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  Dicembre 2012

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n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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ORDINI E ALBI PROFESSIONALI
ATTESA UNA RIFORMA
La mancanza di concorrenzialità si riflette sui costi di imprese e consumatori

a cura dell’Area Legislativa Assindustria Salerno

di Oreste Pastore
Area Legislativa Assindustria Salerno
o.pastore@assindustria.sa.it

Il Presidente Luca Cordero di Montezemolo ha dedicato recentemente un passaggio significativo della sua relazione di investitura al tema delle liberalizzazioni e del mercato, con uno specifico riferimento al settore dei servizi professionali: «Molti osservatori che, nell'ultimo periodo, hanno cercato di dare una spiegazione della difficoltà dell'economia italiana, concordano nel dire che è la mancanza di concorrenza quella che genera il maggiore disagio. …La protezione delle professioni e la pretesa di mantenere un rapporto di tipo personale e fiduciario ha solo aperto il mercato italiano alle grandi imprese internazionali di studi giuridici, di ingegneria, di consulenza». Numerosi sono stati gli interventi di Confindustria che, in questi anni, hanno portato l'attenzione alle distorsioni e ai costi indotti nel nostro Paese dalla conservazione delle prerogative degli Ordini e degli Albi Professionali. Gli stessi Giovani Imprenditori, nell'indicare a Capri 2003 la strada delle riforme "a costo zero", cioè non traumatiche (diverse da quella, sanguinosa, dell'art.18, ad esempio), nella relazione della Presidente Artoni così si sono espressi: «La scelta decisiva in un sistema economico non è più tra pubblico e privato, ma tra mercati chiusi e aperti. Riprendiamo la strada delle "riforme a costo zero": le liberalizzazioni. … Secondo l'OCSE in Italia prevalgono "norme più attente alle esigenze degli ordini professionali che ai reali bisogni dei consumatori". La normativa nel settore delle libere professioni sembra quella di un'altra Italia: forti limitazioni all'accesso, che colpiscono i giovani, tariffe definite in modo rigido, divieti di pubblicità. Una riforma degli ordini, attesa da decenni, renderebbe più efficiente e stimolerebbe l'aumento di qualità di gran parte dei servizi alle imprese e ai cittadini». I cosiddetti Settori Professionali Regolamentati in Italia sono una trentina; per esercitare le relative professioni é obbligatorio iscriversi agli Ordini preposti, pagando significativi contributi. Le norme imposte dagli Ordini confliggono sostanzialmente con lo spirito e la norma del mercato per tre evidenti motivi: limitano l'accesso alle libere professioni, fissano tariffe e vietano la pubblicità. Si pone, quindi, ancora una volta con forza il tema della riforma (dell'abolizione?) degli Ordini e degli Albi Professionali. Bisogna riconoscere che questo fronte ha visto impegnati sul piano politico negli anni i soli radicali, in una di quelle battaglie per le quali solitamente vengono poi riconosciuti al movimento di Pannella e Bonino meriti solo a posteriori. L'attuale Governo, ad esempio, che pure si richiama fortemente a principi liberali e liberisti, anche in questo campo è invece sostanzialmente acquiescente rispetto ad una struttura oggettivamente protezionista. Né dall'opposto schieramento provengono voci più determinate nel reclamare la fine di un tale "regime". Ma forse basta guardare alla composizione professionale del nostro Parlamento per capire il perché di tanti ritardi. I mestieri in Italia sono purtroppo ancora dei feudi, che si passano di padre in figlio, caste che precludono l'accesso, per quanto possibile, ai privilegi acquisiti. Il sistema così concepito penalizza evidentemente e fortemente i giovani neolaureati, costretti a superare esami di Stato controllati dagli ordini professionali, che hanno tutto l'interesse a frenare l'ingresso a nuovi competitori nel mercato del lavoro. É facile prevedere che la pretesa degli ordini di mantenere tale sistema protezionista verrà smantellato quando tutti i professionisti, ovunque residenti nella comunità europea, potranno svolgere anche in Italia la propria attività. Taluni