CONSORZIO PER L'AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE
IL PROGRAMMA DELLA NUOVA PRESIDENZA
SCARPE,
CROLLA L'EXPORT
PISANO: «STOP A CHI BARA»
INTERESSE
E ROYALTIES
NUOVA DIRETTIVA EUROPEA
CERTIFICAZIONE
DI QUALITÀ
IL MARCHIO CSQ PER L'UNIONE DI CASERTA
LE CONVENZIONI
DELL'UNIONE
VALORE AGGIUNTO RISERVATO AGLI ASSOCIATI
SCARPE, CROLLA L’EXPORT
PISANO: «STOP A CHI BARA»
Il ruolo dell’Asi per
il rilancio dell’economia casertana
di Daniela de Sanctis
Pasquale
Pisano
Delegato Anci per il Mezzogiorno
admin@gi.pi.it
La crisi ha un colore, il giallo, e i contorni di uno stato
dalle dimensioni di un continente: la Cina. Il comparto calzaturiero
ha lanciato l'allarme prima di altri, quando il fenomeno non era ancora così evidente.
Non è servito. Le scarpe cinesi stanno invadendo i mercati mondiali,
compresi quello nazionale e comunitario. Anche con metodi di concorrenza
sleale, come l'introduzione di prodotti con marchio "made in Italy" realizzati,
però, in Oriente. La situazione peggiore si è verificata per
il Mezzogiorno, dove la flessione delle quote di mercato extraconfine
in alcune aree sfiora o supera il 10%, giungendo a punte del 15% in Campania.
Ne parliamo con Pasquale Pisano, delegato per il Mezzogiorno dell'Associazione
nazionale dei calzaturifici italiani. Trentaquattro anni, Pisano è amministratore
unico dell'azienda calzaturiera di famiglia Gi.Pi., localizzata nel
polo calzaturiero di Aversa, la cui produzione è destinata per il
30% all'esportazione e consiste in forniture di calzature militari e da passeggio.
L'azienda occupa 65 persone con un volume d'affari annuale di 6 milioni di
euro. Per Pisano le istituzioni devono approntare maggiori tutele contro
la concorrenza sleale. «Non è pensabile
- spiega - salvaguardare le sole produzioni cosiddette di lusso. Occorre
preservare anche quelle di qualità media, direttamente colpite da
una concorrenza ignara di qualsiasi regola. Siamo e resteremo per la
liberalizzazione dei mercati, ma nel rispetto delle leggi. Negli anni scorsi
un percorso politico istituzionale e normativo ha indotto diversi operatori
a uscire dal sommerso e ad adeguarsi a requisiti richiesti dall'Europa, in
materia di sicurezza sul lavoro, ambiente e qualità. É contraddittoria
quanto paradossale, dunque, la tolleranza finora manifestata per i nuovi
invasori».
Non crede dunque a quanti sostengono che, al di là di qualsiasi misura
possibile, il processo di sostituzione dell'impresa terzomondista a quella
occidentale in settori come il calzaturiero è irreversibile?
Il comparto ha ancora tante frecce al proprio arco. Malgrado la congiuntura,
l'industria calzaturiera meridionale sta modernizzandosi ponendo le condizioni
di una maggiore presenza sui mercati internazionali. Pur in un momento di
flessione per il settore, ben 130 imprese calzaturiere campane hanno partecipato
all'ultima edizione autunnale del Micam, la più importante fiera del
settore in Europa, svoltasi a Milano. La regione resta uno dei principali
poli produttivi europei del settore delle calzature, con oltre 600 imprese
per un totale di circa 8.000 addetti.
Qual è il livello delle esportazioni del settore
calzaturiero in Campania?
Siamo al 3% circa del totale italiano. Una percentuale modesta, se
pensiamo al numero di imprese e alle grandi capacità produttive tradizionalmente
presenti nella regione. La realtà è che fino a pochi anni fa
tante aziende lavoravano solo per il mercato nazionale o per conto terzi.
