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Articoli - n° 2 Marzo 2004
 



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INTERESSI E ROYALTIES
NUOVA DIRETTIVA EUROPEA
Parità di trattamento fiscale fra operazioni nazionali e transfrontaliere


Francesco Grammatico
Dottore Commercialista LL. M International Taxation
fgram@yahoo.com

L’attuazione della direttiva 3 giugno 2003, 2003/49/Ce comporterà l'eliminazione delle ritenute alla fonte sui pagamenti di interessi e canoni tra società consociate residenti in Stati membri diversi. La tassazione, infatti, avverrà esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario con conseguente eliminazione dei problemi connessi con il recupero delle imposte pagate all'estero.

La direttiva citata mira ad equiparare il trattamento fiscale applicabile ai pagamenti di interessi e canoni, intercorsi tra società residenti in diversi Stati membri dell'Unione, a quello applicabile alle medesime operazioni effettuate tra società del medesimo Stato membro. Viene prevista, pertanto, l'abolizione delle imposte, siano esse riscosse tramite ritenuta alla fonte che previo accertamento, sui pagamenti di interessi e di canoni nello Stato membro da cui provengono (cosiddetto "Stato della fonte") al fine di garantire, appunto, la parità di trattamento fiscale tra le operazioni nazionali e quelle transfrontaliere. Le soluzioni attualmente in vigore, infatti, basate sulle convenzioni bilaterali per evitare la doppia imposizione, non sempre riescono ad assicurare effetti soddisfacenti e, comunque, comportano adempimenti e formalità onerosi per le imprese interessate. Come è noto, infatti, i pagamenti di interessi e canoni (royalties) tra soggetti residenti in diversi Stati membri sono assoggettati a tassazione nello Stato del percettore (cosiddetto Stato della "residenza") secondo la propria legislazione. Tuttavia, anche lo "Stato della fonte" (da cui provengono i flussi) procede - di regola - a esercitare la propria potestà impositiva che si risolve, ordinariamente, nell'applicazione di una ritenuta alla fonte, trattenuta e versata dal soggetto (residente) che effettua il pagamento.
La misura di questa viene solitamente ridotta in virtù degli accordi bilaterali stipulati tra i vari Paesi per evitare le doppie imposizioni e le amministrazioni fiscali che consentono l'applicazione diretta, da parte del soggetto erogante, della più lieve ritenuta convenzionale, previo ottenimento - dal beneficiario del pagamento - della documentazione necessaria per attestare il proprio diritto a usufruire dell'applicazione delle previsioni convenzionali. Tale situazione comporta, in concreto, oltre ai descritti adempimenti burocratici, una tassazione del medesimo provento in entrambi gli Stati interessati con conseguente necessità, per lo Stato della "residenza", di predisporre nel proprio ordinamento idonei strumenti atti a consentire il recupero delle imposte pagate all'estero dall'impresa residente che si concreta, di solito, nella concessione di un credito da scomputare dall'imposta nazionale dovuta, la cui pratica applicazione risulta molto spesso tutt'altro che agevole. La direttiva prevede l'applicazione dell'esenzione per quanto riguarda i pagamenti effettuati tra società consociate di Stati membri diversi, nonché tra stabili organizzazioni di tali società, rinviando a un periodo successivo l'eventuale estensione dell'ambito di applicazione della direttiva anche ad altre società o imprese.

Le "società" cui si riferisce la direttiva devono essere fiscalmente residenti in uno degli Stati membri e devono essere assoggettate a una delle imposte specificamente individuate per ciascuno di essi. Per quanto riguarda l'Italia, la direttiva fa riferimento all'imposta sul reddito delle persone giuridiche e nell'allegato alla direttiva sono menzionate, appunto, le società di capitali e gli enti pubblici e privati che esercitano attività industriali e commerciali, con conseguente esclusione dell'applicabilità dei benefici alle società di persone il cui reddito, come è noto, è tassato, per trasparenza, in capo ai soci ed è soggetto all'Irpef. L'esenzione spetta a condizione che la società consociata, ovvero la stabile organizzazione, sia il beneficiario effettivo del pagamento.

