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  Dicembre 2012

Articoli - n° 4 Maggio 2004
 



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RECUPERARE L’OSSESSIONE PER LA CRESCITA
GLI IMPRENDITORI AI NASTRI DI PARTENZA

Un colpo di acceleratore per rimettere in carreggiata l’economia italiana

a cura ella redazione di costozero


Una marcata incertezza ha inciso sui consumi e i dati di produzione dello scorso anno. Le esportazioni poi non forniscono certo dati incoraggianti. Eppure, gli industriali del nostro Paese, riuniti a Milano per il convegno bien-nale del Centro Studi di Confindustria tenutosi il 2 e 3 aprile 2004, sembrano rifiutare lo stereotipo che vuole la macchina industriale italiana ferma al palo e il nostro capitalismo ormai datato e inefficace. Il modello ha, invece, una sua validità perché conserva i punti di forza che risiedono nella competitività delle aziende piccole e medie, peculiarità del fare impresa italiano, senz'altro più efficienti, focalizzate e veloci. Contro la dominante cultura del declino, bisogna però espandersi in settori in cui non si è ancora attivi grazie alla tecnologia e alla ricerca per una competitività meno vulnerabile.
A sostenerlo gli imprenditori che, fiduciosi, attendono dalla politica una migliore capacità di dialogo e collaborazione.


Michele Perini
Presidente Assolombarda
assolombarda@assolombarda.it


In questo particolare momento di quali interventi ha bisogno l'Italia?
Il sistema economico-produttivo milanese è la dimostrazione della logica pragmatica di chi vuole fare per vincere le sfide di una società globale in continua trasformazione. Dobbiamo superare quell'atteggiamento di rinuncia che fa più danni della crisi economica caratterizzante la fase attuale. Occorre una ripresa di fiducia, una precisa volontà di agire. E per questo bisogna guardare ai propri punti di forza, sostenerli, svilupparli e metterli in comune. Non penso che abbiamo davanti una strada in discesa ma nemmeno una montagna invalicabile. La fiducia in un sistema del credito e della finanza capace di porsi come perno credibile e leva di sviluppo di un rapporto virtuoso tra il sistema produttivo, il risparmio dei cittadini e il mercato; in istituzioni che sappiano esercitare la propria responsabilità di servizio, di rappresentanza e guida del Paese; in un'Europa che dia ai cittadini e alle imprese riferimenti certi e non sovrastrutture burocratiche. Con questi presupposti, potremo non ritirarci dalla competizione, internazionalizzare le nostre imprese, innovare processi e prodotti e concentrarci sugli obiettivi.

In che modo va affrontata la sfida dello sviluppo?
Siamo pronti a cogliere tutte le opportunità del nuovo ciclo dell'economia e dare così il nostro contributo alla crescita del benessere degli italiani. Noi imprenditori dobbiamo sviluppare processi di innovazione ed esplorare mercati nuovi. Dobbiamo sforzarci affinché le nostre imprese abbiano canali di sbocco dedicati, realizzando all'estero punti di distribuzione per i prodotti, facendo leva sui marchi più riconoscibili per aprire la strada anche alle imprese minori. Le grandi aziende devono tornare a realizzare progetti importanti nel mondo con tecnologie, capacità e risorse umane qualificate, fornite dalle imprese minori. Dobbiamo passare da un sistema di imprese singolarmente competitive a un sistema competitivo di imprese. Anche per questo lavoriamo per avere una Confindustria saldamente unita con sinergie forti tra grandi e piccoli, tra Nord e Sud, tra settori manifatturieri e servizi.

Come le rigidità del sistema bancario ostacolano le aziende?
Le imprese e i loro interlocutori esterni devono migliorare la capacità di lavorare insieme in ogni campo. Innanzitutto per quanto riguarda il rapporto tra imprese e banche. Le politiche di concentrazione del sistema bancario in questi anni non ha dato i risultati sperati, anzi la distanza tra il sistema produttivo e il credito è aumentata. Vanno invece creati i presupposti per una nuova alleanza che si traduca in forme di partnership fondate sulla vicinanza, la conoscenza e fiducia reciproca, su obiettivi condivisi di crescita, ad esempio, utilizzando il venture capitale e il project financing per creare nuove società nel campo della distribuzione nei mercati internazionali.

