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  Dicembre 2012

Articoli - n° 2 Marzo 2004
 



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APERTURA A EST E SANA POLITICA ECONOMICA
IL MEZZOGIORNO GIOCHI A “ZONA”

La parola a tre protagonisti degli Stati Generali dell’Economia Salernitana

a cura della Redazione Costozero


I punti nevralgici della crescita economica del salernitano sono sicuramente legati allo sviluppo infrastrutturale e alla necessità di portare avanti una politica che pensi a come legare formazione e territorio, evitando la fuga dei cervelli che caratterizza da sempre il Mezzogiorno d'Italia. Questi alcuni dei contenuti emersi nel corso del lungo dibattito tenutosi il 20 febbraio scorso in occasione del convegno “Una Provincia di Qualità” presso la sede di Assindustria Salerno. Sui temi della crescita del Mezzogiorno, della possibilità di creare zone economiche speciali, dell'allargamento dell'Unione Europea a est e del federalismo abbiamo raccolto le impressioni di Antonio Marzano, Victor Uckmar e Massimo Lo Cicero. Marzano ricopre dal maggio del 2001 il ruolo di Ministro delle Attività Produttive nell'esecutivo Berlusconi. Uckmar è un insigne fiscalista, docente di Diritto Tributario presso l'Università di Genova. Lo Cicero insegna Economia dello Sviluppo presso "La Sapienza" di Roma.

Antonio Marzano
Ministro delle Attività Produttive
ufficio.stampa@minindustria.it

Quale ruolo per il Mezzogiorno nell'ampio contesto europeo?
La questione meridionale si pone oggi in maniera diversa rispetto al passato. I problemi del Mezzogiorno non possono essere affrontati se non nel contesto della globalizzazione, che fondamentalmente significa caduta degli steccati protettivi delle economie nazionali. Inoltre, vanno tenuti in conto i progressi della telematica che consentono di realizzare in tempo reale molte operazioni economiche. La tecnologia ha permesso inoltre di abbattere il costo dei trasporti e quindi le barriere spaziali e la distanza tra i mercati e i prodotti. Globalizzazione e progresso tecnologico portano le nostre imprese a misurarsi sul terreno della competitività. Sulla scena economica sono apparsi, poi, nuovi paesi competitori. Per cui fatto cento il commercio mondiale è chiaro che le quote di mercato dei singoli paesi si ridimensionano, soprattutto con l'avvento della Cina. È avendo ben presente questo contesto che è possibile costruire efficaci politiche economiche. L'economia italiana può strutturalmente e virtualmente ottenere un tasso di sviluppo del 3%. Il nostro ciclo economico è fortemente correlato a quello dei paesi dell'Unione europea e risente quindi oggi della particolare congiuntura internazionale. Il tasso di crescita del Pil è stato pari allo 0,4%, in linea con la media europea. L'Italia è quindi legata nel bene e nel male al destino dell'Europa. Il Governo ritiene che l'Italia abbia attraversato un periodo di convalescenza negli ultimi mesi. Stiamo superando questa fase di incertezza e ci avviamo alla ripresa. Tuttavia, nonostante le numerose difficoltà, si sono registrati dei risultati eccezionali per l'occupazione e per la natalità delle imprese. Il tasso di disoccupazione nel 2003 è sceso all'8,5% sul territorio nazionale, un fatto senza precedenti. La crescita dell'occupazione determinerà un aumento della domanda di beni di consumo. Nel 2003 l'Italia ha contato oltre 390mila nuove imprese con un ritmo che ha visto il Mezzogiorno trainare verso l'alto la media nazionale (2,5% contro 1,5% del Nord).

Permangono, tuttavia, evidenti problemi strutturali e sociali.
Quale spinta istituzionale il Governo assicura al Paese?

Per individuare le opportunità del prossimo futuro bisogna prefigurare gli scenari. Il primo è l'Europa di domani, che potrà rispondere alle speranze dei cittadini se svolgerà i compiti attribuiti meglio di quanto avrebbero potuto fare i governi nazionali e locali. In molti campi infatti la politica economica e industriale è di competenza esclusiva europea, basti pensare alla politica della concorrenza. Il secondo sfondo è rappresentato dalle opportunità che un mercato così vasto può dare a un sistema imprenditoriale come quello del Sud. Bisogna lavorare affinché il meridione si rafforzi evitando il rischio di divenire la periferia dell'Europa. Il terzo scenario riguarda il fronte interno. Innanzitutto garantire la stabilità di governo per realizzare i necessari interventi strutturali. Per la prima volta abbiamo un governo di legislatura che vuole compiere le opportune riforme. Gran parte di queste sono già state attuate, sul fronte fiscale l'Ires è al 33%, si sono determinate le riforma della scuola, del diritto societario, del mercato del lavoro, per citarne alcune.

