SOCIETÀ DI CAPITALI
LA TASSAZIONE PER TRASPARENZA
CONDIVIDERE
IL RISCHIO DI IMPRESA
I FONDI DI VENTURE CAPITALE
SOCIETÀ DI CAPITALI
LA TASSAZIONE PER TRASPARENZA
Superamento della personalità giuridica,
o mezzo di pianificazione fiscale?
di
Rita Avagliano
Componente Ordine dei Dottori Commercialisti Salerno
rita.avagliano@tiscali.it
Uno degli aspetti più innovativi della riforma
fiscale attualmente in fase di attuazione è quello concernente la
tassazione per trasparenza delle società di capitali: giacché,
se tale concetto è tutt'altro che nuovo nel nostro ordinamento tributario,
tuttavia è stato finora utilizzato esclusivamente per delineare il
sistema di tassazione proprio delle società di persone, rimanendo
del tutto estraneo alla tassazione delle società di capitali. Si
tratta, com'è noto, di uno dei sistemi riconosciuti di soluzione
del problema della tassazione delle società; in particolare, al sentito
problema della doppia tassazione "economica" che si realizza nel
momento in cui al prelievo fiscale operato in capo al soggetto (società)
produttore del reddito si sovrappone, e si aggiunge, quella effettuata
a carico del soggetto (socio) percipiente di quota di quello stesso reddito.
Grazie all'applicazione del principio di trasparenza, infatti, il reddito
prodotto dalla società è considerato acquisito direttamente
dal socio, a prescindere dalla effettiva percezione degli utili e, perciò,
dalla delibera di distribuzione, entrando a fare parte della base imponibile
della partecipante, sulla sola base della sua determinazione da parte
della partecipata. Il che consente non solo di evitare in radice qualsiasi
rischio di doppia imposizione; ma garantisce altresì l'applicazione
della tassazione in relazione all'effettiva capacità contributiva,
così come
richiesto dall'art. 53 della costituzione. L'applicazione del sistema
della tassazione per trasparenza alle sole società di persone trova
la sua ragione d'essere nella natura stessa delle società, caratterizzate
da limitata autonomia giuridica, oltre che negli elementi operativi da
cui esse sono generalmente connotate (ristretta base societaria, attiva
partecipazione dei soci alla vita della società, dimensioni generalmente
assai ridotte); cui fa da contrappunto la considerazione, invece, della
piena e completa autonomia del soggetto società di capitali dai suoi
soci, e il "mito" della
personalità giuridica, che in passato ha costituito un vero e proprio
schermo all'operato dei soci stessi. Così, proprio in forza di quelle
considerazioni, le società di persone non sono state considerate
autonomo soggetto passivo ai fini dell'imposizione personale, ma semplice
centro di obblighi strumentali allo scopo di determinare la quota di
reddito da esse stesse società prodotta e da attribuire ai singoli
soci in ragione della quota di partecipazione posseduta. Al contrario, si
ripete, delle società di capitali, diretto e autonomo destinatario
dell'obbligo tributario, per i soci delle quali lo stesso risultato di eliminazione
della doppia imposizione è stato tradizionalmente ottenuto tramite
l'adozione del credito d'imposta sui dividendi. Di conseguenza, la tassazione
in capo all'organismo societario poteva essere considerata una sorta di
acconto, da scomputare al momento della effettiva distribuzione dell'utile
ai soci; una soluzione che, sebbene soddisfacente nella generalità dei
casi, presentava tuttavia dei limiti, non trovando efficace applicazione
nel caso di soci non residenti e nemmeno nell'ipotesi di implicito realizzo
degli utili in occasione della cessione delle partecipazioni. La novità della
riforma, allora, sta tutta nella estensione dell'applicazione di un principio
noto ad una fattispecie differente, di tassazione del reddito prodotto
da società di capitali; il che, se per taluni versi - stante le sempre
più numerose "scalfitture" operate, soprattutto dalla magistratura
tributaria, al mito della personalità giuridica - può essere
