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n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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L’ISTITUTO DEL TRUST
PROFILI DI DIRITTO TRIBUTARIO

L’ISTITUTO DEL TRUST
PROFILI DI DIRITTO TRIBUTARIO
Un negozio giuridico “sicuro” oltre che estremamente flessibile

Francesco Grammatico
Dottore Commercialista LL. M International Taxation
fgram@yahoo.com

 

Il trust è un istituto giuridico tipico del sistema di common law, dove viene comunemente utilizzato per molti scopi e in numerose forme diverse.
L'istituto in esame, nel nostro Paese, è stato introdotto solo di recente, e precisamente con Legge 16 ottobre 1989, n. 364 che ha ratificato la Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985. È bene precisare che la ratifica della Convenzione ha comportato unicamente la possibilità per il nostro ordinamento di riconoscere gli effetti giuridici del trust e non anche il suo recepimento.
Ciò significa, in altre parole, che il nostro ordinamento riconosce la validità della costituzione di trusts (regolati dalla legge di Paesi) esteri, compatibilmente con le peculiarità del nostro sistema giuridico. In Italia, quindi, possono essere soltanto costituiti, o operare, trusts di diritto interno (cosiddetti trusts interni), cioè disciplinati da normative straniere compatibili con le prescrizioni della Convenzione (ma con gli elementi costitutivi - settlor, trustee, beneficiaries e allocazione dei beni in trust - tutti individuati nel territorio dello Stato) e soprattutto, non contrastanti con norme imperative o di ordine pubblico.
Le figure determinanti di questo istituto sono tre: il soggetto che dispone il trasferimento (denominato settlor o costituente), il fiduciario che acquista il controllo del bene dal settlor (trustee) e il beneficiario (beneficiary) il quale riceve i vantaggi della gestione del bene stesso ovvero la proprietà di questo (ovviamente solo se stabilito nell'atto istitutivo). Esiste poi un quarto soggetto, il protector (o guardian), che rimane di regola esterno ai rapporti fra i predetti tre, ma è nel contempo al di sopra degli stessi figurando comunque nello schema istitutivo e in quanto tale gode di poteri di veto nei confronti di azioni del trustee non in linea con le direttive del settlor. Può giungere fino alla pronuncia di decadenza del trustee stesso e alla sua sostituzione con altro soggetto in casi di mala gestio, distrazione patrimoniale o prolungata inattività. La cosiddetta segregazione patrimoniale, costituisce sicuramente il principale effetto giuridico dell'istituto. I beni in trust, conseguentemente, formano un patrimonio separato rispetto ai medesimi residui del settlor e qualsiasi accadimento (personale o patrimoniale) che colpisca quest'ultimo ovvero il trustee vedrà il detto patrimonio rimanere totalmente immune da tali vicende. A fortiori, i creditori particolari di questi ultimi non potranno aggredire i beni segregati ed un'eventuale procedura concorsuale devoluta nei loro confronti non vedrà mai ricompresi nella massa attiva i beni in trust.
Le considerazioni che precedono mostrano come il trust, oltre ad essere flessibile, sia anche un negozio giuridico "sicuro". La Convenzione dell'Aja succitata non si occupa del regime fiscale del trust. In campo tributario, infatti, il principio di sovranità che presiede alla potestà impositiva di ciascuno Stato non ammette deroghe convenzionali. L'articolo 19 della predetta Convenzione si limita quindi alla mera affermazione di principio che «La Convenzione non pregiudicherà la competenza degli Stati in materia fiscale». Neppure il legislatore italiano si è, fino a oggi, occupato di disciplinare i profili fiscali del trust. Stante la presenza di questo vuoto normativo occorre quindi verificare quali siano gli orientamenti della dottrina e della prassi amministrativa circa il regime fiscale cui risultano soggetti i diversi "momenti" in cui è possibile, per comodità, suddividere la "vita" giuridica di un trust. È necessario precisare che la dottrina è unanime nell'affermare che non esiste una nozione unitaria di trust in quanto l'istituto in parola è caratterizzato da un elevato polimorfismo. Per questo motivo, anche sotto il profilo tributario, non ha senso indagare il regime fiscale applicabile ai diversi momenti della "vita" di un trust se non distinguendo previamente, all'interno dell'istituto, le sue diverse manifestazioni.