di Vito Salerno

VICTOR UCKMAR
Docente Diritto Tributario Università di Genova
studioge@uckmar.com


È possibile istituire zone economiche speciali al Sud? Quali i rischi e i vantaggi?
Io credo che sia un esperimento più che fattibile. Nel merito ho un'esperienza estremamente positiva all'estero. Ho cominciato a occuparmi di zone di sviluppo di impresa nel 1976 in Cina con le famose 3 zone costiere, poi in Russia a Vibor, in Perù a Pisco, in Uruguay a Montevideo. Il mio grande rammarico è che in Italia non siamo riusciti a farle partire. Non è stata avviata, ad esempio, la zona franca di Genova di cui sono presidente. Lo stesso dicasi per Napoli, Trieste e Venezia. La loro mancata realizzazione è stata dovuta non solo alla pigrizia dei nostri imprenditori ma anche al fatto che le zone franche ormai sono in parte un concetto superato. Oggi, infatti, è più corretto parlare di zone di impresa. Le prime, infatti, hanno ceduto il passo poichè caratterizzate esclusivamente da vantaggi di carattere doganale a questo punto fortemente ridotti per effetto dell'Unione Europea. Per questa ragione, diventa opportuno puntare e investire sulle zone di sviluppo imprenditoriale. L'Irlanda incarna un esempio perfetto da seguire. Mi sono occupato di questo Paese fin da quando gli aerei per fare la traversata atlantica facevano scalo a Shannon. Lì si è passati in breve tempo dalla piccola zona franca alla zona di impresa che ha coperto l'intero paese. L'estate scorsa quando mi sono interessato, per conto della Regione, nonché del Comune di Napoli e del Governo, all'iniziativa messa in piedi per portare a Napoli la finale della Coppa America, ero partito con la prospettiva di rendere zona d'impresa tutta la area di Bagnoli. Ho trovato, però, diversi ostacoli e resistenze in quanto si riteneva, da più parti, che tale operazione avrebbe determinato una concorrenza non gradita, senza considerare che le zone di impresa hanno la caratteristica di partire con lo sviluppo di un'area in particolare ma poi sono capaci di irradiarne gli effetti benefici a tutto il territorio circostante. Nel mondo sono circa 1000 i casi già realizzati, ciascuno con proprie caratteristiche distintive. Di questi più di 100 sono attivi negli Stati Uniti, a riprova del fatto che anche in un Paese che ha avuto un notevole sviluppo industriale e commerciale le zone franche sono possibili.


20 febbraio 2004: Stati Generali dell’Economia Salernitana

In che modo si costruisce una zona di impresa? Esiste un percorso ideale?
Innanzitutto occorre creare un'agenzia mista pubblico-privato forte, che assorba i contrasti. Essa deve essere ben strutturata e adoperarsi per promuovere concretamente lo sviluppo, determinando le aree, le strutture, i servizi. Inoltre a questa va il compito di fare formazione, e, soprattutto pubblicità e marketing a supporto delle attività. Per quanto concerne la possibilità di dar vita nella provincia di Salerno ad una iniziativa simile, ritengo che di fondamentale importanza sia ragionare sull'asse Sud-Nord, nonché sul bacino del Mediterraneo. Salerno mi sembra in una posizione determinante, strategica. Ci saranno da superare degli ostacoli comunitari. Siamo arrivati tardi, purtroppo. Gli altri Paesi, dal Belgio al Galles fino alla stessa Irlanda, hanno approfittato di tempi in cui c'era maggiore libertà di costituire zone di impresa. Oggi ci sono restrizioni notevoli, data anche la severità del commissariato a ciò preposto. Si potrebbero creare attività a grosso valore aggiunto, dove è premiata la tecnologia moderna, più avanzata, anche nella logistica. La città di Salerno potrebbe essere una valida base per distri- buire i prodotti da consumo dell'America latina in Europa.

Cosa si aspetta dal prossimo ampliamento della Comunità Europea? Crede che aiuterà la ripresa?
L'allargamento a est mi preoccupa non poco. Innanzitutto mi impensierisce, a livello politico, il come avverrà l'integrazione fra i Paesi. E poi si tratta di territori che ancora necessitano di aiuti e quindi temo che, nonostante le assicurazioni, ci saranno delle difficoltà ingenti da superare. D'altra parte credo che se ci interessa davvero del futuro del Mediterraneo, si deve procedere a interventi per limitare le emigrazioni sull'Italia. Dobbiamo lavorare affinchè il Marocco, la Tunisia, la Libia diventino una sponda importante nello sviluppo dei traffici con l'Africa e con il Medioriente. Se pensiamo di combattere le immigrazioni con le pattuglie della guardia di finanza o della marina militare non risolviamo il problema.

