RECUPERARE L’OSSESSIONE PER LA CRESCITA
GLI IMPRENDITORI AI NASTRI DI PARTENZA
Un colpo di acceleratore per rimettere in carreggiata
l’economia italiana
a cura ella redazione di costozero
Una
marcata incertezza ha inciso sui consumi e i dati di produzione dello
scorso anno. Le esportazioni poi non forniscono certo dati incoraggianti.
Eppure, gli industriali del nostro Paese, riuniti a Milano per il convegno
bien-nale del Centro Studi di Confindustria tenutosi il 2 e 3 aprile
2004, sembrano rifiutare lo stereotipo che vuole la macchina industriale
italiana ferma al palo e il nostro capitalismo ormai datato e inefficace.
Il modello ha, invece, una sua validità perché conserva i punti di forza
che risiedono nella competitività delle aziende piccole e medie,
peculiarità del fare impresa italiano, senz'altro più efficienti,
focalizzate e veloci. Contro la dominante cultura del declino, bisogna
però espandersi
in settori in cui non si è ancora attivi grazie alla tecnologia e
alla ricerca per una competitività meno vulnerabile.
A sostenerlo gli imprenditori che, fiduciosi, attendono dalla politica
una migliore capacità di dialogo e collaborazione.
Michele
Perini
Presidente Assolombarda
assolombarda@assolombarda.it
In questo particolare momento di quali interventi ha bisogno l'Italia?
Il sistema economico-produttivo milanese è la dimostrazione della
logica pragmatica di chi vuole fare per vincere le sfide di una società globale
in continua trasformazione. Dobbiamo superare quell'atteggiamento di rinuncia
che fa più danni della crisi economica caratterizzante la fase attuale.
Occorre una ripresa di fiducia, una precisa volontà di agire. E per
questo bisogna guardare ai propri punti di forza, sostenerli, svilupparli
e metterli in comune. Non penso che abbiamo davanti una strada in discesa
ma nemmeno una montagna invalicabile. La fiducia in un sistema del credito
e della finanza capace di porsi come perno credibile e leva di sviluppo
di un rapporto virtuoso tra il sistema produttivo, il risparmio dei cittadini
e il mercato; in istituzioni che sappiano esercitare la propria responsabilità di
servizio, di rappresentanza e guida del Paese; in un'Europa che dia ai cittadini
e alle imprese riferimenti certi e non sovrastrutture burocratiche. Con
questi presupposti, potremo non ritirarci dalla competizione, internazionalizzare
le nostre imprese, innovare processi e prodotti e concentrarci sugli obiettivi.
In che modo va affrontata la sfida dello sviluppo?
Siamo
pronti a cogliere tutte le opportunità del nuovo ciclo
dell'economia e dare così il nostro contributo alla crescita
del benessere degli italiani. Noi imprenditori dobbiamo sviluppare
processi di innovazione ed esplorare mercati nuovi. Dobbiamo sforzarci
affinché le nostre imprese abbiano canali di sbocco dedicati,
realizzando all'estero punti di distribuzione per i prodotti, facendo
leva sui marchi più riconoscibili per aprire la strada anche
alle imprese minori. Le grandi aziende devono tornare a realizzare
progetti importanti nel mondo con tecnologie, capacità e risorse
umane qualificate, fornite dalle imprese minori. Dobbiamo passare da
un sistema di imprese singolarmente competitive a un sistema competitivo
di imprese. Anche per questo lavoriamo per avere una Confindustria
saldamente unita con sinergie forti tra grandi e piccoli, tra Nord
e Sud, tra settori manifatturieri e servizi.
Come le rigidità del sistema bancario ostacolano le
aziende?
