LA
SANITA' IN CAMPANIA
LA REGIONE NON SA DECIDERE
Auspicabile la creazione di un polo sanitario
pubblico-privato di alto livello
di
Ottavio Coriglioni
Presidente Gruppo Sanità - Assindustria Salerno
Vicepresidente del Raggruppamento Regionale della Sanità di Confindustria
Campania
ocoriglioni@clinica-salus.it
Le Regioni hanno di recente trovato un accordo per la ripartizione del
Fondo sanitario Nazionale per il 2004. Mentre da un lato questo sembra
dimostrare che il federalismo cosiddetto solidale si fa strada nel nostro
Paese, dall'altro lo stesso cade in un momento particolarmente delicato
per la Sanità. La sottostima ormai cronica del Fondo si aggiunge
ai costi dei contratti del personale. Da poco, infatti, si è concluso
il nuovo contratto per i dipendenti pubblici e si profila il rinnovo
per le convenzioni di medicina generale, specialistica e per la dirigenza.
Per nessuna delle Regioni italiane sarà facile affrontare una
simile realtà, se non a fronte di notevoli sacrifici. Ciò che
per le altre Regioni d'Italia è difficile, per la Campania diventa
impossibile. Nessun periodo storico è stato così buio per
la Sanità Campana come quello che oggi stiamo attraversando. Ad
una endemica difficoltà di indirizzo e coordinamento si aggiunge
un'irrazionale lotta di potere tra il Governatore Bassolino e l'onorevole
De Mita, e una incapacità a costruire dettata, forse, da reciproca
sfiducia tra gli uffici dell'Assessorato regionale alla sanità e
l'Assessorato stesso.
Dal luglio del 2003 ad oggi non vi è stato alcun atto regionale
di reale programmazione. Tutti quelli realizzati sono stati impugnati
innanzi alla Magistratura Amministrativa che, peraltro, si è mostrata
anche piuttosto benevola. Vi è da chiedersi che cosa si nasconda
dietro tanta approssimazione. Intendono cancellare l'impresa privata
dalla Sanità accreditata? Basta dirlo. Certo, sarebbe ben strano
che la Campania vada in controtendenza con il resto del Paese. In moltissime
Regioni italiane, cito ad esempio l'Emilia Romagna e la Liguria, sono
in corso di sperimentazione vari sistemi di compartecipazione alla gestione
di ospedali e/o a parte di essi. In tutte le Regioni, il principio dell'assistenza
garantita da strutture sia a capitale pubblico che privato è accettato
e condiviso.
Ed è in questo contesto di assoluta confusione Regionale, che
molte sono le associazioni di categoria che hanno manifestato, in modo
più o meno imponente, il loro disagio, e che si discute del nuovo
Piano Ospedaliero, il secondo. Bisogna preliminarmente tenere conto che
quest'ultimo, partendo dall'esistente, intende fare non si sa cosa.
Osserviamo, infatti, che la situazione cognitiva delle strutture erogatrici
di servizi sanitari non è, al momento, definita, in quanto il
percorso individuato dalla D.G.R.C. n.7301/01 (rinnovo autorizzazioni)
non solo non è stato completato, ma nemmeno avviato dalla maggior
parte delle ASL. Non si conosce con esattezza la reale consistenza delle
strutture sanitarie, sia pubbliche che private. Tutte le deduzioni riportate
nel Piano sono, quindi, incomplete e rischiano di condurre a soluzioni
errate. Molto grave il punto 4.3. A mio avviso, nel 2004 non è possibile
garantire la sopravvivenza di strutture, con conseguente sperpero di
denaro pubblico, prescindendo dalla reale efficienza e qualità,
ma considerando solo la tipologia del territorio. Come se non bastasse
per l'accreditamento delle strutture a capitale privato occorre, così come
testualmente indicato, «che le stesse presuppongano l'utilizzo
completo e funzionale delle strutture pubbliche». Insomma, oltre
a gestire le nostre, dobbiamo anche rendere funzionali quelle pubbliche? É necessario
che le associazioni di categoria compiano uno sforzo per far comprendere
al cittadino che è con i suoi soldi che si giocano queste partite.
