APERTURA A
EST E SANA POLITICA ECONOMICA
IL MEZZOGIORNO GIOCHI A “ZONA”
La parola a tre protagonisti degli Stati Generali
dell’Economia Salernitana
a cura della Redazione Costozero
I punti nevralgici della crescita economica del salernitano sono
sicuramente legati allo sviluppo infrastrutturale e alla necessità di
portare avanti una politica che pensi a come legare formazione e
territorio, evitando la fuga dei cervelli che caratterizza da sempre
il Mezzogiorno d'Italia. Questi alcuni dei contenuti emersi nel corso
del lungo dibattito tenutosi il 20 febbraio scorso in occasione del
convegno “Una
Provincia di Qualità” presso la sede di Assindustria Salerno.
Sui temi della crescita del Mezzogiorno, della possibilità di
creare zone economiche speciali, dell'allargamento dell'Unione Europea
a est e del federalismo abbiamo raccolto le impressioni di Antonio
Marzano, Victor Uckmar e Massimo Lo Cicero. Marzano ricopre dal maggio
del 2001 il ruolo di Ministro delle Attività Produttive nell'esecutivo
Berlusconi. Uckmar è un insigne fiscalista, docente di Diritto
Tributario presso l'Università di Genova. Lo Cicero insegna Economia
dello Sviluppo presso "La Sapienza" di Roma.
Antonio
Marzano
Ministro delle Attività Produttive
ufficio.stampa@minindustria.it
Quale ruolo per il Mezzogiorno nell'ampio contesto europeo?
La questione meridionale si pone oggi in maniera diversa rispetto al
passato. I problemi del Mezzogiorno non possono essere affrontati
se non nel contesto della globalizzazione, che fondamentalmente
significa caduta degli steccati protettivi delle economie nazionali.
Inoltre, vanno tenuti in conto i progressi della telematica che consentono
di realizzare in tempo reale molte operazioni economiche. La tecnologia
ha permesso inoltre di abbattere il costo dei trasporti e quindi
le barriere spaziali e la distanza tra i mercati e i prodotti.
Globalizzazione e progresso tecnologico portano le nostre imprese
a misurarsi sul terreno della competitività. Sulla scena economica
sono apparsi, poi, nuovi paesi competitori. Per cui fatto cento il
commercio mondiale è chiaro
che le quote di mercato dei singoli paesi si ridimensionano, soprattutto
con l'avvento della Cina. È avendo ben presente questo contesto
che è possibile costruire efficaci politiche economiche.
L'economia italiana può strutturalmente e virtualmente ottenere
un tasso di sviluppo del 3%. Il nostro ciclo economico è fortemente
correlato a quello dei paesi dell'Unione europea e risente quindi
oggi della particolare congiuntura internazionale. Il tasso di
crescita del Pil è stato
pari allo 0,4%, in linea con la media europea. L'Italia è quindi
legata nel bene e nel male al destino dell'Europa. Il Governo ritiene
che l'Italia abbia attraversato un periodo di convalescenza negli
ultimi mesi. Stiamo superando questa fase di incertezza e ci avviamo
alla ripresa. Tuttavia, nonostante le numerose difficoltà,
si sono registrati dei risultati eccezionali per l'occupazione
e per la natalità delle
imprese. Il tasso di disoccupazione nel 2003 è sceso all'8,5%
sul territorio nazionale, un fatto senza precedenti. La crescita
dell'occupazione determinerà un aumento della domanda di
beni di consumo. Nel 2003 l'Italia ha contato oltre 390mila nuove
imprese con un ritmo che ha visto il Mezzogiorno trainare verso
l'alto la media nazionale (2,5% contro 1,5% del Nord).
Permangono,
tuttavia, evidenti problemi strutturali e sociali.
Quale spinta
istituzionale il Governo assicura al Paese?
Per individuare le opportunità del prossimo futuro bisogna
prefigurare gli scenari. Il primo è l'Europa di domani,
che potrà rispondere
alle speranze dei cittadini se svolgerà i compiti attribuiti meglio
di quanto avrebbero potuto fare i governi nazionali e locali. In molti
campi infatti la politica economica e industriale è di competenza
esclusiva europea, basti pensare alla politica della concorrenza. Il
secondo sfondo è rappresentato dalle opportunità che un
mercato così vasto può dare a un sistema imprenditoriale
come quello del Sud. Bisogna lavorare affinché il meridione si
rafforzi evitando il rischio di divenire la periferia dell'Europa. Il
terzo scenario riguarda il fronte interno. Innanzitutto garantire la
stabilità di governo per realizzare i necessari interventi strutturali.
Per la prima volta abbiamo un governo di legislatura che vuole compiere
le opportune riforme. Gran parte di queste sono già state attuate,
sul fronte fiscale l'Ires è al 33%, si sono determinate le riforma
della scuola, del diritto societario, del mercato del lavoro, per citarne
alcune.
di Vito Salerno
VICTOR
UCKMAR
Docente Diritto Tributario Università di
Genova
studioge@uckmar.com
È possibile
istituire zone economiche speciali al Sud? Quali i rischi e i vantaggi?