Le imprese e i loro interlocutori esterni devono
migliorare la capacità di
lavorare insieme in ogni campo. Innanzitutto per quanto riguarda il
rapporto tra imprese e banche. Le politiche di concentrazione del sistema
bancario in questi anni non ha dato i risultati sperati, anzi la distanza
tra il sistema produttivo e il credito è aumentata. Vanno invece
creati i presupposti per una nuova alleanza che si traduca in forme
di partnership fondate sulla vicinanza, la conoscenza e fiducia reciproca,
su obiettivi condivisi di crescita, ad esempio, utilizzando il venture
capitale e il project financing per creare nuove società nel
campo della distribuzione nei mercati internazionali.
Quale dovrà essere il ruolo dell'Europa per il rilancio
della crescita e della competitività?
Dobbiamo ridurre
gli egoismi nazionali che ostacolano il varo di una Costituzione
che faccia dell'Europa una casa comune, più forte
e coesa. Dobbiamo ridurre gli egoismi locali che oppongono interessi
particolari alla realizzazione di opere e interventi indispensabili
per lo sviluppo. Dobbiamo infine ridurre l'egoismo di una politica
in cui i veti incrociati, la polemica strumentale e la delegittimazione
reciproca prevalgono sempre più spesso sui contenuti.
di Vito Salerno
Mario Mazzoleni
Presidente Confindustria Lombardia
federlombardia@tin.it
Una marcata incertezza ha inciso sui consumi e i dati di produzione.
Come è possibile restituire fiducia?
Confindustria promuove da Milano un'operazione fiducia: essere fiduciosi é una
manifestazione della volontà basata sull'analisi della realtà,
sul vaglio delle opportunità e la razionalità delle scelte.
Non ci é richiesto pertanto di essere fideisticamente ottimisti,
ma di continuare a credere e di affermare in modo convincente che l'industria
italiana non cede, neppure intellettualmente, alla tentazione di mettersi
nella scia di coloro che, colpiti dalla sindrome del declino, sono
più inclini alla rassegnazione che alla volontà di riscossa.
Certo, a fronte di aziende solide e redditizie c'è chi fatica
moltissimo a tenere il passo dello sviluppo tecnologico e dei mercati
perché il suo modello economico non gli permette più di
accumulare le risorse necessarie per gli investimenti. Ma in un momento
di crisi non vi é alternativa: occorre una strategia di reazione,
reinterpretare la realtà e modificarla in senso positivo.
Come è cambiato in questi ultimi anni il quadro generale
dell'economia lombarda e quali sono le prospettive?
La Lombardia è una
regione nella quale gli industriali nutrono anzitutto fiducia nelle
loro capacità imprenditoriali e restano
responsabilmente disponibili ad accettare le sfide che vengono loro
continuamente lanciate dalla globalizzazione dei mercati, dalla forza
dell'euro, dalle frontiere tecnologiche più avanzate, dalla
competitività dei sistemi industriali emergenti. Da imprenditore
mi rivolgo agli imprenditori per ribadire convinto che la prima risorsa
competitiva siamo noi e i nostri collaboratori! Non siamo più solo
un impasto efficace di "individualismo, familismo e localismo" al
servizio del profitto e dell'autoaffermazione; siamo invece cittadini,
che sanno esprimere con grande impegno e passione il loro lavoro imprenditoriale
in un orizzonte di responsabilità sociale, consapevoli della
centralità dell'impresa nella società e sempre più attenti
ai rapporti e ai legami con gli altri operatori economici, al contesto
territoriale, allo sviluppo dei capitale umano.
Come lasciarsi alle spalle l'attuale cultura del declino?
I
rischi di declino per l'Italia ci sono e si sintetizzano nell'incapacità di
fare riforme strutturali, di fare ricerca e innovazione, alta formazione,
di tenere in ordine i conti pubblici. Sono tuttavia debolezze e minacce
che non si allontanano con la retorica delle buone intenzioni. Dobbiamo
andare oltre e assecondare le nuove tendenze dell'imprenditorialità che
già si delineano con sufficiente chiarezza e che andranno approfondite
e razionalizzate. La prima riguarda la convergenza di interessi e i
ruoli della fascia, sempre più larga, delle medie imprese. La
seconda, è la creazione di nuove aree naturali di aggregazione
economica, definite "geocomunità" o megadistretti
interprovinciali, con le quali consolidare la competitività dei
sistema paese. La terza é la consapevolezza della necessità di
fare gruppo con le imprese del terziario (bancarie, finanziarie, logistiche)
che vogliono affrontare la competizione internazionale e insediarsi
stabilmente nei territori a più alta intensità di sviluppo.
