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  Dicembre 2012

Articoli - n° 4 Maggio 2004
 



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SOCIETÀ DI CAPITALI
LA TASSAZIONE PER TRASPARENZA

CONDIVIDERE IL RISCHIO DI IMPRESA
I FONDI DI VENTURE CAPITALE

SOCIETÀ DI CAPITALI
LA TASSAZIONE PER TRASPARENZA
Superamento della personalità giuridica, o mezzo di pianificazione fiscale?

di Rita Avagliano
Componente Ordine dei Dottori Commercialisti Salerno
rita.avagliano@tiscali.it


Uno degli aspetti più innovativi della riforma fiscale attualmente in fase di attuazione è quello concernente la tassazione per trasparenza delle società di capitali: giacché, se tale concetto è tutt'altro che nuovo nel nostro ordinamento tributario, tuttavia è stato finora utilizzato esclusivamente per delineare il sistema di tassazione proprio delle società di persone, rimanendo del tutto estraneo alla tassazione delle società di capitali. Si tratta, com'è noto, di uno dei sistemi riconosciuti di soluzione del problema della tassazione delle società; in particolare, al sentito problema della doppia tassazione "economica" che si realizza nel momento in cui al prelievo fiscale operato in capo al soggetto (società) produttore del reddito si sovrappone, e si aggiunge, quella effettuata a carico del soggetto (socio) percipiente di quota di quello stesso reddito. Grazie all'applicazione del principio di trasparenza, infatti, il reddito prodotto dalla società è considerato acquisito direttamente dal socio, a prescindere dalla effettiva percezione degli utili e, perciò, dalla delibera di distribuzione, entrando a fare parte della base imponibile della partecipante, sulla sola base della sua determinazione da parte della partecipata. Il che consente non solo di evitare in radice qualsiasi rischio di doppia imposizione; ma garantisce altresì l'applicazione della tassazione in relazione all'effettiva capacità contributiva, così come richiesto dall'art. 53 della costituzione. L'applicazione del sistema della tassazione per trasparenza alle sole società di persone trova la sua ragione d'essere nella natura stessa delle società, caratterizzate da limitata autonomia giuridica, oltre che negli elementi operativi da cui esse sono generalmente connotate (ristretta base societaria, attiva partecipazione dei soci alla vita della società, dimensioni generalmente assai ridotte); cui fa da contrappunto la considerazione, invece, della piena e completa autonomia del soggetto società di capitali dai suoi soci, e il "mito" della personalità giuridica, che in passato ha costituito un vero e proprio schermo all'operato dei soci stessi. Così, proprio in forza di quelle considerazioni, le società di persone non sono state considerate autonomo soggetto passivo ai fini dell'imposizione personale, ma semplice centro di obblighi strumentali allo scopo di determinare la quota di reddito da esse stesse società prodotta e da attribuire ai singoli soci in ragione della quota di partecipazione posseduta. Al contrario, si ripete, delle società di capitali, diretto e autonomo destinatario dell'obbligo tributario, per i soci delle quali lo stesso risultato di eliminazione della doppia imposizione è stato tradizionalmente ottenuto tramite l'adozione del credito d'imposta sui dividendi. Di conseguenza, la tassazione in capo all'organismo societario poteva essere considerata una sorta di acconto, da scomputare al momento della effettiva distribuzione dell'utile ai soci; una soluzione che, sebbene soddisfacente nella generalità dei casi, presentava tuttavia dei limiti, non trovando efficace applicazione nel caso di soci non residenti e nemmeno nell'ipotesi di implicito realizzo degli utili in occasione della cessione delle partecipazioni. La novità della riforma, allora, sta tutta nella estensione dell'applicazione di un principio noto ad una fattispecie differente, di tassazione del reddito prodotto da società di capitali; il che, se per taluni versi - stante le sempre più numerose "scalfitture" operate, soprattutto dalla magistratura tributaria, al mito della personalità giuridica - può essere comprensibile, pur tuttavia suscita non pochi interrogativi e perplessità, soprattutto di ordine operativo e di coordinamento con le norme dettate in tema di diritto societario. La natura essenzialmente illustrativa di questo breve scritto non consente la disamina particolareggiata degli aspetti tecnico-operativi della disciplina introdotta; tuttavia, già l'esame sommario degli articoli 115 e 116 del nuovo testo unico consente di trarne gli aspetti salienti, e di evidenziarne alcuni punti critici. Innanzitutto in relazione alla logica sottesa alla scelta operata. Infatti, l'idea della trasparenza fiscale della società di capitali poteva avere senso in un sistema fortemente incentrato su un'imposizione diretta spiccatamente progressiva, e che trovava nelle imposte personali (Irpef e Irpeg), i propri capisaldi; ma non altrettanto può dirsi in un quadro, quale quello delineato dalla riforma attualmente in attuazione, nel quale è più che evidente lo spostamento del punto di equilibrio a favore dell'imposizione reale e della contribuzione sul valore aggiunto, e nel quale anche l'imposizione dei redditi prodotti dalle persone fisiche perde molto della progressività, essendo prevista l'applicazione di due sole aliquote. Diventa difficile, allora, il coordinamento della tassazione per trasparenza delle società di capitali con altri istituti introdotti dalla riforma, quali quello della participation exemption o del consolidato nazionale o mondiale, costituendo quasi una sorta di "eccezione" alla regola generale. E il coordinamento è reso ancora più difficile dal fatto che, al di là delle modalità operative (applicazione solo a seguito di espressa opzione, validità dell'opzione per un triennio, imputazione del reddito ai soci risultanti alla fine del periodo d'imposta, responsabilità solidale della società partecipata per le imposte, sanzioni e interessi dovuti dal socio per effetto dell'opzione, ecc.), le due nuove norme disciplinanti la tassazione per trasparenza non costituiscono un corpus organico. E infatti, se solo si tiene presente che possono accedere alla tassazione per trasparenza:
- da una parte, società partecipate esclusivamente da altre società, a condizione che ciascuna di esse possieda una partecipazione non inferiore al 10% e non superiore al 50% del capitale (articolo 115);
- dall'altra, società con volume d'affari inferiore alle soglie previste per l'applicazione degli studi di settore e con una compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche in numero non superiore a 10 o a 20 nel caso di società cooperative (articolo 116);
si evidenzia una sostanziale differenza tra le due ipotesi considerate, e si giustifica pienamente l'affermazione che la medesima disciplina risponde a logiche distinte, e mira ad obiettivi assai differenti. Infatti, se per la disposizione dell'art. 116 può rinvenirsi una giustificazione simile a quella che fa da sotteso alla tassazione per trasparenza delle società di persone, e ciò in forza, anche, di una sempre maggiore assimilazione, anche nel campo del diritto societario, delle società di capitali "minori" alle società di persone; non così può dirsi nel caso, indicato dall'art.115 dello stesso Testo Unico, di società interamente posseduta da altre società di capitali.
Per queste, la ragione di una simile previsione va allora ricercata in altro aspetto dello stesso problema: cioè nel fatto che la trasparenza consente la diretta trasposizione ai soci, oltre che dei redditi conseguiti, anche delle perdite (ovviamente fiscali) sofferte dalla società partecipata; in tal modo, il sistema consente anche alle società che, per le loro caratteristiche, non possono accedere alla tassazione di gruppo di ripristinare la possibilità di svalutazione delle partecipazioni, persa con l'introduzione della participation exemption, sia pure con una norma di portata più limitata e a condizioni più rigide e onerose.

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