IL GIUDIZIO DI IDONEITÀ CON PRESCRIZIONI
QUALI GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO?
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L'UE GIOCA UN RUOLO CHIAVE
IL GIUDIZIO DI IDONEITÀ CON PRESCRIZIONI
QUALI GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO?
Come gestire correttamente il conflitto
tra tutela della salute e i diritti dei dipendenti
Pasquale
Paolillo
Consigliere Delegato Piccola Industria in materia di Sicurezza
e Ambiente Assindustria Salerno
p.paolillo@medilam.it
Uno dei fattori di maggiore criticità in materia
di sicurezza del lavoro è rappresentato, per le imprese, dalla gestione
dei certificati di non idoneità o di idoneità con prescrizione
redatti dal medico competente (m.c.) a seguito delle attività di
sorveglianza sanitaria. In questo articolo cercheremo di analizzare i
limiti di legittimità di questi giudizi e quali sono i reali obblighi
del datore di lavoro (d.l.) in tali circostanze. Innanzitutto va detto che
il giudizio del m.c. può essere accettato così come formulato,
oppure, ai sensi dell'art.17 c.4 del Dlgs 626/94 e smi, appellato sia
dal lavoratore che dal d.l. mediante ricorso da presentare entro trenta
giorni alla commissione ASL competente sul territorio ove è ubicata
l'azienda. La struttura pubblica, acquisita la documentazione disponibile,
potrà confermare,
riformare parzialmente o totalmente il giudizio del m.c.. I certificati
di idoneità della ASL possono essere anch'essi modificati, ma solo
se nella fattispecie si instaura un ricorso al giudice del lavoro che
ha il potere, tramite un suo CTU, di entrare nel merito tecnico di tutta
la vicenda. Il giudizio definitivo così ottenuto ha il significato
fondamentale di "prescrizione di pericolo": il legislatore, non
potendolo fare direttamente a mezzo di legge, rimanda al m.c. di indicare
quelle cautele individualizzate che si rendono necessarie per tutelare la
salute del lavoratore affetto da vulnerabilità fisiche. Il certificato
con idoneità limitata
o la non idoneità va comunicata per iscritto a lavoratore e d.l.,
e quest'ultimo "sarà soggetto di responsabilità risarcitoria
per violazione dell'art.2087c.c.se, consapevole dello stato di infermità del
lavoratore, contuinui ad adibirlo a mansioni sucettibili di metterne
in pericolo la salute" (Cass.civ.sez.lavoro 03.07.97,n.5961). L'eventuale
danno alla salute sarà una lesione personale, perseguibile penalmente
ai sensi dell'art.590 c.p. perché causata dal non aver tenuto colposamente
conto di una situazione di pericolo "conosciuta e prevedibile".
La prescrizione genera, in definitiva, un obbligo cogente per il d.l.,
ma questi è anche obbligato a ricollocare il lavoratore in una mansione
compatibile? E cosa accade se questa non esiste o è già assegnata
ad altri dipendenti? È legittimo attuare un licenziamento per giusta
causa? Situazioni simili sono molto frequenti nelle aziende, causano
imbarazzo e contenziosi e non sempre vengono affrontate con la dovuta competenza
e attenzione. Prima di prendere qualsiasi decisione, è necessario
il controllo formale e sostanziale della documentazione disponibile, che
dovrà essere
allestita in modo da essere agevolmente consultata in eventuali procedimenti
successivi. Nello specifico dovrà risultare coerente il rapporto
tra descrizione accurata della mansione, rischi per la salute o la sicurezza
a essa correlati, documentazione sanitaria del lavoratore e giudizio
finale del m.c.. Comunque, sia che ci trovi di fronte ad un lavoratore non
idoneo, sia che si tratti semplicemente di una ridotta capacità lavorativa,
viene messo in discussione il principio del contratto di lavoro, che è per
sua natura a prestazioni corrispettive, con possibilità di rescissione,
a seconda delle circostanze, ai sensi degli artt. 1463,1464, 2110 e 2119
c.c. e art.3 della legge 604/66. Nel 1998 la Cassazione, preso atto della
non uniformità dei pronunciamenti in materia di licenziamenti per
sopravvenuta impossibilità fisica o psichica emise una sentenza a
sezioni riunite (n. 7755/88) proprio per chiarire quali siano gli obblighi