Cosa è necessario fare per potenziare la competitività nel
nostro Paese?
In una recente ricerca, Confindustria Lombardia
ha identificato e proposto alla Regione alcune ipotesi di politica
per le imprese per aiutarle a recuperare le posizioni di competitività.
Le nostre proposte riguardano misure per il rafforzamento patrimoniale
delle aziende, per lo sviluppo dell'imprenditorialità e per
il sostegno del partenariato fra imprese nella sfida internazionale.
Vi é infatti
il passaggio generazionale che deve essere accompagnato, la competizione
globale, il radicamento territoriale che reclama l'adozione di politiche
che, assicurando alle imprese infrastrutture, formazione, sistema dei
credito, possano assecondare lo sviluppo. In questo senso Confindustria
mantiene con autorevolezza, nella sua ricca articolazione territoriale,
la centralità del suo ruolo, esprimendo una rappresentanza degli
interessi che promuove la dimensione del "fare rete" e proietta
il sistema industriale italiano verso la riconquista delle posizioni
perdute.
di Paolo Battista
Vittorio Mincato
Vice Presidente Confindustria per il Centro Studi
v.mincato@eni.it
Come inquadrare il futuro dell'Europa all'interno del contesto della
competizione internazionale?
L'economia mondiale mostra decisi e significativi segnali di ripresa.
Nonostante vi siano ancora evidenti elementi di incertezza e fenomeni
di potenziale rischio sembra che si sia imboccata la via d'uscita da
quella crisi avviatasi con lo scoppio della bolla speculativa della
new economy. Stati Uniti e Asia potrebbero tornare a guidare la crescita
internazionale. Un elemento di preoccupazione è dato dal ruolo
molto modesto che l'Europa sta giocando nel rilancio della crescita
mondiale. Nel biennio 2004-2005 il tasso di crescita del Pil in Europa
non dovrebbe raggiungere il 2%, ossia la metà di quanto si prevede
per gli Stati Uniti. Sulle prospettive economiche dell'area grava certamente
il peso di una moneta troppo forte. L'euro infatti dal febbraio 2002
si è apprezzato del 40% nei confronti del dollaro. L'Europa,
tuttavia, si è data un obiettivo ambizioso a Lisbona: diventare
entro il 2010 l'economia più dinamica del mondo. Pur riconoscendo
i significativi passi avanti finora compiuti, come la creazione di
sei milioni di posti di lavoro dal 2000, l'apertura alla concorrenza
di alcuni settori cruciali come le telecomunicazioni e l'energia, vi è ampio
consenso sull'insufficienza delle politiche fin qui adottate. Due elementi
differenziano la corsa delle economie di USA ed Europa: la produttività e
il tasso di occupazione. Secondo le ultime stime, il cittadino medio
americano produce 60 mila dollari all'anno, quello europeo solo 43
mila, inoltre il tasso di produttività negli USA cresce con
un ritmo doppio rispetto all'Europa. Il secondo elemento è da
ritrovarsi nei tassi di occupazione, ossia l'incidenza percentuale
delle persone che lavorano sul totale della popolazione attiva. Negli
Stati Uniti questo tasso è pari al 73% mentre in Europa la media è del
64%.
La nostra economia perde colpi.
Quali i punti di forza e debolezza del capitalismo italiano?