Io credo che sia un esperimento più che fattibile. Nel merito
ho un'esperienza estremamente positiva all'estero. Ho cominciato a occuparmi
di zone di sviluppo di impresa nel 1976 in Cina con le famose 3 zone
costiere, poi in Russia a Vibor, in Perù a Pisco, in Uruguay a
Montevideo. Il mio grande rammarico è che in Italia non siamo
riusciti a farle partire. Non è stata avviata, ad esempio, la
zona franca di Genova di cui sono presidente. Lo stesso dicasi per Napoli,
Trieste e Venezia. La loro mancata realizzazione è stata dovuta
non solo alla pigrizia dei nostri imprenditori ma anche al fatto che
le zone franche ormai sono in parte un concetto superato. Oggi, infatti, è più corretto
parlare di zone di impresa. Le prime, infatti, hanno ceduto il passo
poichè caratterizzate esclusivamente da vantaggi di carattere
doganale a questo punto fortemente ridotti per effetto dell'Unione Europea.
Per questa ragione, diventa opportuno puntare e investire sulle zone
di sviluppo imprenditoriale. L'Irlanda incarna un esempio perfetto da
seguire. Mi sono occupato di questo Paese fin da quando gli aerei per
fare la traversata atlantica facevano scalo a Shannon. Lì si è passati
in breve tempo dalla piccola zona franca alla zona di impresa che ha
coperto l'intero paese. L'estate scorsa quando mi sono interessato, per
conto della Regione, nonché del Comune di Napoli e del Governo,
all'iniziativa messa in piedi per portare a Napoli la finale della Coppa
America, ero partito con la prospettiva di rendere zona d'impresa tutta
la area di Bagnoli. Ho trovato, però, diversi ostacoli e resistenze
in quanto si riteneva, da più parti, che tale operazione avrebbe
determinato una concorrenza non gradita, senza considerare che le zone
di impresa hanno la caratteristica di partire con lo sviluppo di un'area
in particolare ma poi sono capaci di irradiarne gli effetti benefici
a tutto il territorio circostante. Nel mondo sono circa 1000 i casi già realizzati,
ciascuno con proprie caratteristiche distintive. Di questi più di
100 sono attivi negli Stati Uniti, a riprova del fatto che anche in un
Paese che ha avuto un notevole sviluppo industriale e commerciale le
zone franche sono possibili.
20 febbraio 2004: Stati Generali dell’Economia Salernitana
In che modo si costruisce una zona di impresa? Esiste un percorso ideale?
Innanzitutto occorre creare un'agenzia mista pubblico-privato forte,
che assorba i contrasti. Essa deve essere ben strutturata e adoperarsi
per promuovere concretamente lo sviluppo, determinando le aree, le
strutture, i servizi. Inoltre a questa va il compito di fare formazione,
e, soprattutto pubblicità e marketing a supporto delle attività.
Per quanto concerne la possibilità di dar vita nella provincia
di Salerno ad una iniziativa simile, ritengo che di fondamentale importanza
sia ragionare sull'asse Sud-Nord, nonché sul bacino del Mediterraneo.
Salerno mi sembra in una posizione determinante, strategica. Ci saranno
da superare degli ostacoli comunitari. Siamo arrivati tardi, purtroppo.
Gli altri Paesi, dal Belgio al Galles fino alla stessa Irlanda, hanno
approfittato di tempi in cui c'era maggiore libertà di costituire
zone di impresa. Oggi ci sono restrizioni notevoli, data anche la severità del
commissariato a ciò preposto. Si potrebbero creare attività a
grosso valore aggiunto, dove è premiata la tecnologia moderna,
più avanzata, anche nella logistica. La città di Salerno
potrebbe essere una valida base per distri- buire i prodotti da consumo
dell'America latina in Europa.
Cosa si aspetta dal prossimo ampliamento della
Comunità Europea?
Crede che aiuterà la ripresa?
L'allargamento a est mi preoccupa non poco. Innanzitutto mi impensierisce,
a livello politico, il come avverrà l'integrazione fra i Paesi.
E poi si tratta di territori che ancora necessitano di aiuti e quindi
temo che, nonostante le assicurazioni, ci saranno delle difficoltà ingenti
da superare. D'altra parte credo che se ci interessa davvero del futuro
del Mediterraneo, si deve procedere a interventi per limitare le emigrazioni
sull'Italia. Dobbiamo lavorare affinchè il Marocco, la Tunisia,
la Libia diventino una sponda importante nello sviluppo dei traffici
con l'Africa e con il Medioriente. Se pensiamo di combattere le immigrazioni
con le pattuglie della guardia di finanza o della marina militare non
risolviamo il problema.
di Raffaella Venerando
Massimo
Lo Cicero
docente di Economia dello Sviluppo Università “La Sapienza”
maloci@tin.it
Crede che il federalismo possa rappresentare una
opportunità per
il Sud?