di Raffaella Venerando

 

Massimo Lo Cicero
docente di Economia dello Sviluppo Università “La Sapienza”

maloci@tin.it

Crede che il federalismo possa rappresentare una opportunità per il Sud?
In genere il federalismo si usa per unire le diversità. Storicamente appartiene a popoli e nazioni che decidono di fondersi per dare vita a un solo stato. In Italia, invece, lo si usa impropriamente come sinonimo di divisione. Questa è veramente una stravaganza. L'unica cosa che potrebbe rappresentare per l'Italia il federalismo è il decentramento amministrativo. I vantaggi da una scelta come questa si possono trarre, a patto che non si allontanino dalla capitale solo i problemi senza fornire poi gli strumenti per risolverli. Bisogna decentrare il potere unitamente alla capacità di imporre e decidere le tasse. Altrimenti non si risolve niente, si demandano solo le responsabilità.

Molti sondaggi recenti ripropongono con insistenza un dato: due italiani su tre ritengono inappropriata la politica economica del governo, lei è d'accordo?
Il problema dei sondaggi, come dei grandi romanzi, è che bisogna pure saperli interpretare. Se il 66% degli italiani reputa la politica economica del governo inappropriata è perché constata la mancata risoluzione dei problemi, e pensa subito al malgoverno. In realtà, se alcuni bisogni restano insoddisfatti, se perdurano nel tempo le difficoltà, la colpa non è di una politica economica inadeguata, ma di una strategia assolutamente inesistente. Tale amara constatazione ri-guarda certamente il Mez-zogiorno, il riordino del sistema bancario e le grandi infrastrutture. Tre tematiche per cui il governo Berlusconi non fa assolutamente nulla. Se ne parla molto, è vero, ma tutto sommato non si realizza granché. Nel suo intervento lei ha parlato di una crescita fisiologica per il Meridione… "Fisiologico" è un aggettivo poco utilizzato per quanto concerne l'economia. In realtà volevo sottolineare l'errore in cui cadono quanti sostengono che il sud d'Italia sia in un periodo di crescita. Qui si spende molto ma si avanza davvero poco. Dire che il Sud, negli ultimi due o tre anni, è cresciuto più del Nord è una cosa ridicola. È tutta l'Italia a essere ferma, pochissimi punti percentuali di differenza sul Pil non sono una grande conquista. Dobbiamo evitare di gonfiare inutilmente i conti. L’aumento della spesa pubblica è stato spesso scambiato per un fattore positivo, in questo caso non è così. I meridionali vedono accresciuta la loro capacità di spesa, ma la nostra economia produce poco. I soldi dei nostri consumatori, quindi, vengono spesi per comprare prodotti che provengono da altre parti del paese o del mondo. Dunque la nostra crescita, messa in relazione solo alla spesa, resta unicamente una pia illusione. Dobbiamo produrre di più, e per ottenere questo risultato bisogna far sì che si investa in formazione e infrastrutture. Il capitale umano al Sud c'è. I nostri ragazzi studiano e poi sono costretti ad andar via per mettere a frutto quanto appreso, arricchendo altri circuiti economici. A ciò va aggiunta anche la necessità di un sistema finanziario funzionante che possa dare maggiore tranquillità a chi investe.

Crede che l’allargamento ad Est dell'Unione Europea possa indebolire ancora di più la nostra economia?
Non sappiamo come andrà a finire. Si pone un problema di politica economica su scala europea. Al 90%, le decisioni economiche dell'Europa riguardano fondi strutturali e politiche agricole. La Francia e la Germania hanno bisogno di quest'ultime, l'Inghilterra spinge affinché i fondi vengano destinati alle aeree depresse dei neo membri, per far sì che cresca il loro potere d'acquisto e si rivolga ai prodotti britannici. La co-occorrenza di questi due fattori lascerà che l'agricoltura europea resti protetta, con grande vantaggio di tedeschi, francesi e italiani del Nord, e i fondi strutturali in precedenza destinati al sud vengano dirottati sui paesi dell'Est.

Come si fa a non restare schiacciati da questa congiuntura?
Siamo al discorso precedente. Il Sud deve rendersi capace di produrre ciò che i paesi dell'allargamento avranno bisogno di comprare con i fondi strutturali a loro destinati. Occorre, dunque, che il Mezzogiorno diventi produttore e di conseguenza esportatore. I Paesi dell'Est dovranno essere i nostri nuovi mercati di espansione. Un’opportunità da cogliere sarà mettere a loro disposizione il nostro know how in termini di conoscenze e competenze, contribuendo in modo attivo al processo di sviluppo locale. In caso contrario, diventeremo un'area fortemente depressa.

di Paolo Battista

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