Per l'Italia
la sfida dello sviluppo è forse più difficile
che per il resto d'Europa. Nel biennio appena trascorso la crescita
del Pil è stata molto modesta e per quest'anno diversi centri
di ricerca compreso il Centro Studi di Confindustria dubitano che si
possa superare l'1 per cento. Il Made in Italy soffre non tanto dell'euro
forte quanto di una specializzazione produttiva in settori tradizionali
e di un sistema Paese che non sostiene adeguatamente la libera iniziativa.
Abbiamo poi pochissime imprese globali che competono internazionalmente
con altre sul piano dell'innovazione e dell'efficienza. Come imprenditori
abbiamo il dovere di reagire al senso diffuso di ineluttabile declino.
Il mio augurio è di ritrovare la forza silenziosa di guardare
al proprio interno e di credere laicamente che il futuro è solo
quello che costruiamo giorno per giorno.
di Raffaella Venerando
Giorgio Squinzi
Vice Presidente Confindustria per l’Innovazione
e lo Sviluppo Tecnologico
mapei@mapei.it
Cosa fare per portare le nostre imprese fuori dalle secche?
Anche in ragione della mia personale esperienza di imprenditore ritengo
che bisogna lottare con estrema convinzione contro questa cultura del
declino. In Italia c'è un potenziale enorme che può sicuramente
trovare la strada per esprimersi al meglio nel mercato globale. Per
farlo, le nostre imprese devono internazionalizzarsi e non solo da
un punto di vista di vendite e prodotti. Il nostro Paese peraltro è stretto
da troppe regole sempre meno favorevoli per l'attività manifatturiera,
da complicazioni normative e burocratiche cui non si pone ancora rimedio,
dalla mancanza di infrastrutture adeguate, dalla penuria di materie
prime, da costi eccessivi di energia e di quanto è indispensabile
per produrre. L'unico modo che abbiamo per reagire e risalire la china è affidare
la produzione ad aziende italiane che facciano da testa di ponte, innescando
così un meccanismo virtuoso. Negli ultimi anni abbiamo investito
in tutto il mondo con una ricaduta positiva per il benessere complessivo
del nostro Paese. Occorre impegno nel ritrovare quell'ossessione per
la crescita che avevamo nel passato oggi persa di vista. Dobbiamo internazionalizzarci
abbandonando l'idea di produrre tutto in Italia concentrandoci invece
sulla conquista dei mercati di tutto il mondo. A diventare globali
devono essere prima le nostre idee.
Gli ingredienti indispensabili per uscire dalla crisi.
In primis, la semplificazione normativo burocratica appare la condizione
fondamentale per non ritrovarci avviluppati e in notevole ritardo rispetto
gli altri Paesi europei. Seguono a ruota gli investimenti nelle infrastrutture
e in ricerca e innovazione. Dal mondo politico però devono arrivare
segnali concreti e non solo rassicurazioni. La prossima Finanziaria
speriamo ci aiuti in questo senso più di quanto ha fatto la
manovra economica attuale. Infine, dovremo occuparci della modernizzazione
dei centri di eccellenza del nostro Paese la cui qualità è di
assoluto valore mondiale. Se non investiamo e in maniera fattiva in
questa direzione saremo come una famiglia che non ha in valigia il
vestito per far sfilare i propri figli. Dobbiamo evitare di credere
di aver perso tempo e di non poter più recuperare. Lo sviluppo
tecnologico è talmente rapido che i treni partono di continuo
e le carte della competitività si possono facilmente ridistribuire.
di Paolo Battista
Diana Bracco
Presidente Federchimica
federchimica@federchimica.it
Quali interventi spettano all’industria
e quali invece gli impegni del Governo?
