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  Dicembre 2012

Articoli - n° 4 Maggio 2004
 



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SICUREZZA NEI PORTI DOPO L'11 SETTEMBRE
UN'EFFICACE E CONCRETA AZIONE COMUNE

SISTEMA AEROPORTUALE CAMPANO
LA REGIONE RILANCIA LA SFIDA

LA CRISI DEL MADE IN ITALY
IL SETTORE CALZATURIERO IN AFFANNO

LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
NUOVE POSSIBILITÀ DI FINANZIAMENTO

LA CRISI DEL MADE IN ITALY
IL SETTORE CALZATURIERO IN AFFANNO

AI MICAM Shoevent proposte concreteper il rilancio

Rossano Soldini
Presidente Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani
info@anci-calzature.com

I dati di interscambio commerciale dei primi 11 mesi del 2003 raffrontati col 2002 evidenziano che il settore calzaturiero permane in una fase di fortissima sofferenza, aggravata dal fatto che la negatività dei dati congiunturali prosegue ormai da oltre 2 anni. Le esportazioni, infatti, risultano scese del 7% in quantità e 6,2% in valore, con un prezzo medio che registra una crescita molto contenuta (0,8%). I primi 4 mercati di sbocco per la nostra produzione mostrano tutti segni negativi: Germania -2,8% in volume, Francia -2,6%, USA -13,4%, Regno Unito -11,9%. Complessivamente sono state vendute all'estero 282 milioni di paia di calzature (erano oltre 303 milioni nell'analogo periodo 2002), per un valore di 5.988 milioni di euro. Mai negli ultimi 10 anni le esportazioni erano scese in quantità a un livello così basso.
L'import, invece, ha fatto registrare l'ennesimo record: sono entrati in Italia 248 milioni di paia di calzature (+18,9%), per un valore di circa 2.250 milioni di euro (+7,6%). Il prezzo medio al paio è sceso del 9,5%, a testimonianza della concorrenza sempre più aggressiva dei competitors esteri.
Tali dati confermano la straordinaria crescita delle importazioni dall'Estremo Oriente: Cina +48,3%; Vietnam +15%; India +82%. Da segnalare che, oltre alle importazioni dirette, grande rilevanza assumono anche le operazioni di triangolazione (ad esempio l'import dai Paesi Bassi è salito del 67% in quantità). Il saldo commerciale attivo di settore ha evidenziato un marcato calo pari al 12,9%. I risultati dell'indagine a campione evidenziano un arretramento della produzione, a preconsuntivo annuale, del 7,1% in quantità e del 5,1% circa in valore. Sul fronte dei consumi interni ha trovato conferma l'andamento stagnante della prima parte dell'anno: gli acquisti delle famiglie italiane sono scesi dell'1% in quantità, accompagnati da una lieve crescita solo in termini di spesa (+1,5%). La perdurante situazione congiunturale negativa, internazionale e nazionale, ha avuto ovvie ripercussioni anche sulle dinamiche occupazionali: si registra una riduzione nel numero di addetti di 3.733 unità (il 3,5% in meno rispetto al 2002). I dati della cassa integrazione guadagni relativi all'area pelle evidenziano a consuntivo 2003 un debole aumento dei livelli di utilizzo degli strumenti ordinari (0,3%) e una caduta di quelli straordinari (-34% circa), anche se il minor ricorso complessivo nasconde indicazioni preoccupanti: la flessione è infatti da attribuirsi ai licenziamenti, al dimezzamento delle ore richieste dalla Regione Puglia (-53%), accompagnati però da forti incrementi in tutte le restanti principali aree a vocazione calzaturiera (Marche +64%, Lombardia +35%, Veneto +14%, Toscana +8%, Emilia Romagna +67%, Campania +25%). Il calo generale della domanda su scala internazionale, il forte apprezzamento dell'euro, o meglio la pilotata svalutazione Usa del dollaro, la velocissima crescita della capacità competitiva di vecchi e nuovi concorrenti, stanno gravemente fiaccando la capacità di resistenza di una consistente parte del settore. Preoccupano soprattutto i nuovi concorrenti, Cina, Vietnam, India, che stanno erodendo anche le quote di fascia medio alta (l'import dal Far East cresciuto, nei primi 11 mesi 2003, del 44% in volume), con una capacità di costante diminuzione dei propri prezzi. I nostri calzaturifici hanno sopportato la globalizzazione fino dagli anni '70. Anche se i costi di manodopera erano molto più bassi: in 30 anni abbiamo subito la concorrenza di Taiwan, Corea del Sud e Sud America. Non solo siamo usciti vincitori, ma abbiamo aumentato l'occupazione, la produzione e le esportazioni, grazie alla nostra capacità creativa, alla ricerca e all'innovazione. Ciò fino a circa 2 anni fa. Infatti, questi nuovi Paesi esercitano una vera e propria imbattibile concorrenza "asimmetrica", costruita sul dumping monetario, sociale e ambientale, su sussidi all'esportazione e su inesistenti costi del lavoro. Di contro, è quantomeno dubbio che la Cina rappresenti un'opportunità per le nostre esportazioni. Dunque un export in calo da 3 anni e un consistente sacrificio sui listini da parte delle aziende esportatrici evidenziano un'indubbia maggiore fragilità del settore nella competizione internazionale. É chiaro che comunque questo processo non sta riguardando il settore nella sua generalità: è per questo che ancora non crediamo ad un "inarrestabile declino". Le prospettive di una timida ripresa a breve dei mercati e della domanda paiono ulteriormente