Quale dovrà essere il ruolo dell'Europa per il rilancio della crescita e della competitività?
Dobbiamo ridurre gli egoismi nazionali che ostacolano il varo di una Costituzione che faccia dell'Europa una casa comune, più forte e coesa. Dobbiamo ridurre gli egoismi locali che oppongono interessi particolari alla realizzazione di opere e interventi indispensabili per lo sviluppo. Dobbiamo infine ridurre l'egoismo di una politica in cui i veti incrociati, la polemica strumentale e la delegittimazione reciproca prevalgono sempre più spesso sui contenuti.

di Vito Salerno

Mario Mazzoleni
Presidente Confindustria Lombardia

federlombardia@tin.it

Una marcata incertezza ha inciso sui consumi e i dati di produzione. Come è possibile restituire fiducia?

Confindustria promuove da Milano un'operazione fiducia: essere fiduciosi é una manifestazione della volontà basata sull'analisi della realtà, sul vaglio delle opportunità e la razionalità delle scelte. Non ci é richiesto pertanto di essere fideisticamente ottimisti, ma di continuare a credere e di affermare in modo convincente che l'industria italiana non cede, neppure intellettualmente, alla tentazione di mettersi nella scia di coloro che, colpiti dalla sindrome del declino, sono più inclini alla rassegnazione che alla volontà di riscossa. Certo, a fronte di aziende solide e redditizie c'è chi fatica moltissimo a tenere il passo dello sviluppo tecnologico e dei mercati perché il suo modello economico non gli permette più di accumulare le risorse necessarie per gli investimenti. Ma in un momento di crisi non vi é alternativa: occorre una strategia di reazione, reinterpretare la realtà e modificarla in senso positivo.

Come è cambiato in questi ultimi anni il quadro generale dell'economia lombarda e quali sono le prospettive?
La Lombardia è una regione nella quale gli industriali nutrono anzitutto fiducia nelle loro capacità imprenditoriali e restano responsabilmente disponibili ad accettare le sfide che vengono loro continuamente lanciate dalla globalizzazione dei mercati, dalla forza dell'euro, dalle frontiere tecnologiche più avanzate, dalla competitività dei sistemi industriali emergenti. Da imprenditore mi rivolgo agli imprenditori per ribadire convinto che la prima risorsa competitiva siamo noi e i nostri collaboratori! Non siamo più solo un impasto efficace di "individualismo, familismo e localismo" al servizio del profitto e dell'autoaffermazione; siamo invece cittadini, che sanno esprimere con grande impegno e passione il loro lavoro imprenditoriale in un orizzonte di responsabilità sociale, consapevoli della centralità dell'impresa nella società e sempre più attenti ai rapporti e ai legami con gli altri operatori economici, al contesto territoriale, allo sviluppo dei capitale umano.

Come lasciarsi alle spalle l'attuale cultura del declino?
I rischi di declino per l'Italia ci sono e si sintetizzano nell'incapacità di fare riforme strutturali, di fare ricerca e innovazione, alta formazione, di tenere in ordine i conti pubblici. Sono tuttavia debolezze e minacce che non si allontanano con la retorica delle buone intenzioni. Dobbiamo andare oltre e assecondare le nuove tendenze dell'imprenditorialità che già si delineano con sufficiente chiarezza e che andranno approfondite e razionalizzate. La prima riguarda la convergenza di interessi e i ruoli della fascia, sempre più larga, delle medie imprese. La seconda, è la creazione di nuove aree naturali di aggregazione economica, definite "geocomunità" o megadistretti interprovinciali, con le quali consolidare la competitività dei sistema paese. La terza é la consapevolezza della necessità di fare gruppo con le imprese del terziario (bancarie, finanziarie, logistiche) che vogliono affrontare la competizione internazionale e insediarsi stabilmente nei territori a più alta intensità di sviluppo.

Cosa è necessario fare per potenziare la competitività nel nostro Paese?
In una recente ricerca, Confindustria Lombardia ha identificato e proposto alla Regione alcune ipotesi di politica per le imprese per aiutarle a recuperare le posizioni di competitività. Le nostre proposte riguardano misure per il rafforzamento patrimoniale delle aziende, per lo sviluppo dell'imprenditorialità e per il sostegno del partenariato fra imprese nella sfida internazionale. Vi é infatti il passaggio generazionale che deve essere accompagnato, la competizione globale, il radicamento territoriale che reclama l'adozione di politiche che, assicurando alle imprese infrastrutture, formazione, sistema dei credito, possano assecondare lo sviluppo. In questo senso Confindustria mantiene con autorevolezza, nella sua ricca articolazione territoriale, la centralità del suo ruolo, esprimendo una rappresentanza degli interessi che promuove la dimensione del "fare rete" e proietta il sistema industriale italiano verso la riconquista delle posizioni perdute.

di Paolo Battista

Vittorio Mincato
Vice Presidente Confindustria per il Centro Studi

v.mincato@eni.it

Come inquadrare il futuro dell'Europa all'interno del contesto della competizione internazionale?

