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  Dicembre 2012

Articoli - n° 2 Marzo 2004
 



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CONSORZIO PER L'AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE
IL PROGRAMMA DELLA NUOVA PRESIDENZA

SCARPE, CROLLA L'EXPORT
PISANO: «STOP A CHI BARA»

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IL MARCHIO CSQ PER L'UNIONE DI CASERTA

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SCARPE, CROLLA L’EXPORT
PISANO: «STOP A CHI BARA»
Il ruolo dell’Asi per il rilancio dell’economia casertana

di Daniela de Sanctis


Pasquale Pisano
Delegato Anci per il Mezzogiorno
admin@gi.pi.it

La crisi ha un colore, il giallo, e i contorni di uno stato dalle dimensioni di un continente: la Cina. Il comparto calzaturiero ha lanciato l'allarme prima di altri, quando il fenomeno non era ancora così evidente. Non è servito. Le scarpe cinesi stanno invadendo i mercati mondiali, compresi quello nazionale e comunitario. Anche con metodi di concorrenza sleale, come l'introduzione di prodotti con marchio "made in Italy" realizzati, però, in Oriente. La situazione peggiore si è verificata per il Mezzogiorno, dove la flessione delle quote di mercato extraconfine in alcune aree sfiora o supera il 10%, giungendo a punte del 15% in Campania. Ne parliamo con Pasquale Pisano, delegato per il Mezzogiorno dell'Associazione nazionale dei calzaturifici italiani. Trentaquattro anni, Pisano è amministratore unico dell'azienda calzaturiera di famiglia Gi.Pi., localizzata nel polo calzaturiero di Aversa, la cui produzione è destinata per il 30% all'esportazione e consiste in forniture di calzature militari e da passeggio. L'azienda occupa 65 persone con un volume d'affari annuale di 6 milioni di euro. Per Pisano le istituzioni devono approntare maggiori tutele contro la concorrenza sleale. «Non è pensabile - spiega - salvaguardare le sole produzioni cosiddette di lusso. Occorre preservare anche quelle di qualità media, direttamente colpite da una concorrenza ignara di qualsiasi regola. Siamo e resteremo per la liberalizzazione dei mercati, ma nel rispetto delle leggi. Negli anni scorsi un percorso politico istituzionale e normativo ha indotto diversi operatori a uscire dal sommerso e ad adeguarsi a requisiti richiesti dall'Europa, in materia di sicurezza sul lavoro, ambiente e qualità. É contraddittoria quanto paradossale, dunque, la tolleranza finora manifestata per i nuovi invasori».

Non crede dunque a quanti sostengono che, al di là di qualsiasi misura possibile, il processo di sostituzione dell'impresa terzomondista a quella occidentale in settori come il calzaturiero è irreversibile?
Il comparto ha ancora tante frecce al proprio arco. Malgrado la congiuntura, l'industria calzaturiera meridionale sta modernizzandosi ponendo le condizioni di una maggiore presenza sui mercati internazionali. Pur in un momento di flessione per il settore, ben 130 imprese calzaturiere campane hanno partecipato all'ultima edizione autunnale del Micam, la più importante fiera del settore in Europa, svoltasi a Milano. La regione resta uno dei principali poli produttivi europei del settore delle calzature, con oltre 600 imprese per un totale di circa 8.000 addetti.

Qual è il livello delle esportazioni del settore calzaturiero in Campania?
Siamo al 3% circa del totale italiano. Una percentuale modesta, se pensiamo al numero di imprese e alle grandi capacità produttive tradizionalmente presenti nella regione. La realtà è che fino a pochi anni fa tante aziende lavoravano solo per il mercato nazionale o per conto terzi. Da qualche anno tuttavia vi è stata una inversione di tendenza. Molti operatori hanno scoperto i mercati internazionali, cominciando a produrre anche per l'estero. Cresce in ogni caso la dimensione produttiva delle imprese, ancora mediamente inferiore rispetto ad altre regioni d'Italia.

Qual è l'attuale dimensione del comparto calzaturiero nella sua regione?
Si tratta della quinta regione italiana per numero di aziende e della sesta per addetti dopo la Puglia. La provincia di Napoli conta oltre 400 imprese, mentre al secondo posto si colloca Caserta con oltre 170, di cui circa cento localizzate nell'area distretto di Aversa. Accanto ai dati ufficiali bisogna tener conto del sommerso: molti produttori calzaturieri sono purtroppo ancora “invisibili” per le istituzioni, con grave pregiudizio di chi opera alla luce del sole.

Come pensa che l'industria calzaturiera campana possa reagire all'impatto della concorrenza dei competitors terzomondisti?
Oltre alle misure istituzionali, occorre accelerare processi già in atto. La tendenza alla specializzazione produttiva, ad esempio, che è garanzia alla lunga di una superiore qualità, che si tratti di scarpe da uomo o da donna, classiche o sportive. Tra i calzaturifici della regione, chi lavora per le grandi firme italiane produce già oggi quasi esclusivamente scarpe di qualità fine. Chi lo fa in conto proprio, invece, realizza sia scarpe di lusso sia di qualità media.

Quali altre caratteristiche individua nelle imprese della nostra regione?
La tendenza a ragionare e operare in un'ottica di distretto. É il frutto di un costante rinnovamento che investe sia il profilo imprenditoriale sia le maestranze operaie. Ne deriva una maggiore propensione verso produzioni di qualità e una buona reattività ai cambiamenti della moda e delle abitudini di consumo.

Lei, anche se preoccupato dalla congiuntura negativa e dalla concorrenza, si mostra tutto sommato ottimista. Per quali motivi?
Proprio perché sono consapevole che il calzaturiero, soprattutto in Campania e nel Sud, ha ancora diverse lacune da colmare, che per me possono ribaltarsi in potenzialità da esprimere. I limiti esistono e sono tanti. Manca ancora, ad esempio, una formazione specifica per il settore che faciliti la crescita dell'azienda e il reperimento di risorse. Altro limite è costituito dalla proprietà familiare delle imprese, una naturale conseguenza delle piccole dimensioni aziendali.

Come fronteggiare allora la crisi con simili zavorre?
Un'arma vincente è la scoperta dell'aggregazione, della capacità di fare massa critica per ridurre i costi e promuovere la crescita. Negli ultimi anni i calzaturieri sono stati protagonisti di molte iniziative di sviluppo del territorio. Il consorzio Unica prima, con ben 33 imprese del calzaturiero che hanno investito nel territorio regionale, e quello Impreco poi, con altre 51 aziende del settore tessile-abbigliamento e calzaturiero, sono due importanti testimonianze dell'iniziativa imprenditoriale campana.

Quali sono i punti di forza del comparto in Campania?
Il gusto, l'estetica e l'artigianalità delle nostre maestranze, che rendono la scarpa Made in Campania competitiva su tutti i mercati, nelle produzioni di qualità elevata. Direi anche l'intraprendenza dei nostri imprenditori, per ora evidenziatasi sul mercato nazionale, ma che, supportata dalle giuste professionalità, potrebbe essere proficuamente utilizzata anche sui mercati esteri. Infine la notevole disponibilità di risorse umane.

Quale impresa e quale prodotto vinceranno la sfida imposta dalla moderna competizione?
Un'azienda e un prodotto che coniughino tradizione e innovazione. Quest'ultima, infatti, cambia il modo di lavorare, ma non la storia di un'azienda, le capacità dei suoi uomini, la qualità del loro lavoro: valori, che il progresso delle tecnologie non potrà stravolgere ma al massimo adeguare ai tempi.

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