IL NUOVO PIANO
REGOLATORE DI SALERNO
OPPORTUNITÀ IRRINUNCIABILE PER TUTTI
È necessaria una joint venture tra
imprenditoria e amministrazione
di
Antonio Lombardi
Presidente Associazione Costruttori Salernitani
info@costruttori.sa.it
Il piano regolatore rappresenta, sostanzialmente, la chiave di volta
economica, oltre che urbanistica, di un territorio. Non può essere
adottato senza profonde riflessioni sul suo disegno e sulla sua normativa.
Nel caso di Salerno è necessario analizzare con meticolosità un
dato, per noi importante: cosa accade all'indomani dell'adozione
del piano.
Ed ecco i tre scenari possibili:
- Dal voto positivo in consiglio comunale si aprirebbe una procedura
di approvazione, in sede regionale per la ratifica del documento urbanistico,
che provocherebbe una "vacatio" di almeno tre anni fino alla
definizione dell'iter. Questi sono i tempi necessari e congruenti con
l'attuale normativa urbanistica.
- L'ingresso delle norme di salvaguardia, giustificabili quale concetto
di preservazione di standard urbanistici adeguati, potrebbe trasformarsi
in una sorta di paralisi complessiva delle dinamiche di sviluppo territoriali.
- A questi due elementi va aggiunto un terzo fattore: la perequazione.
Sulla quale ci soffermeremo successivamente.
In ciascuna ipotesi si allungano i tempi operativi rispetto alle
necessità di intervento sul territorio, rivelandosi addirittura
un ostacolo insormontabile per quelle scelte urbanistiche ed economiche
sancite dal Prg. In urbanistica, il quadro normativo nazionale si avvale
di un contributo di legge risalente al 1942. L'unica innovazione è data
dall'introduzione della oramai famosa legge Bucalossi, datata 1977.
Aspettiamo dalla Regione Campania una nuova legge che detti tempi e
regole certe ma soprattutto snelle, veloci, sburocratizzate e adeguate
a un mercato in evoluzione con il quale il Prg deve comunque confrontarsi.
Il piano deve essere uno strumento omnicomprensivo, di lunga durata,
attraverso il quale vengono definite una volta per tutte le destinazioni
e le regole che devono presiedere ai processi di trasformazione urbana,
discusso e condiviso da tutti. La norma perequativa è elemento
innovativo, ma non ha riflesso pratico. Non solo nella normativa regionale,
ma neanche quale forma di sperimentazione in altre aree meridionali
a noi paragonabili. Ci sono delle esperienze al nord: studiamole ed
applichiamole su casi campione per verificarne l'efficacia prima di
estendere questo principio a tutta la città. Si tratta, dunque,
di contribuire alla definizione e all'utilizzo della norma perequativa,
delimitarne gli ambiti, verificarne l'applicabilità e usarla
quale elemento fondante di questo piano regolatore. La struttura stessa
del nuovo strumento urbanistico è stata concepita come assemblaggio
di una serie di elementi portanti, di ambiti tematici e livelli operativi,
sinergici e volti a garantire flessibilità nell'assegnazione
di competenze e responsabilità. Noi siamo favorevoli alle cosiddette "anticipazioni
di progetto", perché temiamo che i tempi procedurali appena
elencati possano diventare un ostacolo alla realizzazione infrastrutturale
intesa come dotazione strategica per il territorio. Certe opere vanno
iniziate ora, parallelamente alla discussione sul Prg, in modo da trovarle
al punto di lancio con la definitiva approvazione del piano che consentirebbe
di proseguire sulla stessa scia tracciata. L'alternativa è il
fermo totale non solo dell'urbanistica cittadina, ma addirittura dell'intera
economia territoriale. Con tale strumento si è dato seguito ad
interventi quali la Lungoirno, il Polo informatico e tecnologico, la
Cittadella Giudiziaria. Si potrà discutere sulla idoneità o
sulla necessità politica di tali opere, ma senza queste varianti
non si sarebbe prodotto nulla. E nulla si produrrà se il Prg
dovesse bloccare ogni nuova procedura. L'aspetto che ci riguarda più da