comprensibile, pur tuttavia suscita non pochi interrogativi e perplessità,
soprattutto di ordine operativo e di coordinamento con le norme dettate
in tema di diritto societario. La natura essenzialmente illustrativa
di questo breve scritto non consente la disamina particolareggiata degli
aspetti tecnico-operativi della disciplina introdotta; tuttavia, già l'esame
sommario degli articoli 115 e 116 del nuovo testo unico consente di trarne
gli aspetti salienti, e di evidenziarne alcuni punti critici. Innanzitutto
in relazione alla logica sottesa alla scelta operata. Infatti, l'idea
della trasparenza fiscale della società di capitali poteva avere
senso in un sistema fortemente incentrato su un'imposizione diretta spiccatamente
progressiva, e che trovava nelle imposte personali (Irpef e Irpeg), i
propri capisaldi; ma non altrettanto può dirsi in un quadro, quale
quello delineato dalla riforma attualmente in attuazione, nel quale è più che
evidente lo spostamento del punto di equilibrio a favore dell'imposizione
reale e della contribuzione sul valore aggiunto, e nel quale anche l'imposizione
dei redditi prodotti dalle persone fisiche perde molto della progressività,
essendo prevista l'applicazione di due sole aliquote. Diventa difficile,
allora, il coordinamento della tassazione per trasparenza delle società di
capitali con altri istituti introdotti dalla riforma, quali quello della
participation exemption o del consolidato nazionale o mondiale, costituendo
quasi una sorta di "eccezione" alla regola generale. E il coordinamento è reso
ancora più difficile dal fatto che, al di là delle modalità operative
(applicazione solo a seguito di espressa opzione, validità dell'opzione
per un triennio, imputazione del reddito ai soci risultanti alla fine
del periodo d'imposta, responsabilità solidale della società partecipata
per le imposte, sanzioni e interessi dovuti dal socio per effetto dell'opzione,
ecc.), le due nuove norme disciplinanti la tassazione per trasparenza
non costituiscono un corpus organico. E infatti, se solo si tiene presente
che possono accedere alla tassazione per trasparenza:
- da una parte, società partecipate esclusivamente da altre società,
a condizione che ciascuna di esse possieda una partecipazione non inferiore
al 10% e non superiore al 50% del capitale (articolo 115);
- dall'altra, società con volume d'affari inferiore alle soglie previste
per l'applicazione degli studi di settore e con una compagine sociale composta
esclusivamente da persone fisiche in numero non superiore a 10 o a 20 nel
caso di società cooperative (articolo 116);
si evidenzia una sostanziale differenza tra le due ipotesi considerate,
e si giustifica pienamente l'affermazione che la medesima disciplina
risponde a logiche distinte, e mira ad obiettivi assai differenti. Infatti,
se per la disposizione dell'art. 116 può rinvenirsi una giustificazione
simile a quella che fa da sotteso alla tassazione per trasparenza delle
società di persone, e ciò in forza, anche, di una sempre maggiore
assimilazione, anche nel campo del diritto societario, delle società di
capitali "minori" alle società di persone; non così può dirsi
nel caso, indicato dall'art.115 dello stesso Testo Unico, di società interamente
posseduta da altre società di capitali.
Per queste, la ragione di una simile previsione va allora ricercata in
altro aspetto dello stesso problema: cioè nel fatto che la trasparenza
consente la diretta trasposizione ai soci, oltre che dei redditi conseguiti,
anche delle perdite (ovviamente fiscali) sofferte dalla società partecipata;
in tal modo, il sistema consente anche alle società che, per le loro
caratteristiche, non possono accedere alla tassazione di gruppo di ripristinare
la possibilità di svalutazione delle partecipazioni, persa con l'introduzione
della participation exemption, sia pure con una norma di portata più limitata
e a condizioni più rigide e onerose.
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