rinviate: è dunque ragionevole prevedere la prosecuzione di un fisiologico processo di selezione, da cui si spera usciranno rafforzate le aziende che avranno superato la lunga crisi. É del tutto ovvio che, per contenerne gli effetti, le singole aziende devono continuare a procedere sulla strada di un recupero di efficienza interna, di una costante limatura dei costi, di un affinamento delle proprie capacità di rapporto col mercato e con la clientela; ma deve essere altrettanto chiaro che tutti gli sforzi aziendali sarebbero vanificati se non decollasse a breve una forte, coordinata e determinata azione del Governo, che vada ad incidere in profondità sui diversi fronti di attività delle aziende. Proprio la estrema problematicità della situazione ha indotto ANCI a intensificare i propri sforzi nelle azioni esterne di tutela del settore su una molteplicità di versanti. Sul piano della legislazione nazionale fondamentali risultano le norme di tutela e di sostegno del marchio di origine "Made in Italy" come strumento di contrasto alla contraffazione a difesa del consumatore e per recuperare produzione in Italia. É la prima volta che una Legge Finanziaria affronta in modo esteso e dettagliato questo problema: l'istituzione di un fondo di promozione straordinaria del Made in Italy, il Comitato nazionale anti-contraffazione, l'istituzione di un fondo presso il Ministero delle Attività Produttive destinato all'assistenza legale internazionale alle imprese, le misure doganali e sanzionatorie rappresentano importanti tasselli di un efficace e articolato disegno strategico.
Sul piano della politica commerciale internazionale, si è lavorato e si sta operando sui seguenti prioritari obiettivi:
- L'adozione di un Regolamento, da parte della UE, che renda obbligatoria la stampigliatura del marchio di origine sui prodotti provenienti da paesi extra-UE. Questa proposta sta raccogliendo crescenti consensi in seno alla Commissione Europea ed è ragionevole pensare che a breve possa iniziare il suo iter presso il Consiglio dei Ministri UE. Correlativamente a questo obbligo la Unione Europea studia l'introduzione obbligatoria di un marchio di origine dei prodotti europei, che però faccia salvi i rispettivi "Made in" delle singole nazioni europee. L'idea del "Made in Europe" senza l'indicazione prioritaria del Paese di origine annega il nostro "Made in Italy", e quindi è palesemente inaccettabile.
- La richiesta dell'introduzione di un certificato europeo obbligatorio di importazione a sancire il rispetto di clausole sociali e ambientali. Le misure che si stanno chiedendo in sede europea non possono essere bollate come "protezionistiche". Esse mirano soltanto ad un parziale riequilibrio di un'inaccettabile disparità nelle condizioni della competizione internazionale e nelle regole di partenza, che comprendano anche i dazi. In questa logica non possiamo che apprezzare i recentissimi orientamenti della Commissione Europea che ha già espresso formalmente forti preoccupazioni in relazione all'eliminazione dei contingenti all'importazione dalla Cina a decorrere dal 1° gennaio 2005. La Commissione ha già segnalato che ciò deve perlomeno accompagnarsi all'eliminazione di altri ostacoli agli scambi, e in particolare all'obbligo di ridurre le tariffe doganali cinesi nonché una nutrita serie di ostacoli non tariffari. Occorre una "risposta attiva" che comprenda un'effettiva e profonda modifica dell'attuale Sistema di Preferenze Generalizzate, una maggiore agilità ed efficacia dei meccanismi di difesa commerciale, e procedure più chiare, rapide e trasparenti per quanto riguarda le clausole di salvaguardia generali del WTO e quelle speciali applicabili alla Cina, ai sensi del Protocollo di adesione della stessa al WTO. É auspicabile che tale approccio della Commissione e del Parlamento europeo, più determinato e aggressivo, si traduca presto in azioni specifiche e concrete. Questo è anche il nostro impegno. In attesa di azioni comunitarie di difesa contro le aggressioni, è urgente, sul piano nazionale, un forte incremento dei controlli doganali e della Finanza sulle importazioni, sul commercio e sulla distribuzione, con un deciso inasprimento delle sanzioni, comprese quelle pecuniarie. É chiaro altresì che la complessità dei problemi del settore deve abbracciare anche le politiche industriali settoriali, che vanno da misure di contenimento dei costi interni, con particolare riferimento ai costi del lavoro, a un più accelerato abbattimento dell'IRAP, a misure fiscali che favoriscano le fusioni e le concentrazioni, a sostegni all'export che cessino di concretizzarsi in irrilevanti interventi "a pioggia" per concentrarsi su quei comparti che hanno dimostrato di saper ottimizzare i fondi pubblici. Insomma, è indispensabile un governo dell'economia che si dia articolate strategie di risposta ad una crisi che sta investendo tutti i settori del Made in Italy esposti alla concorrenza internazionale. L'ipotesi della costituzione, presso il Dipartimento Economico della Presidenza del Consiglio, di un Tavolo "Made in Italy" attenua il pessimismo "della ragione" e incoraggia l'ottimismo "della volontà" .

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