Il negozio istitutivo del trust tra vivi è, di regola, un programma di attribuzioni e non un negozio dispositivo. I successivi negozi dispositivi saranno configurati come attribuzioni al trustee che trovano la propria causa nel negozio istitutivo; a tale riguardo possono presentarsi due situazioni. In una prima ipotesi le disposizioni in favore del trustee possono rappresentare l'esecuzione di un'obbligazione contratta dal disponente: in questo caso l'enunciazione del programma del disponente contenuta nell'atto istitutivo non corrisponde né allo schema della liberalità né a quello del negozio, gratuito ma "interessato", e il negozio istitutivo deve essere considerato un contratto preliminare, in quanto tale soggetto a registrazione in misura fissa (registrazione obbligatoria o solo in caso d'uso secondo le usuali regole riguardanti i contratti preliminari).
In altre situazioni, invece, il negozio istitutivo non comporta l'assunzione dell'obbligazione di disporre in favore del trustee e l'attuazione del programma di attribuzioni ivi enunciato è rimessa alla sola volontà del disponente.
In questo caso se l'atto è in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata esso è soggetto a registrazione obbligatoria in misura fissa; se, invece, l'atto è in forma diversa da quelle sopra indicate esso è soggetto a registrazione in misura fissa soltanto in caso d'uso.
Nell'ambito dei trusts che comportano il trasferimento di beni d'impresa occorre ulteriormente distinguere, in base alle finalità sottostanti, tale trasferimento. A tal proposito, si possono enucleare le seguenti situazioni:
- trusts nei quali i beni escono dal patrimonio dell'impresa senza corrispettivo e per finalità ad essa (l'impresa) estranee: il trasferimento risulta imponibile ai fini IVA e, sotto il profilo reddituale, determina l'insorgenza di ricavi o di possibili plusvalenze (pari alla differenza tra il valore normale dei beni trasferiti e il loro costo fiscalmente riconosciuto) a seconda che esso abbia a oggetto o meno "beni-merce";
- trusts nei quali i beni escono dal patrimonio dell'impresa per finalità inerenti l'impresa e il procedimento produttivo: il trasferimento configura una cessione di beni-merce imponibile ai fini IVA e produttiva di ricavi tassabili ai fini delle imposte sui redditi;
- trusts nei quali il trasferimento ha, quale principale finalità, la segregazione di una massa, la quale cessa di fare parte del patrimonio d'impresa ma non recide del tutto i nessi economici con quest'ultima (esempio: trasferimento al trustee di beni affinché egli li gestisca e, se del caso, ne disponga nell'interesse di uno o più creditori): in questa particolare ipotesi vi è chi ha ravvisato una fattispecie analoga a quella dei conferimenti con la conseguente applicazione, sia ai fini IVA che ai fini delle imposte sui redditi, delle regole impositive riguardanti tali operazioni.
Il trust non è, allo stato attuale del nostro ordinamento, un soggetto giuridico. Inoltre nessuna norma del nostro ordinamento tributario lo prende in considerazione espressamente quale soggetto passivo d'imposta.
Secondo il SECIT, tuttavia, si dovrebbe ritenere possibile inquadrare il trust tra gli enti indicati nell'art. 73 del D.P.R. 917/86, cosiddetto nuovo TUIR, (ex art. 87 del vecchio TUIR) che sono soggetti passivi IRES. In particolare, tale inquadramento avverrebbe in forza del comma 2 del citato articolo 73 secondo il quale sono soggetti passivi IRES anche «le organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo».
Nell'ambito di questa ricostruzione, in cui il reddito affluisce e viene imputato a un patrimonio distinto (effetto di segregazione) rispetto a quello generale del soggetto percipiente (il trustee) ma sul quale quest'ultimo esercita poteri gestori (esaltati da una situazione civilistica di proprietà), la figura e il ruolo esercitato dal trustee vengono fatti rientrare sotto il profilo tributario nella situazione del "responsabile d'imposta".
In conclusione, il contributo dato fino a ora dalla dottrina e dalla prassi amministrativa è prettamente teorico. Pertanto, si rende necessario affrontare tale problematica in termini pratici, al fine di acquisire un quadro normativo che sia un valido strumento per gli operatori e i consulenti, al fine di poter valutare correttamente la reale economicità di tale istituto.

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