L'economia mondiale mostra decisi e significativi segnali di ripresa. Nonostante vi siano ancora evidenti elementi di incertezza e fenomeni di potenziale rischio sembra che si sia imboccata la via d'uscita da quella crisi avviatasi con lo scoppio della bolla speculativa della new economy. Stati Uniti e Asia potrebbero tornare a guidare la crescita internazionale. Un elemento di preoccupazione è dato dal ruolo molto modesto che l'Europa sta giocando nel rilancio della crescita mondiale. Nel biennio 2004-2005 il tasso di crescita del Pil in Europa non dovrebbe raggiungere il 2%, ossia la metà di quanto si prevede per gli Stati Uniti. Sulle prospettive economiche dell'area grava certamente il peso di una moneta troppo forte. L'euro infatti dal febbraio 2002 si è apprezzato del 40% nei confronti del dollaro. L'Europa, tuttavia, si è data un obiettivo ambizioso a Lisbona: diventare entro il 2010 l'economia più dinamica del mondo. Pur riconoscendo i significativi passi avanti finora compiuti, come la creazione di sei milioni di posti di lavoro dal 2000, l'apertura alla concorrenza di alcuni settori cruciali come le telecomunicazioni e l'energia, vi è ampio consenso sull'insufficienza delle politiche fin qui adottate. Due elementi differenziano la corsa delle economie di USA ed Europa: la produttività e il tasso di occupazione. Secondo le ultime stime, il cittadino medio americano produce 60 mila dollari all'anno, quello europeo solo 43 mila, inoltre il tasso di produttività negli USA cresce con un ritmo doppio rispetto all'Europa. Il secondo elemento è da ritrovarsi nei tassi di occupazione, ossia l'incidenza percentuale delle persone che lavorano sul totale della popolazione attiva. Negli Stati Uniti questo tasso è pari al 73% mentre in Europa la media è del 64%.
La nostra economia perde colpi.

Quali i punti di forza e debolezza del capitalismo italiano?
Per l'Italia la sfida dello sviluppo è forse più difficile che per il resto d'Europa. Nel biennio appena trascorso la crescita del Pil è stata molto modesta e per quest'anno diversi centri di ricerca compreso il Centro Studi di Confindustria dubitano che si possa superare l'1 per cento. Il Made in Italy soffre non tanto dell'euro forte quanto di una specializzazione produttiva in settori tradizionali e di un sistema Paese che non sostiene adeguatamente la libera iniziativa. Abbiamo poi pochissime imprese globali che competono internazionalmente con altre sul piano dell'innovazione e dell'efficienza. Come imprenditori abbiamo il dovere di reagire al senso diffuso di ineluttabile declino. Il mio augurio è di ritrovare la forza silenziosa di guardare al proprio interno e di credere laicamente che il futuro è solo quello che costruiamo giorno per giorno.

di Raffaella Venerando

Giorgio Squinzi
Vice Presidente Confindustria per l’Innovazione e lo Sviluppo Tecnologico

mapei@mapei.it

Cosa fare per portare le nostre imprese fuori dalle secche?

Anche in ragione della mia personale esperienza di imprenditore ritengo che bisogna lottare con estrema convinzione contro questa cultura del declino. In Italia c'è un potenziale enorme che può sicuramente trovare la strada per esprimersi al meglio nel mercato globale. Per farlo, le nostre imprese devono internazionalizzarsi e non solo da un punto di vista di vendite e prodotti. Il nostro Paese peraltro è stretto da troppe regole sempre meno favorevoli per l'attività manifatturiera, da complicazioni normative e burocratiche cui non si pone ancora rimedio, dalla mancanza di infrastrutture adeguate, dalla penuria di materie prime, da costi eccessivi di energia e di quanto è indispensabile per produrre. L'unico modo che abbiamo per reagire e risalire la china è affidare la produzione ad aziende italiane che facciano da testa di ponte, innescando così un meccanismo virtuoso. Negli ultimi anni abbiamo investito in tutto il mondo con una ricaduta positiva per il benessere complessivo del nostro Paese. Occorre impegno nel ritrovare quell'ossessione per la crescita che avevamo nel passato oggi persa di vista. Dobbiamo internazionalizzarci abbandonando l'idea di produrre tutto in Italia concentrandoci invece sulla conquista dei mercati di tutto il mondo. A diventare globali devono essere prima le nostre idee.
Gli ingredienti indispensabili per uscire dalla crisi.
In primis, la semplificazione normativo burocratica appare la condizione fondamentale per non ritrovarci avviluppati e in notevole ritardo rispetto gli altri Paesi europei. Seguono a ruota gli investimenti nelle infrastrutture e in ricerca e innovazione. Dal mondo politico però devono arrivare segnali concreti e non solo rassicurazioni. La prossima Finanziaria speriamo ci aiuti in questo senso più di quanto ha fatto la manovra economica attuale. Infine, dovremo occuparci della modernizzazione dei centri di eccellenza del nostro Paese la cui qualità è di assoluto valore mondiale. Se non investiamo e in maniera fattiva in questa direzione saremo come una famiglia che non ha in valigia il vestito per far sfilare i propri figli. Dobbiamo evitare di credere di aver perso tempo e di non poter più recuperare. Lo sviluppo tecnologico è talmente rapido che i treni partono di continuo e le carte della competitività si possono facilmente ridistribuire.