Quando si hanno problemi così grandi da affrontare come quelli
che affaticano l'industria italiana, noi, come imprenditori, dobbiamo
dare l'esempio e avere il coraggio delle priorità. Per questo
voglio indicarne due sole, che devono guidare la nostra azione e quella
del Governo: la priorità dell'innovazione e ricerca e quella
della semplificazione burocratica. L’aggressività della
Cina ed Euro alle stelle devono aver fatto capire a tutti che l'unica
difesa è l'innovazione vera, quella che nasce sul prodotto e
dalla ricerca: realizzare i prodotti maturi là dove cresce la
domanda e i costi sono più bassi e rafforzare le produzioni
nazionali con una ricerca vera e strutturata. Un'innovazione sul prodotto
e non solo sul processo. Una ricerca realizzata all'interno dell'impresa
ma anche con la collaborazione della ricerca pubblica. Se il made in
Italy del domani non sarà fatto di tecnologia, il nostro sarà un
futuro mediocre. Per noi e per il Governo, l'Innovazione deve essere
l'obiettivo principale del sostegno pubblico all'Industria. Prima e
di più di tutto il resto. La Tecno-Tremonti deve essere estesa
nel tempo e rafforzata negli incentivi. L'IRAP sui ricercatori deve
scomparire perché è iniqua e penalizza chi fa più ricerca.
Come Presidente di Federchimica dò poi grande priorità al
tema della burocrazia: sono problemi di tutta l'industria italiana.
Di più, riguardano l’intero Paese, e, sia ben chiaro,
l'Industria non chiede meno controlli. In Italia si pensa ancora che
la burocrazia sia l'esercizio di un potere e non lo svolgimento di
un servizio per i cittadini e per le imprese. O cambia questa radicata
convinzione o ci troveremo leggi sempre più complicate e funzionari
ostili. Per cambiare ci vuole un impegno continuato e un accordo bipartisan:
la Riforma della Pubblica Amministrazione non è né dì destra
né di sinistra.
di Raffaella Venerando
Alberto Bombassei
Presidente Federmeccanica
roma@federmeccanica.it
La sua azienda rappresenta bene il caso tipico di successo
italiano: l’impresa familiare presente nei mercati di tutto
il mondo grazie a cospicui investimenti in ricerca. Quali le condizioni
per continuare a riuscire bene?
In Italia vi sono oltre cinque
milioni di imprese con un numero medio di 3,6 addetti. La ridotta
dimensione aziendale complica la competizione su scala internazionale,
consapevolmente difficile ma di certo non impossibile. Prendendo
spunto dalla mia esperienza personale, posso sostenere che dedicando
enormi risorse alla ricerca e all'innovazione, soprattutto a quella
di prodotto, si ottengono buoni risultati. Il secondo elemento essenziale
per lo sviluppo è cercare, anche
con le ridotte dimensioni di partenza, di far breccia in un mercato
più ampio di quello nazionale. Da questo punto di vista le tecnologie
possono dare un aiuto importante alle piccole aziende nell'essere più agguerrite
e competitive.
Cosa fare per uscire dalla crisi.
Nel nostro caso, nei tempi in cui il mercato dell'auto versava in crisi,
anziché tirare i remi in barca tagliando i costi, abbiamo scelto
di raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ripeto, questa è secondo
me la medicina adatta per poter competere e riprendere quota. Ho in
mente però anche un progetto che vorrei prendesse forma al più presto.
Istituire un tavolo per l'emergenza contro la cultura del declino che
veda coinvolti imprese, sindacati, governo e banche. Solo da un'azione
comune si può ripartire.
Intanto in Italia conti pubblici a rischio. La Commissione
Europea lo indica chiaramente. Anche questo è un problema
che ci mette in evidente difficoltà in Europa?
Sicuramente
si tratta di un male non solo italiano ma comune a tutto il Vecchio
Continente. È un momento particolarmente difficile
per l'Europa e occorre ricercare le soluzioni più concrete per
superare questa situazione di stallo dimostrano che l'Italia tutta
ne ha piena coscienza e vuole porvi serio rimedio.
La BCE ancora una volta non ha ridotto il costo del denaro.
Le preoccupa questo livello?
Credo sia un clamoroso errore.
La possibilità di un eventuale
aumento dell'inflazione può essere un rischio non dico inesistente
ma quanto meno poco probabile mentre sarebbe estremamente utile e funzionale
per un'effettiva ripresa dell'economia europea.