affermano che il permanere degli Ordini è giustificato dalla necessità di conservare un sistema di regole, contro il pericolo degli eccessi del mercato. Sul punto è opportuno considerare che non è necessario che siano gli operatori stessi a darsi le proprie norme: ma è sufficiente l'intervento dello Stato, che per definizione dovrebbe armonizzare la galassia degli interessi privati in funzione dell'interesse pubblico. A maggior ragione, le capacità professionali andrebbero valutate dallo Stato e non dagli Ordini. Anche un grande liberale come Luigi Einaudi affermava che «il mercato sono innanzitutto i Carabinieri che ne fanno rispettare le regole». Quindi, argomenti quali "gli ordini e le associazioni professionali tutelano gli utenti" fanno solamente sorridere, ed evocano l'immagine di Gatto Silvestro che protegge Titti dai pericoli: ci si dovrebbe per esempio spiegare in che modo il numero chiuso (dei notai, dei farmacisti, dei tassisti e così via) dovrebbe essere strumentale all'offerta di servizi migliori ai cittadini. Certo è invece che il bisogno di ordini professionali è tanto più avvertito quanto più sono lucrative le professioni coinvolte e non certo quando scatta l'esigenza del consumatore (come viene sostenuto). L'esempio più recente è quello di alcune professioni "emergenti", come quella di ottico, che fino ad oggi può essere esercitata da un diplomato che abbia frequentato un corso biennale di abilitazione, ma da domani, per una legge proposta dalla lobby di riferimento, potrebbe dover essere esercitata esclusivamente da un laureato (ovviamente con corso di laurea a numero chiuso). Da utente, non mi sembra di aver mai sentito l'esigenza dell'ottico laureato, quanto dell'ottico preparato. In definitiva, una società aperta al mercato e alla concorrenza, tesa alla tutela degli utenti e dei consumatori ed alla loro libertà di scelta non può convivere con l'organizzazione chiusa e corporativa delle professioni. L'UE, del resto, ha più volte stigmatizzato l'esistenza degli Ordini: il Commissario europeo Mario Monti, in un recente rapporto sui servizi liberoprofessionali è arrivato a queste conclusioni: nei Paesi europei nei quali le libere professioni sono iper-regolamentate e iper-protette i costi sono molto più alti e la qualità del servizio è peggiore. L'Italia, manco a dirlo, guida la classifica. «Il settore dei servizi in Europa - si legge nel documento Monti, che ha il pieno sostegno del commissario UE al mercato interno, Frits Bolkestein- è il principale motore di crescita nella UE e rappresenta il 67% degli occupati. Le professioni liberali giocano un ruolo importante in questo settore, ma le restrizioni ancora in vigore frenano la produttività e la crescita. I servizi professionali rappresentano il 10% dell'impiego di lavoratori altamente qualificati, con un giro d'affari di 980 miliardi di euro e 500 miliardi di valore aggiunto nella UE a 15». Anche la crescita è da record: i servizi professionali crescono a ritmo del 5%, mentre l'economia e l'occupazione crescono a ritmi nettamente inferiori. In Italia parliamo di un settore che fra avvocati, notai, farmacisti, commercialisti, ingegneri, architetti e via dicendo, si può stimare sia pari a circa 4,9 milioni di persone, di cui 1.692.287 iscritti agli Ordini e 3.252.166 operatori non regolamentati; un giro d' affari di mille miliardi di euro all'anno e che incide sui costi di produzione per il 6% circa: poco meno delle materie prime e del lavoro, e comunque quanto basta per meritare una certa attenzione quando si cerchi di arginare l'inflazione. La stessa Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha di recente preso posizioni più nette che nel passato. L'auspicio è che si abbia il coraggio di completare in sede Parlamentare una delle riforme più necessarie a questo nostro Paese, troppo abituato a ragionare su categorie date per scontate e, invece, estremamente bisognoso di crescere, soprattutto nella cultura del mercato e della concorrenza, per garantire a tutti opportunità e possibilità. Bruxelles, intanto, ci ha inviato l'ultimatum. Riforma subito o scatterà una direttiva vincolante entro il 2005.

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