di Paolo Battista

Diana Bracco
Presidente Federchimica

federchimica@federchimica.it

Quali interventi spettano all’industria e quali invece gli impegni del Governo?
Quando si hanno problemi così grandi da affrontare come quelli che affaticano l'industria italiana, noi, come imprenditori, dobbiamo dare l'esempio e avere il coraggio delle priorità. Per questo voglio indicarne due sole, che devono guidare la nostra azione e quella del Governo: la priorità dell'innovazione e ricerca e quella della semplificazione burocratica. L’aggressività della Cina ed Euro alle stelle devono aver fatto capire a tutti che l'unica difesa è l'innovazione vera, quella che nasce sul prodotto e dalla ricerca: realizzare i prodotti maturi là dove cresce la domanda e i costi sono più bassi e rafforzare le produzioni nazionali con una ricerca vera e strutturata. Un'innovazione sul prodotto e non solo sul processo. Una ricerca realizzata all'interno dell'impresa ma anche con la collaborazione della ricerca pubblica. Se il made in Italy del domani non sarà fatto di tecnologia, il nostro sarà un futuro mediocre. Per noi e per il Governo, l'Innovazione deve essere l'obiettivo principale del sostegno pubblico all'Industria. Prima e di più di tutto il resto. La Tecno-Tremonti deve essere estesa nel tempo e rafforzata negli incentivi. L'IRAP sui ricercatori deve scomparire perché è iniqua e penalizza chi fa più ricerca. Come Presidente di Federchimica dò poi grande priorità al tema della burocrazia: sono problemi di tutta l'industria italiana. Di più, riguardano l’intero Paese, e, sia ben chiaro, l'Industria non chiede meno controlli. In Italia si pensa ancora che la burocrazia sia l'esercizio di un potere e non lo svolgimento di un servizio per i cittadini e per le imprese. O cambia questa radicata convinzione o ci troveremo leggi sempre più complicate e funzionari ostili. Per cambiare ci vuole un impegno continuato e un accordo bipartisan: la Riforma della Pubblica Amministrazione non è né dì destra né di sinistra.

di Raffaella Venerando

Alberto Bombassei
Presidente Federmeccanica

roma@federmeccanica.it

La sua azienda rappresenta bene il caso tipico di successo italiano: l’impresa familiare presente nei mercati di tutto il mondo grazie a cospicui investimenti in ricerca. Quali le condizioni per continuare a riuscire bene?
In Italia vi sono oltre cinque milioni di imprese con un numero medio di 3,6 addetti. La ridotta dimensione aziendale complica la competizione su scala internazionale, consapevolmente difficile ma di certo non impossibile. Prendendo spunto dalla mia esperienza personale, posso sostenere che dedicando enormi risorse alla ricerca e all'innovazione, soprattutto a quella di prodotto, si ottengono buoni risultati. Il secondo elemento essenziale per lo sviluppo è cercare, anche con le ridotte dimensioni di partenza, di far breccia in un mercato più ampio di quello nazionale. Da questo punto di vista le tecnologie possono dare un aiuto importante alle piccole aziende nell'essere più agguerrite e competitive.
Cosa fare per uscire dalla crisi.
Nel nostro caso, nei tempi in cui il mercato dell'auto versava in crisi, anziché tirare i remi in barca tagliando i costi, abbiamo scelto di raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ripeto, questa è secondo me la medicina adatta per poter competere e riprendere quota. Ho in mente però anche un progetto che vorrei prendesse forma al più presto. Istituire un tavolo per l'emergenza contro la cultura del declino che veda coinvolti imprese, sindacati, governo e banche. Solo da un'azione comune si può ripartire.

