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PAUSE DEL LAVORO
LA NUOVA DISCIPLINA
L’introduzione dell’istituto legale dell’intervallo giornaliero
Sergio Magrini
Ordinario di Diritto del Lavoro - Facoltà di Economia
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
sergio.magrini@flashnet.it
Fra le novità introdotte dal decreto legislativo di attuazione nell'ordinamento italiano delle direttive comunitarie in materia di orario di lavoro v'è da segnalare l'introduzione del nuovo istituto legale delle pause. Non si tratta di una novità assoluta, essendo queste già note sia come disciplina legale degli intervalli obbligatori del lavoro in alcune fattispecie particolari (ad esempio, per i minori, il riposo intermedio di 1 ora dopo 4 ore e mezza di prestazione o, per gli addetti ai videoterminali, la pausa obbligatoria di 15 minuti dopo 2 ore di attività), sia come disciplina delle pause in molti contratti collettivi ovvero nei regolamenti aziendali. La novità sta nell'aver elevato la pausa a istituto legale di carattere generale in ogni ipotesi nella quale una prestazione di lavoro superi il limite di 6 ore giornaliere (art. 8, co. 1 d.lgs. n. 66/03): con la finalità istituzionale del «recupero delle energie psico-fisiche» e con le possibili finalità aggiuntive della «eventuale consumazione del pasto» e della attenuazione delle conseguenze negative del «lavoro monotono e ripetitivo». Quanto alle fonti di regolamentazione, anche per questo aspetto il decreto non si discosta dall'impostazione, seguita anche per altri aspetti e del resto imposta dalla normativa comunitaria, secondo la quale la fonte prioritaria di disciplina è il contratto collettivo (per tale intendendosi, secondo l'art. 1 del decreto, quello «stipulato da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative»), al quale è demandato di stabilire le modalità e la durata dell'intervallo del lavoro per pausa. Al riguardo, la disciplina legislativa del decreto assume tuttavia una funzione suppletiva, attraverso la determinazione di una regola legale applicabile in difetto di normativa collettiva. La regola legale è nel senso che la pausa, da concedere nell'arco di tempo intercorrente «tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro», deve essere di durata non inferiore a 10 minuti e collocata in modo tale da «tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo» (art. 8 co. 2). In tal modo all'interesse oggettivo dell'organizzazione d'impresa viene assegnato un ruolo concorrente per l'individuazione del periodo di pausa, ma subordinato rispetto alle esigenze prioritarie di tutela dell'interesse del lavoratore al recupero delle energie (così che non sarebbe rispettosa del precetto legale, ad esempio, una collocazione della pausa, in funzione delle esigenze tecnico-produttive, in prossimità della fine delle 6 ore di lavoro, in modo tale da non realizzare la finalità primaria dell'istituto). Si tratta, in qualche misura, di una disciplina simmetricamente inversa rispetto a quella delle ferie, le quali - secondo l'art. 2109 cod. civ., per questa parte confermato dall'art. 10 del decreto - sono invece stabilite dall'imprenditore in base alle esigenze dell'impresa, sia pure tenendo conto degli interessi del prestatore di lavoro.
Di notevole rilevanza pratica è poi il regime giuridico applicabile alle pause in questione, sia sotto il profilo della retribuzione che del computo del periodo di pausa nell'orario normale di lavoro. Al riguardo, l'art. 8 co. 3 del decreto - dopo aver ribadito la facoltà di deroga attribuita ai contratti collettivi anche per questo profilo - dispone che resta ferma la disciplina dettata per i periodi di lavoro non considerato effettivo dalla normativa del 1923 (art. 5 r.d. n. 1955/23 e art. 4 r.d. n. 1956/23), i quali rimangono non retribuiti o computati come lavoro. La disposizione, che non è un capolavoro di chiarezza, sembra debba essere intesa nel senso che anche le nuove pause legali non sono retribuite e non sono calcolate come tempo di lavoro (salva diversa previsione collettiva): lo si deduce dal fatto che la normativa del 1923, confermata sul punto, annovera fra le altre ipotesi di esclusione dall'orario di lavoro, in quanto lavoro non effettivo, le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiore a 2 ore, comprese fra l'inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione all'operaio o all'impiegato.
Resta da segnalare che la disciplina legale esposta soffre numerose eccezioni (art. 17), in parte coincidenti con quelle del riposo giornaliero: in particolare, per attività di custodia o richiedenti continuità del servizio, e per alcune categorie di lavoratori fra i quali il personale direttivo e quello dotato di potere di decisione autonomo.
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