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Articoli - n° 4 Maggio 2004
 



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RIFORMA BIAGI
IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE

La disciplina dell’istituto nelle sue diverse articolazioni

a cura dell’Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno


di Giuseppe Baselice
Area Relazioni Industriali
g.baselice@assindustria.sa.it

Una delle forme contrattuali introdotte nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 276/03 di Riforma del Mercato del Lavoro che sicuramente può ritenersi innovativa e caratterizzata da una forte dose di flessibilità è il lavoro intermittente (cosiddetto contratto a chiamata o job on call). Secondo la definizione data dall'art. 33 del D.Lgs. 276/2003, con il contratto di lavoro intermittente un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che è legittimato ad utilizzarne l'attività per lo svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente (cioè soggette a intervalli di inattività), secondo le esigenze individuate dalla contrattazione collettiva o, in via provvisoriamente sostitutiva, dal Ministero del Lavoro. Il legislatore delegato ha però previsto la possibilità di una prima applicazione in via sperimentale dell'istituto, a prescindere dall'individuazione oggettiva delle prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, per determinate ipotesi soggettive, ossia per i soggetti in stato di disoccupazione che abbiano meno di 25 anni di età ovvero per i lavoratori con più di 45 anni che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e collocamento. Così come è scritta, la disposizione merita qualche riflessione; per i giovani con meno di 25 anni occorre che ricorra uno stato di disoccupazione e non semplicemente di inoccupazione, ossia il soggetto deve essere immediatamente disponibile allo svolgimento e alla ricerca di un'attività lavorativa secondo le modalità definite con i servizi competenti: ciò alla luce della definizione di disoccupazione fornita dal D.Lgs. n. 297/2002. Per i soggetti ultraquarantacinquenni, la norma fa riferimento a soggetti espulsi dal ciclo produttivo, ossia coloro che si trovano in stato di disoccupazione in conseguenza della perdita di un precedente posto di lavoro, o iscritti nelle liste di mobilità (lavoratori licenziati al termine delle procedure collettive di riduzione del personale e lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo nelle imprese che hanno meno di quindici dipendenti). Per quanto riguarda l'iscrizione nelle liste di collocamento, la dizione adoperata dal legislatore delegato appare impropria, atteso che il c. 3 dell'art. 2 del D.Lgs. n. 297/2002 le ha soppresse sostituendole con un elenco anagrafico di soggetti alla ricerca di un'attività lavorativa. Il rapporto di lavoro intermittente si configura pertanto come un rapporto nel quale in alcuni periodi il lavoratore si troverà in una condizione di semplice disponibilità e attesa, alternati con momenti di effettivo lavoro attivati dalla chiamata del datore. Per i periodi nei quali il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, al medesimo spetta una indennità di disponibilità stabilita dalla contrattazione collettiva, ma in ogni caso non inferiore a quella fissata e aggiornata annualmente dal Ministero del Lavoro. A tal proposito il dicastero del Welfare, lo scorso 10 marzo, ha emanato un decreto che fissa l'indennità di disponibilità nella misura del 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato. Il decreto specifica inoltre che la retribuzione da prendere come base di riferimento per la determinazione dell'indennità è costituita dal minimo tabellare, dall'indennità di contingenza, dall'E.D.R. e dai ratei di mensilità aggiuntivi. L'indennità è inoltre divisibile per quote orarie, assumendo come divisore il coefficiente stabilito dal CCNL applicato. Il versamento dei contributi sull'indennità di disponibilità è calcolato sull'ammontare effettivo della stessa, senza tener conto della normativa sui minimali contributivi; l'indennità in discorso è poi esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto, vale a dire che il suo importo non rientra, ad esempio, nel tfr o nelle mensilità aggiuntive. Nelle ipotesi di malattia o altro giustificato impedimento che comporti la temporanea impossibilità di rispondere alla chiamata, il lavoratore deve tempestivamente avvertire il datore di lavoro, comunicando la durata dell'impedimento, nel corso del quale il diritto all'indennità non matura. L'inottemperanza al suddetto obbligo è sanzionata con la perdita dell'indennità per un periodo di 15 giorni. Il rifiuto ingiustificato del lavoratore di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto, nonché un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o da quello individuale. Nel caso in cui il lavoratore non si obblighi contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, lo stesso non avrà diritto a percepire l'indennità di disponibilità non essendo applicabile a tale fattispecie la disciplina sopra evidenziata. Il D.Lgs. 276/2003 prevede, all'art. 37, la fattispecie del lavoro intermittente per periodi predeterminati, consistente in prestazioni da rendersi il fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali. In tali casi la norma prevede che l'indennità di disponibilità sia corrisposta al lavoratore soltanto se il datore di lavoro effettua la chiamata. In pratica, pur versandosi nell'ipotesi del lavoro intermittente con obbligo di disponibilità, l'indennità è dovuta solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro (e riteniamo sin dall'inizio del contratto). Ulteriori periodi predeterminati possono essere poi previsti dalla contrattazione collettiva. Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ad probationem e deve contenere i seguenti elementi: - Indicazione della durata e delle ipotesi stabilite dai contratti collettivi o dal Ministero che ne consentono la stipulazione. Ricordiamo che tale contratto può essere stipulato anche a tempo determinato, nel qual caso l'apposizione del termine deve essere fatta alla luce della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001.
- Il luogo e la modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del preavviso di chiamata che non può, in ogni caso, essere inferiore a una giornata lavorativa.
- Il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista. Secondo il principio di non discriminazione stabilito dall'art. 38 del D.Lgs. 276/2003, il lavoratore non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità e congedi parentali. Durante il periodo di disponibilità, il lavoratore non matura alcun trattamento economico e normativo, nè è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, tranne, ovviamente, la prevista indennità di disponibilità.
- L'indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione.
- I tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e dell'indennità di disponibilità.
- Le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotto in contratto.

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