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  Dicembre 2012

Articoli - n° 2 Marzo 2004
 



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IL NUOVO CONDONO EDIIZIO
INCERTEZZE E POLEMICHE

IL NUOVO CONDONO EDILIZIO
INCERTEZZE E POLEMICHE
Indispensabile l’intervento della Corte Costituzionale per fare chiarezza

di Luigi d'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it

Indispensabile l'intervento della Corte Costituzionale per fare chiarezza. Grande interesse ha suscitato la nuova legge sul condono edilizio, specie nelle Regioni dove il fenomeno dell'abusivismo edilizio è più presente e tra queste, purtroppo, la Regione Campania. La struttura complessiva è rimasta quasi inalterata rispetto ai due precedenti condoni del 1985 e, soprattutto, del 1994. E infatti, il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato in G.U. 2 ottobre 2003, n. 229), successivamente convertito, semplicemente riapre i termini dell'ultimo condono e stabilisce all'art. 32 che «al fine di pervenire alla regolarizzazione del settore, è consentito, in conseguenza del condono, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti, non conformi alla disciplina vigente», purchè ultimate entro il 31 marzo 2003. I limiti alla sanatoria sono decisamente amplii, a dimostrazione che le esangui finanze dello Stato si aspettano molto dal condono edilizio, nonostante che nel preventivo dibattito sull'ipotesi di legge - svolto molto di più sui giornali che non nelle Aule Parlamentari - si era ipotizzato solo un condono per lievi abusi.
E infatti, possono essere sanate, con domanda da presentare entro il 31 marzo 2004, opere abusive di notevole impatto che comportano un ampliamento del manufatto non superiore al 30% della volumetria assentita o, in alternativa, non superiore a 750 mc. (e ciò indipendentemente dalla destinazione d'uso del fabbricato) oppure comportano una nuova costruzione non superiore a 750 mc. per ogni singola richiesta (anche se ciò vale solo per le abitazioni). Le esclusioni dalla sanatoria sono quelle già tipizzate in passato. E, infatti, non sono suscettibili di sanatoria le opere eseguite da proprietario condannato con sentenza definitiva per i gravi delitti di cui all'art. 416 bis, 648 ter c.p.c., esclusione già introdotta anche per la sanatoria, a seguito della modifica introdotta con l'art. 2, comma trentasettesimo, della legge n. 662/1996. Inoltre, non sono sanabili le opere per le quali non sia possibile effettuare interventi per l'adeguamento antisismico oppure per le quali non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell'area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, ed infine gli abusi realizzati su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali a tutela di interessi storici, idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima dell'esecuzione di dette opere. Resiste ancora l'istituto del silenzio assenso sulla domanda di condono, quanto mai opportuno. Tale accelerazione del procedimento - essenziale, vista anche la precedente esperienza di alcuni Comuni che, ad oggi, non hanno ancora risolto le pratiche di condono del 1985! - può verificarsi, però, solo se presenti alcune condizioni, più rigide che in passato. Deve, in fatti, essersi provveduto, entro il 30 settembre 2004, al pagamento di tutte le rate per l'oblazione ed alla presentazione di tutti i prescritti allegati di cui all'art. 32, comma trentacinquesimo, del d.l. n. 269/2003. Inoltre, la legge richiede che si forma il silenzio se è stata presentata la denuncia in catasto, la denuncia I.C.I. e, addirittura, le denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (o Tariffa) e ai fini della tassa per l'occupazione del suolo pubblico. Ma le questioni sul tappeto non sono solo squisitamente tecniche, e non c'è solo lo scontro tra ambientalisti, da un lato, e coloro che pragmaticamente intendono regolarizzare il patrimonio edilizio esistente "facendo cassa". Il condono edilizio, infatti, è la prima occasione di confronto fra Regioni e Stato dopo la riforma "federalista" approvata con legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V, che ha implicitamente inserito edilizia ed urbanistica fra le competenze legislative "esclusive" delle Regioni a statuto ordinario, conservando allo Stato la competenza concorrente, cioè a dettare i "principi fondamentali", solo in tema di "governo del territorio". Così lo Stato può disciplinare il condono edilizio per le implicazioni di carattere penale e civile dell'istituto, per l'incidenza di esso sul "governo del territorio", per un'esigenza di "armonia" del sistema giuridico su tutto il territorio nazionale, ma tale interpretazione è fortemente criticata da alcune Regioni.
Esse sostengono che il condono coinvolge anche abusi molto modesti, che non hanno risvolti penali o civili, e che non toccano le linee fondamentali del governo del territorio, per cui lo Stato avrebbe invaso competenze che appartengono alle Regioni. Queste considerazioni sono, ad esempio, analiticamente esposte nel ricorso che la Regione Campania ha inoltrato alla Corte Costituzionale e trovano conferma in un'Ordinanza del T.A.R. Emilia Romagna, Sezione Parma, la n. 27 del 22 novembre 2003 che ha sollevato - primo Tribunale in Italia - la questione di costituzionalità della nuova legge sul Condono Edilizio su questi punti. La Regione Campania lamenta poi anche che lo Stato non ha neppure tentato la via della "intesa" con le Regioni. É anche vero che il nuovo condono fa rinvio alle "normative regionali", ove si afferma che sono "fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio" (contenute nei commi secondo e terzo dell'art. 32 cit.), ma ciò non convince le Regioni più riottose. In queste condizioni il verdetto della Corte Costituzionale sui ricorsi presentati dalle Regioni Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Campania è quanto mai incerto, perché è il primo, serio banco di prova della Riforma Federalista dello Stato approvata nel 2001. Pesa, quindi, sulle prospettive del condono edilizio, l'incognita di tale conflitto, certamente dovuto anche allo scontro politico in atto nel Paese e non solo a questioni di mero principio.
In passato, il condono lo hanno voluto un po' tutti e, al di là delle posizioni di facciata, tale atteggiamento ha favorito l'applicazione delle sanatorie del 1985 e del 1994, con una forte ricaduta sia sul piano finanziario che su quello del mercato degli immobili.
Oggi, invece, la contrapposizione giornaliera in ogni questione, figlia anche del riformato sistema elettorale, non favorisce il colloquio e disorienta fortemente il cittadino.
Forse la soluzione più saggia è quella che sembra emergere in Regioni come il Veneto, che ha accettato il condono - sia pure con correttivi - e ha disegnato un sistema che afferma le competenze regionali ma non travolge le aspettative finanziarie dello Stato.
Purtroppo, però, la posta in gioco è soprattutto politica, perché l'eventuale fallimento del condono può assumere un considerevole rilievo in vista delle elezioni per il Parlamento Europeo di giugno 2004, per cui non bisogna attendersi soluzioni razionali e ponderate ma, ahinoi, solo occasioni di polemica.
Mancano poche settimane alla scadenza del termine per le domande di condono, fissata al 31 marzo 2004, e dunque non può che attendersi una decisione chiarificatrice della Corte Costituzionale che elimini ogni possibile incertezza.

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