Si deve avere coscienza che la spesa sanitaria è si fondamentale,
ma ciò non autorizza lo sperpero di danaro pubblico realizzato
in nome di una fantomatica efficienza. Questo è provato anche
dalle scelte programmatiche per i ricoveri fuori regione; mentre ogni
Regione afflitta da tale migrazione cerca di rafforzare la gamma delle
prestazioni offerte (vedi ASL 3 di Genova), la Campania scrive che «sembra
opportuno negoziare con le regioni limitrofe accordi basati sull'erogazione
di alcune prestazioni per acuti a tariffe concordate». Siamo terra
di conquista sanitaria. Anche su questo argomento, come su quello finanziario,
categorie della sanità "pubblica" e "privata",
dovrebbero, attraverso l'unità d'intenti, affermare principi condivisi,
che, alla luce dei fatti, appaiono lesi. Dovremmo creare il presupposto
per una forza con cui sostenere una risposta univoca. Non ritengo che
nella nostra Regione vi sia una sanità di serie B rispetto al
resto del Paese, sono, anzi, convinto che i centri di buon livello possano
rappresentare un volano per tutti gli altri se, finalmente, l'interlocutore
politico sarà in grado di dare regole certe. Ma l'interlocutore
politico esiste? Qualcuno è in grado di riconoscerlo? Eppure sarebbe
così affascinante creare nella nostra Regione un polo sanitario
di alto livello, "pubblico" e "privato", finalizzato
alla promozione di tutte quelle iniziative sanitarie e sociali di cui
oggi si avverte assoluta carenza. Potremmo misurare le capacità di
attrazione e, quindi, il livello delle prestazioni in base a risultati
sanitari, unità di servizio, costi, distribuzione demografica
degli utenti, accessibilità e qualità percepita, con l'obiettivo
primario di garantire a tutta la popolazione insistente su quel territorio
la disponibilità e la qualità dell'assistenza. Gli esempi
di quanto accaduto nelle altre Regioni sono molto chiari. In Lombardia,
grazie agli accordi pubblico privato, i tempi di attesa per un intervento
di protesi d'anca sono passati da 480 giorni (del '97) in struttura pubblica,
a 170 (nel 2003), e nel privato da 120 giorni a 50; in Emilia Romagna,
per interventi di cardiochirurgia, dai 30 ai 10, in strutture private
dai 20 agli 11. Se esaminiamo i principali indicatori della sanità campana
rapportati a quelli nazionali ci accorgiamo che, fatti salvi pochi spostamenti,
siamo in linea con gli indici nazionali. Unico dato che veramente si
discosta è quello delle tariffe regionali, tra le più basse
d'Italia; infatti, sui DRG di riferimento verifichiamo, comparandoli
con le principali Regioni, che i nostri sono inferiori di circa il 18,6%.
Questo è un altro motivo che dovrebbe vedere unite tutte le sigle
della sanità pubblica e privata per migliorare l'assistenza.
Purtroppo, sul Mattino del 16 febbraio 2004 dobbiamo anche leggere della
corsa alle promozioni; sarebbero stati nominati al Policlinico federiciano
196 primari oltre ad un esercito di dirigenti per gestire microdivisioni.
Torniamo dunque alle risorse finanziarie che mancano. Il fondo regionale
di cui parlavamo all'inizio sarà quest'anno di 14.000 miliardi
del vecchio conio; una cifra mai raggiunta.
Ma è sufficiente? Certamente no. Viene, dunque, il sospetto che
si voglia creare confusione nel mondo della sanità con il pretesto
degli arretrati, dei buchi degli anni precedenti. Se fossero in condizione,
come sono, di pagare il corrente, il problema sarebbe minimo, ma volutamente
non si paga né l'uno né l'altro per poter gestire nella
confusione.
Il settore privato diviene così un paragone scomodo, considerato
tale non dai sanitari del pubblico, che sarebbero ben felici di misurarsi
o addirittura collaborare, ma dai politici, che temono di perdere il
potere del decido tutto io.
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