Da qualche anno tuttavia vi è stata una inversione di tendenza. Molti
operatori hanno scoperto i mercati internazionali, cominciando a produrre
anche per l'estero. Cresce in ogni caso la dimensione produttiva delle imprese,
ancora mediamente inferiore rispetto ad altre regioni d'Italia.
Qual è l'attuale dimensione del comparto calzaturiero
nella sua regione?
Si tratta della quinta regione italiana per numero di aziende e della
sesta per addetti dopo la Puglia. La provincia di Napoli conta oltre 400
imprese, mentre al secondo posto si colloca Caserta con oltre 170, di cui
circa cento localizzate nell'area distretto di Aversa. Accanto ai dati
ufficiali bisogna tener conto del sommerso: molti produttori calzaturieri
sono purtroppo ancora “invisibili” per le istituzioni, con
grave pregiudizio di chi opera alla luce del sole.
Come pensa che l'industria calzaturiera campana possa reagire all'impatto
della concorrenza dei competitors terzomondisti?
Oltre alle misure istituzionali, occorre accelerare processi già in
atto. La tendenza alla specializzazione produttiva, ad esempio, che è garanzia
alla lunga di una superiore qualità, che si tratti di scarpe da uomo
o da donna, classiche o sportive. Tra i calzaturifici della regione, chi
lavora per le grandi firme italiane produce già oggi quasi esclusivamente
scarpe di qualità fine. Chi lo fa in conto proprio, invece, realizza
sia scarpe di lusso sia di qualità media.
Quali altre caratteristiche individua nelle imprese della nostra regione?
La tendenza a ragionare e operare in un'ottica di distretto. É il
frutto di un costante rinnovamento che investe sia il profilo imprenditoriale
sia le maestranze operaie. Ne deriva una maggiore propensione verso produzioni
di qualità e una buona reattività ai cambiamenti della moda
e delle abitudini di consumo.
Lei, anche se preoccupato dalla congiuntura negativa e dalla concorrenza,
si mostra tutto sommato ottimista. Per quali motivi?
Proprio perché sono consapevole che il calzaturiero, soprattutto in
Campania e nel Sud, ha ancora diverse lacune da colmare, che per me possono
ribaltarsi in potenzialità da esprimere. I limiti esistono e sono
tanti. Manca ancora, ad esempio, una formazione specifica per il settore
che faciliti la crescita dell'azienda e il reperimento di risorse. Altro
limite è costituito dalla proprietà familiare delle imprese,
una naturale conseguenza delle piccole dimensioni aziendali.
Come fronteggiare allora la crisi con simili zavorre?
Un'arma vincente è la scoperta dell'aggregazione, della capacità di
fare massa critica per ridurre i costi e promuovere la crescita. Negli ultimi
anni i calzaturieri sono stati protagonisti di molte iniziative di sviluppo
del territorio. Il consorzio Unica prima, con ben 33 imprese del calzaturiero
che hanno investito nel territorio regionale, e quello Impreco poi, con altre
51 aziende del settore tessile-abbigliamento e calzaturiero, sono due importanti
testimonianze dell'iniziativa imprenditoriale campana.
Quali sono i punti di forza del comparto in Campania?
Il gusto, l'estetica e l'artigianalità delle nostre maestranze, che
rendono la scarpa Made in Campania competitiva su tutti i mercati, nelle
produzioni di qualità elevata. Direi anche l'intraprendenza dei nostri
imprenditori, per ora evidenziatasi sul mercato nazionale, ma che, supportata
dalle giuste professionalità, potrebbe essere proficuamente utilizzata
anche sui mercati esteri. Infine la notevole disponibilità di risorse
umane.
Quale impresa e quale prodotto vinceranno la sfida imposta dalla moderna
competizione?
Un'azienda e un prodotto che coniughino tradizione e innovazione. Quest'ultima,
infatti, cambia il modo di lavorare, ma non la storia di un'azienda, le capacità dei
suoi uomini, la qualità del loro lavoro: valori, che il progresso
delle tecnologie non potrà stravolgere ma al massimo adeguare ai tempi.
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