RIFORMA BIAGI
IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE
La disciplina dell’istituto nelle sue
diverse articolazioni
a cura dell’Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno
di
Giuseppe Baselice
Area Relazioni Industriali
g.baselice@assindustria.sa.it
Una delle forme contrattuali introdotte nel nostro ordinamento dal
D.Lgs. 276/03 di Riforma del Mercato del Lavoro che sicuramente può ritenersi
innovativa e caratterizzata da una forte dose di flessibilità è il
lavoro intermittente (cosiddetto contratto a chiamata o job on call).
Secondo la definizione data dall'art. 33 del D.Lgs. 276/2003, con il
contratto di lavoro intermittente un lavoratore si pone a disposizione
di un datore di lavoro che è legittimato ad utilizzarne l'attività per
lo svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente
(cioè soggette a intervalli di inattività), secondo le
esigenze individuate dalla contrattazione collettiva o, in via provvisoriamente
sostitutiva, dal Ministero del Lavoro. Il legislatore delegato ha però previsto
la possibilità di una prima applicazione in via sperimentale
dell'istituto, a prescindere dall'individuazione oggettiva delle prestazioni
di carattere discontinuo o intermittente, per determinate ipotesi soggettive,
ossia per i soggetti in stato di disoccupazione che abbiano meno di
25 anni di età ovvero per i lavoratori con più di 45 anni
che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste
di mobilità e collocamento. Così come è scritta,
la disposizione merita qualche riflessione; per i giovani con meno di
25 anni occorre che ricorra uno stato di disoccupazione e non semplicemente
di inoccupazione, ossia il soggetto deve essere immediatamente disponibile
allo svolgimento e alla ricerca di un'attività lavorativa secondo
le modalità definite con i servizi competenti: ciò alla
luce della definizione di disoccupazione fornita dal D.Lgs. n. 297/2002.
Per i soggetti ultraquarantacinquenni, la norma fa riferimento a soggetti
espulsi dal ciclo produttivo, ossia coloro che si trovano in stato di
disoccupazione in conseguenza della perdita di un precedente posto di
lavoro, o iscritti nelle liste di mobilità (lavoratori licenziati
al termine delle procedure collettive di riduzione del personale e lavoratori
licenziati per giustificato motivo oggettivo nelle imprese che hanno
meno di quindici dipendenti). Per quanto riguarda l'iscrizione nelle
liste di collocamento, la dizione adoperata dal legislatore delegato
appare impropria, atteso che il c. 3 dell'art. 2 del D.Lgs. n. 297/2002
le ha soppresse sostituendole con un elenco anagrafico di soggetti alla
ricerca di un'attività lavorativa. Il rapporto di lavoro intermittente
si configura pertanto come un rapporto nel quale in alcuni periodi il
lavoratore si troverà in una condizione di semplice disponibilità e
attesa, alternati con momenti di effettivo lavoro attivati dalla chiamata
del datore. Per i periodi nei quali il lavoratore si obbliga contrattualmente
a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, al medesimo spetta
una indennità di disponibilità stabilita dalla contrattazione
collettiva, ma in ogni caso non inferiore a quella fissata e aggiornata
annualmente dal Ministero del Lavoro. A tal proposito il dicastero del
Welfare, lo scorso 10 marzo, ha emanato un decreto che fissa l'indennità di
disponibilità nella misura del 20% della retribuzione prevista
dal CCNL applicato. Il decreto specifica inoltre che la retribuzione
da prendere come base di riferimento per la determinazione dell'indennità è costituita
dal minimo tabellare, dall'indennità di contingenza, dall'E.D.R.
e dai ratei di mensilità aggiuntivi. L'indennità è inoltre
divisibile per quote orarie, assumendo come divisore il coefficiente
stabilito dal CCNL applicato. Il versamento dei contributi sull'indennità di
disponibilità è calcolato sull'ammontare effettivo della
stessa, senza tener conto della normativa sui minimali contributivi;
l'indennità in discorso è poi esclusa dal computo di ogni
istituto di legge o di contratto, vale a dire che il suo importo non
rientra, ad esempio, nel tfr o nelle mensilità aggiuntive. Nelle
ipotesi di malattia o altro giustificato impedimento che comporti la
temporanea impossibilità di rispondere alla chiamata, il lavoratore
deve tempestivamente avvertire il datore di lavoro, comunicando la durata
dell'impedimento, nel corso del quale il diritto all'indennità non
matura. L'inottemperanza al suddetto obbligo è sanzionata con
la perdita dell'indennità per un periodo di 15 giorni. Il rifiuto
ingiustificato del lavoratore di rispondere alla chiamata può comportare
la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di
disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato
rifiuto, nonché un congruo risarcimento del danno nella misura
fissata dai contratti collettivi o da quello individuale. Nel caso in
cui il lavoratore non si obblighi contrattualmente a rispondere alla
chiamata del datore di lavoro, lo stesso non avrà diritto a percepire
l'indennità di disponibilità non essendo applicabile a
tale fattispecie la disciplina sopra evidenziata. Il D.Lgs. 276/2003
prevede, all'art. 37, la fattispecie del lavoro intermittente per periodi
predeterminati, consistente in prestazioni da rendersi il fine settimana,
nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali.
In tali casi la norma prevede che l'indennità di disponibilità sia
corrisposta al lavoratore soltanto se il datore di lavoro effettua la
chiamata. In pratica, pur versandosi nell'ipotesi del lavoro intermittente
con obbligo di disponibilità, l'indennità è dovuta
solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro (e
riteniamo sin dall'inizio del contratto). Ulteriori periodi predeterminati
possono essere poi previsti dalla contrattazione collettiva. Il contratto
di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ad probationem
e deve contenere i seguenti elementi: - Indicazione della durata e delle
ipotesi stabilite dai contratti collettivi o dal Ministero che ne consentono
la stipulazione. Ricordiamo che tale contratto può essere stipulato
anche a tempo determinato, nel qual caso l'apposizione del termine deve
essere fatta alla luce della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001.
- Il luogo e la modalità della disponibilità, eventualmente
garantita dal lavoratore, e del preavviso di chiamata che non può,
in ogni caso, essere inferiore a una giornata lavorativa.
- Il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per
la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità,
ove prevista. Secondo il principio di non discriminazione stabilito
dall'art. 38 del D.Lgs. 276/2003, il lavoratore non deve ricevere, per
i periodi lavorati, un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore
di pari livello, a parità di mansioni svolte. Il trattamento
economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato,
in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in
particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale
e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei
trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale,
maternità e congedi parentali. Durante il periodo di disponibilità,
il lavoratore non matura alcun trattamento economico e normativo, nè è titolare
di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, tranne, ovviamente,
la prevista indennità di disponibilità.
- L'indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato
a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle
modalità di rilevazione della prestazione.
- I tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e dell'indennità di
disponibilità.
- Le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione
al tipo di attività dedotto in contratto. |