vicino è la forma di compartecipazione ai destini di questo piano
regolatore. Per sostenere e costruire una competitività del ruolo
della pianificazione urbanistica, il "piano strategico" di
una città deve assumere un modello di programmazione aziendale,
con un numero di obiettivi considerati strategici, realistici in quanto
condivisi dalle forze produttive e sociali della città, raggiungibili
in un certo numero di anni e di cui vengono messe a punto tutte le condizioni
di fattibilità amministrativa, Finanziaria e tecnica. Consideriamo
alcuni passi del documento urbanistico di Roma, che per certi versi è analogo,
nello spirito attuativo, allo strumento adottato a Milano. Due realtà amministrative
che hanno guida politica diversa. Ma che trovano un comune denominatore
nella attuabilità di un piano regolatore. «Un complesso
di politiche urbane molto finalizzato, la cui attuazione è demandata
al controllo di organismi misti (comune-operatori) delegati ad introdurre
anche tutti gli elementi di adeguamento necessari utilizzando quegli "spazi
di flessibilità delle decisioni" tipico della conduzione
aziendale - è precisato nella relazione introduttiva al Prg di
Roma. Il piano strategico dunque non è un piano urbanistico: è un
piano di strategia economica della città al cui interno le condizioni
urbanistiche della città (infrastrutturazione, come aeroporti,
stazioni, grandi collegamenti; offerta di suoli; grandi progetti, e
così via) giocano un ruolo rilevante». Quindi, a Roma come
a Milano, il valore di un progetto urbanistico strategico è «nella
grande comunicazione che esso induce sul futuro della città,
nel fatto che tale futuro sia condiviso e concordato fra soggetti pubblici
e privati». È necessario, dunque, l'intervento degli imprenditori
nelle dinamiche di sviluppo di un territorio e di un comune, attraverso
un meccanismo di joint venture che garantisca la giusta attrazione dei
capitali privati con una necessaria ricaduta pubblica. Questo passaggio "tecnico-politico",
tratto dal documento romano, è secondo noi di notevole interesse. «L'amministrazione
ha il compito di stimolare ed indirizzare lo sviluppo e le iniziative
degli operatori privati e questo può avvenire attraverso molteplici
azioni, oppure con nuove regole ed incentivi alla trasformazione minuta
e alla riqualificazione diffusa che offrono alla struttura delle piccole
e medie imprese un grande campo d'azione, oppure con nuove regole per
la demolizione e ricostruzione che stimolino e facilitino la rilocalizzazione
o la nuova localizzazione di una molteplicità di aziende o, ancora,
attraverso un dimensionamento del piano basato sul criterio delle stanze
equivalenti di cui una quota definita "flessibile". Tutto
ciò può essere in gran parte definito da uno strumento
come il nuovo piano urbanistico che giustifica una serie di grandi e
piccoli progetti orientandoli ad una strategia condivisa». Siamo
di fronte allo stesso criterio che Oriol Bohigas ha introdotto nel suo
documento urbanistico. «Indipendentemente dal fatto che l'amministrazione
debba continuare a promuovere progetti urbani settoriali - scrive Bohigas
- ora si apre una nuova fase che dovrà vedere la partecipazione
attiva delle varie componenti della comunità salernitana compresi
i privati con la pluralità propria dei loro ruoli. Questo processo
potrà avere inizio con operatori privati eventualmente interessati
a partecipare al processo di sviluppo della città, che potranno
presentare progetti urbani nelle aree nelle quali vogliono operare».
Chiediamo alla politica, di poter consentire all'imprenditoria salernitana
l'attivazione di questi meccanismi d'intervento. Questo, sino ad ora,
non è avvenuto, o quantomeno non nelle forme che potevamo ipotizzare
ed anche sperare. Ma è altrettanto vero che una nuova fase di
discussione si è aperta proprio in questi giorni e noi siamo
pronti a coglierla. |