L'art. 1, par. 4, della direttiva specifica le condizioni affinché la società sia considerata "beneficiario effettivo" di interessi o canoni, precisando che quest'ultima deve ricevere tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un altro soggetto. L'art.3 della stessa procede a fornire le definizioni di "società di uno Stato membro", "società consociata" e di "stabile organizzazione". Una società si considera "consociata" di una seconda società allorché la prima detiene una partecipazione diretta minima del 25% nel capitale della seconda; oppure la seconda società detiene una partecipazione diretta minima del 25% nel capitale della prima; oppure una terza società detiene una partecipazione diretta minima del 25% nel capitale sia della prima che della seconda. Si tratta di un'indicazione che sancisce la quota minima di partecipazione per potersi configurare il rapporto societario necessario all'applicazione delle previsioni contenute nella direttiva, fermo restando che gli Stati membri possono sostituire il criterio della partecipazione al capitale con quello rappresentato dalla detenzione di una quota minima dei diritti di voto.

Ai sensi dell'art.1, par. 10, inoltre, gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare la direttiva qualora le condizioni minime di collegamento tra le società che effettuano le operazioni "non abbiano persistito per un periodo ininterrotto di almeno due anni". È chiaro che l'eventuale utilizzo da parte degli Stati membri di tale facoltà, seppure dettata da (poco) comprensibili ragioni di cautela fiscale, rischierebbe di ridurre notevolmente i benefici ottenibili dai gruppi in sede di pianificazione fiscale internazionale delle proprie attività, dal momento che non si renderebbe applicabile l'esenzione ai rapporti che dovessero instaurarsi tra società consociate di nuova costituzione che siano state create, appunto, per ottimizzare, nel pieno rispetto della normativa, il carico fiscale complessivo delle operazioni intercompany. Sempre in merito all'ambito soggettivo di applicazione della direttiva merita ricordare come la formulazione della norma sembra escludere che possa applicarsi l'esenzione per le transazioni che intercorrono tra società che, seppure inequivocabilmente appartengono al medesimo gruppo, non soddisfano i requisiti partecipativi previsti che si fondano, come ricordato, nella detenzione "diretta" della partecipazione stessa. Per quanto riguarda, inoltre, la figura della "stabile organizzazione", questa viene definita come "una sede fissa di affari situata in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato membro esercita in tutto o in parte la sua attività".

La direttiva si applica, come ricordato, ai pagamenti di interessi e canoni che vengono puntualmente definiti dall'art.2. Tuttavia, il successivo art.4 prevede che lo Stato d'origine (dei pagamenti) non è tenuto a concedere i benefici della direttiva quando i pagamenti: - possono essere considerati utili distribuiti o capitale rimborsato ai sensi della legislazione dello Stato d'origine; - sono relativi a crediti recanti una clausola di partecipazione agli utili del debitore; - sono inerenti a crediti che autorizzano il creditore a rinunciare al suo diritto agli interessi in cambio del diritto a partecipare agli utili del debitore; - sono relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione. L'art.4, par. 2, prevede una clausola cosiddetta "antiabuso", volta cioè a evitare che le parti, tra loro correlate, effettuino trasferimenti per importi eccedenti quelli che sarebbero ordinariamente applicabili operando così, surrettiziamente, una allocazione di redditi alla quale non può essere riservato il particolare trattamento di favore. Scopo della direttiva è di giungere all'eliminazione delle barriere fiscali (e anche finanziarie) al fine di attuare un mercato unico e di arrivare a tassare una entità economica (l'impresa) in un solo Stato.

A questo punto, è compito del legislatore e dell'Amministrazione Finanziaria italiana di procedere in modo celere negli adempimenti necessari per il realizzo del principio indicato nella direttiva e di attrezzarsi per evitare che l'applicazione del dettato normativo nascente dalla direttiva stessa possa diventare strumento di abusi con conseguente danno per l'Erario.

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