In genere il federalismo si usa per unire le diversità. Storicamente
appartiene a popoli e nazioni che decidono di fondersi per dare vita
a un solo stato. In Italia, invece, lo si usa impropriamente come sinonimo
di divisione. Questa è veramente una stravaganza. L'unica cosa
che potrebbe rappresentare per l'Italia il federalismo è il decentramento
amministrativo. I vantaggi da una scelta come questa si possono trarre,
a patto che non si allontanino dalla capitale solo i problemi senza fornire
poi gli strumenti per risolverli. Bisogna decentrare il potere unitamente
alla capacità di imporre e decidere le tasse. Altrimenti non si
risolve niente, si demandano solo le responsabilità.
Molti sondaggi recenti ripropongono con insistenza
un dato: due italiani su tre ritengono inappropriata la politica economica
del governo, lei è d'accordo?
Il problema dei sondaggi, come dei grandi romanzi, è che bisogna
pure saperli interpretare. Se il 66% degli italiani reputa la politica
economica del governo inappropriata è perché constata la
mancata risoluzione dei problemi, e pensa subito al malgoverno. In realtà,
se alcuni bisogni restano insoddisfatti, se perdurano nel tempo le difficoltà,
la colpa non è di una politica economica inadeguata, ma di una
strategia assolutamente inesistente. Tale amara constatazione ri-guarda
certamente il Mez-zogiorno, il riordino del sistema bancario e le grandi
infrastrutture. Tre tematiche per cui il governo Berlusconi non fa assolutamente
nulla. Se ne parla molto, è vero, ma tutto sommato non si realizza
granché. Nel suo intervento lei ha parlato di una crescita fisiologica
per il Meridione… "Fisiologico" è un aggettivo
poco utilizzato per quanto concerne l'economia. In realtà volevo
sottolineare l'errore in cui cadono quanti sostengono che il sud d'Italia
sia in un periodo di crescita. Qui si spende molto ma si avanza davvero
poco. Dire che il Sud, negli ultimi due o tre anni, è cresciuto
più del Nord è una cosa ridicola. È tutta l'Italia
a essere ferma, pochissimi punti percentuali di differenza sul Pil non
sono una grande conquista. Dobbiamo evitare di gonfiare inutilmente i
conti. L’aumento della spesa pubblica è stato spesso scambiato
per un fattore positivo, in questo caso non è così. I meridionali
vedono accresciuta la loro capacità di spesa, ma la nostra economia
produce poco. I soldi dei nostri consumatori, quindi, vengono spesi per
comprare prodotti che provengono da altre parti del paese o del mondo.
Dunque la nostra crescita, messa in relazione solo alla spesa, resta
unicamente una pia illusione. Dobbiamo produrre di più, e per
ottenere questo risultato bisogna far sì che si investa in formazione
e infrastrutture. Il capitale umano al Sud c'è. I nostri ragazzi
studiano e poi sono costretti ad andar via per mettere a frutto quanto
appreso, arricchendo altri circuiti economici. A ciò va aggiunta
anche la necessità di un sistema finanziario funzionante che possa
dare maggiore tranquillità a chi investe.
Crede che l’allargamento ad Est dell'Unione Europea possa indebolire
ancora di più la nostra economia?
Non sappiamo come andrà a finire. Si pone un problema di politica
economica su scala europea. Al 90%, le decisioni economiche dell'Europa
riguardano fondi strutturali e politiche agricole. La Francia e la Germania
hanno bisogno di quest'ultime, l'Inghilterra spinge affinché i
fondi vengano destinati alle aeree depresse dei neo membri, per far sì che
cresca il loro potere d'acquisto e si rivolga ai prodotti britannici.
La co-occorrenza di questi due fattori lascerà che l'agricoltura
europea resti protetta, con grande vantaggio di tedeschi, francesi e
italiani del Nord, e i fondi strutturali in precedenza destinati al sud
vengano dirottati sui paesi dell'Est.
Come si fa a non restare schiacciati da questa congiuntura?
Siamo al discorso precedente. Il Sud deve rendersi capace di produrre
ciò che i paesi dell'allargamento avranno bisogno di comprare
con i fondi strutturali a loro destinati. Occorre, dunque, che il Mezzogiorno
diventi produttore e di conseguenza esportatore. I Paesi dell'Est dovranno
essere i nostri nuovi mercati di espansione. Un’opportunità da
cogliere sarà mettere a loro disposizione il nostro know how
in termini di conoscenze e competenze, contribuendo in modo attivo
al processo di sviluppo locale. In caso contrario, diventeremo un'area
fortemente depressa.
di Paolo Battista
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