Intanto in Italia conti pubblici a rischio. La Commissione Europea lo indica chiaramente. Anche questo è un problema che ci mette in evidente difficoltà in Europa?
Sicuramente si tratta di un male non solo italiano ma comune a tutto il Vecchio Continente. È un momento particolarmente difficile per l'Europa e occorre ricercare le soluzioni più concrete per superare questa situazione di stallo dimostrano che l'Italia tutta ne ha piena coscienza e vuole porvi serio rimedio.

La BCE ancora una volta non ha ridotto il costo del denaro. Le preoccupa questo livello?
Credo sia un clamoroso errore. La possibilità di un eventuale aumento dell'inflazione può essere un rischio non dico inesistente ma quanto meno poco probabile mentre sarebbe estremamente utile e funzionale per un'effettiva ripresa dell'economia europea.

Altro elemento di forte fermento è il prezzo altissimo delle materie prime. Anche questo secondo lei è un fenomeno destabilizzante?
Senza dubbio sì, anche se credo che adesso la preoccupazione maggiore, quella del coke cinese, sia risolta rallentando di conseguenza la bolla speculativa. Temo comunque il suo ripresentarsi in futuro, pur rimanendo ottimista. Sono d'accordo con Tronchetti Provera nel ritenere indispensabile che la classe dirigente si armi di coraggio e fiducia.

di Vito Salerno

Corrado Passera
Amministratore Delegato Banca Intesa

info@bancaintesa.it

Cosa può fare il sistema creditizio per aiutare a uscire dalle debolezze il sistema Italia?
Innanzitutto prendere coscienza dei molti punti di forza del modello industriale italiano, tutt'altro che debole, che ha portato a grandi successi in tutte le categorie e settori. Le banche devono affiancare le aziende anche in questa fase di stagnazione dell'economia che sembra preludere a una preoccupante recessione, e il fatto che cresca il numero delle imprese clienti e con esso il supporto finanziario alle imprese sia al nord che al sud è la dimostrazione di quanto il sistema bancario non si tiri indietro. Esistono alcune aree specifiche in cui agire per il rilancio dell'economia. Tra queste quella relativa all'internazionalizzazione. Gli istituti di credito devono aiutare le nostre aziende italiane ad investire al di fuori dell'Italia, nel centro-est Europa, in Russia, in Cina e in India. C'è poi il tema dell'innovazione, un impegno a tre che coinvolge non solo imprese e banche ma anche università. Solo la cooperazione può portare ai giusti risultati. Infine bisogna far crescere le dimensioni aziendali, aiutare i passaggi generazionali. Cosa deve fare una banca per essere meglio apprezzata? Deve investire in formazione, creare strutture al suo interno dedicate alle diverse categorie delle sue aziende. Tutto questo il sistema bancario lo sta facendo con estrema attenzione.

Come ripristinare un circolo virtuoso nei rapporti tra banca e impresa?
L'impegno vincente è quello teso al miglioramento. Anche le banche hanno preso atto di questo. Dopo esperienze passate nel mondo dell'industria comprendo facilmente i problemi fin qui emersi. In Italia non mancano gli imprenditori, le aree di crescita, la cultura, la tecnologia né i capitali. Ciò che davvero si è perso è il meccanismo della fiducia che si ricrea solo facendo sistema. Cirio e Parmalat non vanno prese a modello del sistema industriale italiano però. Tuttavia da questi incidenti abbiamo tratto una lezione: non mettere troppa finanza nelle relazioni industriali. Il rapporto con l'impresa è la ragion d'essere delle grandi banche. Noi abbiamo un milione di aziende clienti e ci stiamo attrezzando per dare maggiore ascolto, per creare strutture sul territorio al fine di riacquistare quella comunanza con le aziende che, quando si superano le medie dimensioni, si perde. In momenti come questo, occorre coraggio da parte nostra, ma abbiamo anche bisogno di opportune politiche economiche e industriali e di una competitività di sistema che dipende dalle decisioni di contesto. A ciascuno la sua parte.

Tre ingredienti per superare finalmente la crisi.

Superare l'inefficienza della burocrazia e la carenza delle infrastrutture, ereditata da almeno vent'anni di mancati investimenti. Consolidare l'impegno nella ricerca è la grande scommessa da vincere. Abbiamo bisogno di un piano composito e condiviso e non di interventi frammentati. Per ridare competitività all'Italia non servono scosse o accelerazioni improvvise ma un progetto di ampio respiro che possa colmare il gap rispetto agli altri paesi in termini di infrastrutture, ricerca e semplificazione legislativa.

di Raffaella Venerando

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