Altro elemento di forte fermento è il prezzo altissimo delle
materie prime. Anche questo secondo lei è un fenomeno destabilizzante?
Senza
dubbio sì, anche se credo che adesso la preoccupazione
maggiore, quella del coke cinese, sia risolta rallentando di conseguenza
la bolla speculativa. Temo comunque il suo ripresentarsi in futuro,
pur rimanendo ottimista. Sono d'accordo con Tronchetti Provera nel
ritenere indispensabile che la classe dirigente si armi di coraggio
e fiducia.
di Vito Salerno
Corrado Passera
Amministratore Delegato Banca Intesa
info@bancaintesa.it
Cosa può fare il sistema creditizio per
aiutare a uscire dalle debolezze il sistema Italia?
Innanzitutto prendere coscienza dei molti
punti di forza del modello industriale italiano, tutt'altro che debole,
che ha portato a grandi successi in tutte le categorie e settori. Le
banche devono affiancare le aziende anche in questa fase di stagnazione
dell'economia che sembra preludere a una preoccupante recessione, e
il fatto che cresca il numero delle imprese clienti e con esso il supporto
finanziario alle imprese sia al nord che al sud è la dimostrazione
di quanto il sistema bancario non si tiri indietro. Esistono alcune
aree specifiche in cui agire per il rilancio dell'economia. Tra queste
quella relativa all'internazionalizzazione. Gli istituti di credito
devono aiutare le nostre aziende italiane ad investire al di fuori
dell'Italia, nel centro-est Europa, in Russia, in Cina e in India.
C'è poi il tema dell'innovazione, un impegno
a tre che coinvolge non solo imprese e banche ma anche università.
Solo la cooperazione può portare ai giusti risultati. Infine
bisogna far crescere le dimensioni aziendali, aiutare i passaggi generazionali.
Cosa deve fare una banca per essere meglio apprezzata? Deve investire
in formazione, creare strutture al suo interno dedicate alle diverse
categorie delle sue aziende. Tutto questo il sistema bancario lo sta
facendo con estrema attenzione.
Come ripristinare un circolo virtuoso nei rapporti tra banca e impresa?
L'impegno vincente è quello teso al miglioramento. Anche le
banche hanno preso atto di questo. Dopo esperienze passate nel mondo
dell'industria comprendo facilmente i problemi fin qui emersi. In Italia
non mancano gli imprenditori, le aree di crescita, la cultura, la tecnologia
né i capitali. Ciò che davvero si è perso è il
meccanismo della fiducia che si ricrea solo facendo sistema. Cirio
e Parmalat non vanno prese a modello del sistema industriale italiano
però. Tuttavia da questi incidenti abbiamo tratto una lezione:
non mettere troppa finanza nelle relazioni industriali. Il rapporto
con l'impresa è la ragion d'essere delle grandi banche. Noi
abbiamo un milione di aziende clienti e ci stiamo attrezzando per dare
maggiore ascolto, per creare strutture sul territorio al fine di riacquistare
quella comunanza con le aziende che, quando si superano le medie dimensioni,
si perde. In momenti come questo, occorre coraggio da parte nostra,
ma abbiamo anche bisogno di opportune politiche economiche e industriali
e di una competitività di sistema che dipende dalle decisioni
di contesto. A ciascuno la sua parte.
Tre ingredienti per superare finalmente la crisi.
Superare l'inefficienza della burocrazia e la carenza delle infrastrutture,
ereditata da almeno vent'anni di mancati investimenti. Consolidare
l'impegno nella ricerca è la grande scommessa da vincere. Abbiamo
bisogno di un piano composito e condiviso e non di interventi frammentati.
Per ridare competitività all'Italia non servono scosse o accelerazioni
improvvise ma un progetto di ampio respiro che possa colmare il gap
rispetto agli altri paesi in termini di infrastrutture, ricerca e semplificazione
legislativa.
di Raffaella Venerando |