione del nuovo impianto statutario il cui termine di concreta applicazione è stato fissato a settembre 2004. Il recesso del socio è indubbiamente quello che, insieme all'esclusione, suscita tuttora interesse e discussioni. Basti pensare soltanto che, senza ombra di dubbio, esso è stato allargato in misura rilevante e, addirittura per quanto concerne le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ulteriormente ampliato anche rispetto a quelle ipotesi inderogabili e non previste dal codice. In sostanza, va precisato che la riforma ha allargato la gamma di situazioni in cui è consentito il recesso dalla società da parte di soci non consenzienti, vale a dire assenti o dissenzienti o astenuti, e questo può avvenire in tutto in parte delle proprie azioni. Naturalmente il principio ispiratore è sempre quello di consentire al socio, laddove si creino mutamenti profondi e sostanziali sia nella struttura sia nell'attività societaria, di poter abbandonare la società: la differenza sostanziale è costituita, come si diceva, dall'allargamento del ventaglio di ipotesi. Preliminarmente va chiarito che le ipotesi di riferimento in ordine alle cause di recesso, sulla base dell'art.2437 c.c. sono divisibili in tre fattispecie: 1) cause di recesso inderogabili che la legge prevede come tali e che non possono non essere inserite nello statuto; 2) cause di recesso derogabili il cui inserimento nello statuto è lasciato alla volontà dell'assemblea; 3) cause di recesso formulabili ex novo anche se applicabili limitatamente, come si è già detto, solo alle società chiuse.
Tutte le situazioni e ipotesi che si andranno a illustrare sono comunque riferibili a un principio fondamentale: la nuova disciplina della spa tende a porre al centro della stessa "l'azione" e non, come invece accade nella srl, il socio: ne consegue quindi che è consentito anche il recesso parziale affinché il socio, in presenza delle condizioni previste dalla legge, voglia continuare a rimanere socio pur riducendo la propria percentuale di rischio derivante dalla partecipazione. Va ricordato, poi, sia pure incidentalmente, che particolarmente importante appare l'analisi relativa alla durata della società in quanto, nel caso in cui una società sia a tempo indeterminato, il socio ha la facoltà di recedere sempre o, al massimo quando lo preveda lo statuto, entro un anno. Andiamo, quindi, ad esaminare le ipotesi precedentemente indicate sia pure per categorie generali. Si diceva dunque delle ipotesi di recesso inderogabili quelle cioè che è impossibile evitare e che, anche se non inserite concretamente nei nuovi statuti, devono in ogni caso ritenersi parte integrante degli stessi. L'art. 2437 c.c. le individua in: 1) cambiamento dell'oggetto sociale. Questo però non deve essere considerato in termini formali ma sostanziali, nel senso che dovrebbe portare realmente ad una fondamentale inversione dell'attività della società; 2) trasformazione della società; 3) trasferimento della sede sociale all'estero; 4) la revoca dello stato di liquidazione; 5) eliminazione di una o più cause di recesso derogabili dallo statuto o previste dallo statuto; 6) la modificazione dei criteri di determinazione del valore della quota di liquidazione nell'ipotesi di esercizio del diritto di recesso; 7) la modificazione di clausole riguardanti i diritti di voto o di partecipazione.
In sintesi, come è facilmente ricavabile dalla predetta elencazione, trattasi di ipotesi di due tipi: quelle che riguardano prevalentemente la società e non il socio e quelle che si riferiscono invece ai diritti propri del socio e quindi allo stesso diritto di recesso o di voto o partecipazione. Ovviamente va ribadito che il codice prevede espressamente la nullità dei patti che possano contribuire a rendere più difficile o addirittura escludano l'esercizio del diritto di recesso. Le cause di recesso derogabili, vale a dire quelle valide soltanto se non è previsto diversamente dallo statuto, sono: 1) la proroga del termine di durata della società; 2) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, di clausole quindi di gradimento o prelazione.
Ad integrazione di quanto già detto va precisato ulteriormente che l'elencazione precedente non si deve comunque intendere esaustiva di tutte le ipotesi attesa la molteplicità di operazioni riconducibili alle fattispecie astratte. Sarebbe sufficiente ricordare, quale esempio, il caso di cessione di ramo d'azienda particolarmente rilevante oppure l'assunzione di partecipazioni in altre imprese che possano comportare come conseguenza una delle situazioni già prospettate. Sarà la prossima giurisprudenza ad approfondire la tematica in questione ampliando o riducendo o semplicemente chiarendo quelle ipotesi che oggi possono ancora apparire nebulose. Per quanto attiene all'esercizio concreto del diritto di recesso va operata una distinzione preliminare. Nell'ipotesi in cui la causa di recesso derivi da una delibera che comporti una modifica dello statuto il socio avrà facoltà di esercitare il proprio diritto entro quindici giorni dalla iscrizione della delibera nel Registro delle imprese. Se, al contrario, la causa scatenante è individuabile in un fatto diverso, il termine è di trenta giorni e decorre dal momento in cui il socio è venuto a conoscenza della predetta circostanza. Va ulteriormente precisato che nel caso in cui la società modifichi la delibera de quo ripristinando lo status quo ante entro il termine di novanta giorni il recesso ha valore retroattivo nel momento in cui la partecipazione sia stata liquidata. Tale problematica costituisce indubbiamente l'aspetto più delicato e importante della questione. La liquidazione è di competenza dell'organo amministrativo, sentito il parere dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione. Essa deve tener conto della consistenza patrimoniale della società, delle sue prospettive reddituali (e tale indicazione deve essere interpretata nel senso che le risultanze della contabilità non sono vincolanti) e, infine, dell'eventuale valore di mercato delle azioni. Tali criteri sono indicativi in quanto lo statuto può anche individuare altri criteri anche se la normativa detta comunque delle precise condizioni. L'art. 2437 ter c.c. stabilisce che, in tal caso, vanno enumerati gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché agli altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenersi in considerazione. Il socio può ovviamente contestare la liquidazione e la controversia sarà rimessa ad un esperto nominato dal tribunale. Infine, per il rimborso, lo stesso può avvenire o mediante acquisto da parte degli altri soci o, in caso negativo, da parte di terzi. Nel caso in cui tale soluzione non fosse praticabile si procede al rimborso da parte della società con somme prelevate da riserve disponibili o riducendo il capitale con tutte le conseguenze, per quanto attiene all'ultima ipotesi, previste dalla norma. In conclusione va ribadito che l'istituto del recesso, per la sua importanza e delicatezza, va nell'ottica di adeguamento degli statuti, attentamente approfondito e costruito per l'esigenza della singola società in relazione a tutti gli elementi di valutazione indicati in questa sede.

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