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  Dicembre 2012

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n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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IL MUTAMENTO DEL LUOGO DI LAVORO
DISTACCO, TRASFERTA E TRASFERIMENTO

Disciplina dei tre istituti, presupposti e limiti all’esercizio

a cura dell’Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno

di Giuseppe Baselice
Area Relazioni Industriali
g.baselice@assindustria.sa.it

Nel presente articolo ci occuperemo dei casi in cui il lavoratore effettua la prestazione oggetto del contratto al di fuori del luogo di lavoro inizialmente stabilito. Il datore di lavoro, infatti, nell'ambito del suo potere di direzione, può decidere di far svolgere la prestazione di lavoro in un luogo diverso da quello indicato nella lettera contratto di assunzione, utilizzando gli istituti del distacco, del trasferimento e della trasferta. La legge prevede dei limiti all'esercizio di tale potere e degli strumenti di tutela che consentono al lavoratore di opporvisi. I tre istituti citati divergono tra di loro per gli specifici caratteri inerenti la loro origine e la loro diversa funzione. Il trasferimento ricorre ogni qual volta il datore assegna il dipendente ad un'altra unità produttiva della stessa azienda per un periodo non determinato e non determinabile: il dislocamento è, quindi, definitivo e senza limiti di durata. La discrezionalità del datore di lavoro nel disporre tale provvedimento incontra un limite nell'art. 2103 del codice civile, così come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, il quale dispone che il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ulteriori limiti al potere del datore di lavoro di disporre i trasferimenti sono poi ravvisati dalla giurisprudenza, la quale ritiene che l'imprenditore sia tenuto a dimostrare che la scelta di trasferire il dipendente da un'unità produttiva ad un'altra risponde all'esigenza del miglior funzionamento aziendale e consente altresì una maggiore valorizzazione del dipendente stesso nella sede di destinazione. Altri requisiti di legittimità del trasferimento, individuati sempre dalla giurisprudenza, riguardano: la sussistenza di un rapporto di causalità tra le ragioni organizzative e il personale da trasferire; il carattere oggettivo delle ragioni del trasferimento, non potendo il provvedimento essere determinato da ragioni soggettive e, infine, la circostanza che i motivi del trasferimento sussistano al momento in cui il provvedimento viene deciso e non in un momento successivo. La contrattazione collettiva può stabilire anche ulteriori limitazioni, oltre che prevedere eventuali periodi di preavviso. Appare poi del tutto chiaro che il datore di lavoro, nel trasferire un proprio dipendente da un'unità produttiva ad un'altra, è tenuto a fargli svolgere mansioni equivalenti sul piano professionale a quelle svolte nella sede di origine e, in caso di violazione del divieto di mutamento in pejus delle mansioni assegnate al lavoratore, il provvedimento di trasferimento si considera illegittimo. Il trasferimento può riguardare il singolo lavoratore ed essere disposto su iniziativa del datore di lavoro o su esplicita richiesta del lavoratore stesso, o può riguardare anche più lavoratori (trasferimento collettivo). In via generale, tale ultima fattispecie merita un adeguato vaglio da parte delle organizzazioni sindacali, essendo coinvolti interessi più generali rispetto a quelli toccati da un trasferimento individuale, e, se previsto dalla contrattazione collettiva, l'esame sindacale è obbligatorio.
Un'altra ipotesi di dislocazione del lavoratore al di fuori del luogo di lavoro è costituita dalla fattispecie della trasferta (definita anche "missione"); si ha quando il dipendente viene comandato a svolgere la sua attività in una località diversa da quella normale, per il sopravvenire di esigenze di servizio di carattere transitorio e contingente. Al contrario del trasferimento, la trasferta non implica un allontanamento definitivo dal normale luogo di esecuzione del lavoro, ma solo uno spostamento provvisorio e temporaneo. La trasferta richiede, di solito, una predeterminazione dei limiti temporali della destinazione, o in modo assoluto o in relazione alla durata della particolare attività per cui la dislocazione viene attuata. Generalmente, la contrattazione collettiva disciplina in maniera esauriente la trasferta, per cui, oltre a quelli posti dalla stessa, il datore di lavoro non incontra particolari limiti al suo potere di assegnare in trasferta il lavoratore se non quello del rispetto della libertà e della dignità dello stesso. Una distinzione da tenere presente nello studio della tematica in oggetto è quella tra lavoratore trasfertista e lavoratore in trasferta; mentre quest'ultima fattispecie implica un collegamento tra l'invio in missione e l'abituale attività del lavoratore, il trasfertista è quel lavoratore contrattualmente obbligato ad essere disponibile ad eseguire la propria prestazione in luoghi sempre diversi dalla sede. Tale distinzione assume rilievo pratico, in quanto, l'assegnazione al lavoratore della posizione di trasfertista non può essere determinata unilateralmente dal datore di lavoro, ma deve essere concordata tra le parti. L'altro istituto che consente la modificazione del luogo di lavoro è quello del distacco del lavoratore, il quale ha trovato per la prima volta applicazione nel campo dei rapporti di lavoro privatistico a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 30 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Riforma Biagi); la precedente previsione di cui all'art. 8 della legge n. 236/1993 era strettamente connessa alla finalità di evitare riduzioni di personale. Il Decreto legislativo appena richiamato configura l'ipotesi del distacco quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Diversamente dal trasferimento, nel distacco l'esecuzione della prestazione viene resa a favore di un soggetto terzo. Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. 276/2003, i requisiti di legittimità del distacco sono la temporaneità dello stesso e l'interesse del distaccante. Il requisito della temporaneità viene individuato nella Circolare n. 3/2004 del Ministero del Lavoro, con quello di non definitività indipendentemente dall'entità della durata del periodo di distacco, fermo restando che tale durata sia funzionale alla persistenza dell'interesse del distaccante. Quest'ultimo requisito va inteso in senso ampio, potendo coincidere con qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non si concretizzi con la mera somministrazione di lavoro altrui, e, comunque, tale da persistere per tutta la durata del distacco. Per quanto riguarda il trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato, questo rimane in capo al distaccante, così come il trattamento contributivo, che deve essere adempiuto in relazione all'inquadramento della sede di provenienza. Anche il premio per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è a carico del distaccante ma va calcolato sulla base dei premi e della tariffa applicate all'impresa distaccataria. Il potere del datore di lavoro di disporre il distacco del lavoratore incontra alcuni limiti nelle seguenti fattispecie: quando comporti un mutamento di mansioni e quando il lavoratore venga trasferito ad un'unità produttiva sita a più di 50 chilometri da quella in cui è normalmente adibito. Nel primo caso, il distacco è consentito solo previo consenso del lavoratore, il quale vale a ratificare l'equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando il demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione della attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso. Invece, il distacco ad unità produttiva localizzata a più di 50 Km può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive.

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