datoriali. Molti sono i punti rilevanti di questo innovativo pronunciamento,
articolato sul rispetto di principi di rango costituzionale quali l'insindacabile
libertà di scelta dell'imprenditore nell'organizzazione dell'attività produttiva
dell'art.41 e il riconoscimento del diritto al lavoro dell'art.4. Nella
sentenza vi sono elementi sicuramente favorevoli al lavoratore, quali
la possibilità del giudice di valutare il carattere oggettivo della
non apprezzabilità del d.l. alla residua prestazione lavorativa e
l' obbligo di quest'ultimo di valutare la collocabilità del lavoratore
in altre mansioni, anche inferiori se accettate, ma si finisce col ribadire
che qualsiasi ricollocazione deve avvenire nel modo più conveniente
per l'organizzazione dell'impresa e senza comportare turbamenti finanziari,
o trasferimento di altri colleghi. In altre parole la libertà dell'imprenditore
nell'organizzare l'impresa, diritto garantito dalla Costituzione, in
quanto tale sfugge alla sfera di competenza del giudice ed è gerarchicamente
sovraordinato al diritto al lavoro. In caso di perdita dell'idoneità il
d.l. ha certamente l'obbligo di ricercare una mansione compatibile ma
non ha obbligo di trovarla, o addirittura crearla ad hoc. Tale ricerca rappresenta
il punto centrale di un eventuale contenzioso giuridico. Deve essere
condotta con principi oggettivi, può comportare anche una dequalificazione,
che però deve essere accettata dal lavoratore, ma ha come fine ultimo
la salvaguardia degli equilibri finanziari dell'azienda, cioè la
reale produttività del lavoratore. Nessuno può imporre al
d.l. di far lavorare comunque "in qualche modo" chi può dare
solo prestazioni ridotte, in virtù di un altro principio tutelato
dalla Costituzione con l'art.23: «nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».
A tal proposito nel nostro ordinamento, per i lavoratori ordinari, cioè non
collocati obbligatoriamente ex L. 68/99, sono rintracciabili solo due
riferimenti legislativi: l'art.8 del D.Lgs.277/91 e l'articolo 6 modificato
del D.Lgs.532/99. Si tratta di ricollocazione a mansioni compatibili per
perdita temporanea dell'idoneità ad agenti fisici, chimici o biologici
e al lavoro notturno. Ma ancora una volta viene riaffermato il principio
di salvaguardia dell'organizzazione aziendale, e l'obbligo vige "per
quanto possibile" nel primo caso,
mentre nel secondo lo spostamento al lavoro diurno avverrà in mansioni
equivalenti "se esistenti e disponibili". A completamento di quanto
esposto si ricordi che il motivo di licenziamento sussiste non solo nel
caso di malattia stabilizzata e insanabile, ma anche quando l'inidoneità è di
durata indeterminabile oppure di regredibilità incerta (Cass.Sez.Lav.
n.8497/02). Visto il contesto giuridico, quasi sempre il lavoratore inidoneo
all'originaria mansione e non ricollocato ricorre alla ASL competente,
che può impiegare anche parecchie settimane prima di emettere il
suo giudizio. Come comportarsi in attesa di questo documento? Per condivisibile
prudenza i d.l. impiegano il lavoratore in attività leggere, spesso
di nulla o scarsa utilità per l'azienda. Tale "parcheggio" potrebbe
essere utilizzato dal lavoratore per comprovare, in giudizio, un persistente
interesse aziendale per la sua nuova collocazione, deducendo da ciò una
illeggittimità di un sopravvenuto licenziamento. Ma la Cassazione
si è espressa in modo contrario con la sentenza 10339/00 chiarendo
che «… correttamente il Tribunale non ha dato importanza al
fatto che il d.l., dopo un primo accertamento medico legale, aveva fatto
svolgere al dipendente per un tempo apprezzabile una mansione ridotta,
considerato che trattavasi di un atteggiamento di mera tolleranza in attesa
degli accertamenti sanitari definitivi». Ultimi due consigli: cercare
sempre di ricollocare il lavoratore e, in caso di ricorso, chiedere ai medici
della ASL di fare un sopralluogo in azienda per valutare di persona le particolarità della
mansione in oggetto. Ciò dovrebbe servire ad evitare giudizi approssimativi
o…politici. |