IL MUTAMENTO DEL LUOGO DI LAVORO
DISTACCO, TRASFERTA E TRASFERIMENTO
Disciplina dei tre istituti, presupposti e limiti all’esercizio
a
cura dell’Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno
di
Giuseppe Baselice
Area Relazioni Industriali
g.baselice@assindustria.sa.it
Nel
presente articolo ci occuperemo dei casi in cui il lavoratore effettua la prestazione
oggetto del contratto al di fuori del luogo di lavoro inizialmente stabilito.
Il datore di lavoro, infatti, nell'ambito del suo potere di direzione, può decidere
di far svolgere la prestazione di lavoro in un luogo diverso da quello indicato
nella lettera contratto di assunzione, utilizzando gli istituti del distacco,
del trasferimento e della trasferta. La legge prevede dei limiti all'esercizio
di tale potere e degli strumenti di tutela che consentono al lavoratore di opporvisi.
I tre istituti citati divergono tra di loro per gli specifici caratteri inerenti
la loro origine e la loro diversa funzione. Il trasferimento ricorre ogni qual
volta il datore assegna il dipendente ad un'altra unità produttiva della
stessa azienda per un periodo non determinato e non determinabile: il dislocamento è,
quindi, definitivo e senza limiti di durata. La discrezionalità del datore
di lavoro nel disporre tale provvedimento incontra un limite nell'art. 2103 del
codice civile, così come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori,
il quale dispone che il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva
ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Ulteriori limiti al potere del datore di lavoro di disporre i trasferimenti sono
poi ravvisati dalla giurisprudenza, la quale ritiene che l'imprenditore sia tenuto
a dimostrare che la scelta di trasferire il dipendente da un'unità produttiva
ad un'altra risponde all'esigenza del miglior funzionamento aziendale e consente
altresì una maggiore valorizzazione del dipendente stesso nella sede di
destinazione. Altri requisiti di legittimità del trasferimento, individuati
sempre dalla giurisprudenza, riguardano: la sussistenza di un rapporto di causalità tra
le ragioni organizzative e il personale da trasferire; il carattere oggettivo
delle ragioni del trasferimento, non potendo il provvedimento essere determinato
da ragioni soggettive e, infine, la circostanza che i motivi del trasferimento
sussistano al momento in cui il provvedimento viene deciso e non in un momento
successivo. La contrattazione collettiva può stabilire anche ulteriori
limitazioni, oltre che prevedere eventuali periodi di preavviso. Appare poi del
tutto chiaro che il datore di lavoro, nel trasferire un proprio dipendente da
un'unità produttiva ad un'altra, è tenuto a fargli svolgere mansioni
equivalenti sul piano professionale a quelle svolte nella sede di origine e,
in caso di violazione del divieto di mutamento in pejus delle mansioni assegnate
al lavoratore, il provvedimento di trasferimento si considera illegittimo. Il
trasferimento può riguardare il singolo lavoratore ed essere disposto
su iniziativa del datore di lavoro o su esplicita richiesta del lavoratore stesso,
o può riguardare anche più lavoratori (trasferimento collettivo).
In via generale, tale ultima fattispecie merita un adeguato vaglio da parte delle
organizzazioni sindacali, essendo coinvolti interessi più generali rispetto
a quelli toccati da un trasferimento individuale, e, se previsto dalla contrattazione
collettiva, l'esame sindacale è obbligatorio.
Un'altra ipotesi di dislocazione del lavoratore al di fuori del luogo di lavoro è costituita
dalla fattispecie della trasferta (definita anche "missione"); si ha
quando il dipendente viene comandato a svolgere la sua attività in una
località diversa da quella normale, per il sopravvenire di esigenze di
servizio di carattere transitorio e contingente. Al contrario del trasferimento,
la trasferta non implica un allontanamento definitivo dal normale luogo di esecuzione
del lavoro, ma solo uno spostamento provvisorio e temporaneo. La trasferta richiede,
di solito, una predeterminazione dei limiti temporali della destinazione, o in
modo assoluto o in relazione alla durata della particolare attività per
cui la dislocazione viene attuata. Generalmente, la contrattazione collettiva
disciplina in maniera esauriente la trasferta, per cui, oltre a quelli posti
dalla stessa, il datore di lavoro non incontra particolari limiti al suo potere
di assegnare in trasferta il lavoratore se non quello del rispetto della libertà e
della dignità dello stesso. Una distinzione da tenere presente nello studio
della tematica in oggetto è quella tra lavoratore trasfertista e lavoratore
in trasferta; mentre quest'ultima fattispecie implica un collegamento tra l'invio
in missione e l'abituale attività del lavoratore, il trasfertista è quel
lavoratore contrattualmente obbligato ad essere disponibile ad eseguire la propria
prestazione in luoghi sempre diversi dalla sede. Tale distinzione assume rilievo
pratico, in quanto, l'assegnazione al lavoratore della posizione di trasfertista
non può essere determinata unilateralmente dal datore di lavoro, ma deve
essere concordata tra le parti. L'altro istituto che consente la modificazione
del luogo di lavoro è quello del distacco del lavoratore, il quale ha
trovato per la prima volta applicazione nel campo dei rapporti di lavoro privatistico
a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 30 del D.Lgs. 10 settembre 2003,
n. 276 (Riforma Biagi); la precedente previsione di cui all'art. 8 della legge
n. 236/1993 era strettamente connessa alla finalità di evitare riduzioni
di personale. Il Decreto legislativo appena richiamato configura l'ipotesi del
distacco quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse pone
temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto
per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Diversamente
dal trasferimento, nel distacco l'esecuzione della prestazione viene resa a favore
di un soggetto terzo. Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. 276/2003, i requisiti
di legittimità del distacco sono la temporaneità dello stesso e
l'interesse del distaccante. Il requisito della temporaneità viene individuato
nella Circolare n. 3/2004 del Ministero del Lavoro, con quello di non definitività indipendentemente
dall'entità della durata del periodo di distacco, fermo restando che tale
durata sia funzionale alla persistenza dell'interesse del distaccante. Quest'ultimo
requisito va inteso in senso ampio, potendo coincidere con qualsiasi interesse
produttivo del distaccante che non si concretizzi con la mera somministrazione
di lavoro altrui, e, comunque, tale da persistere per tutta la durata del distacco.
Per quanto riguarda il trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato,
questo rimane in capo al distaccante, così come il trattamento contributivo,
che deve essere adempiuto in relazione all'inquadramento della sede di provenienza.
Anche il premio per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali è a carico del distaccante ma va calcolato sulla base dei
premi e della tariffa applicate all'impresa distaccataria. Il potere del datore
di lavoro di disporre il distacco del lavoratore incontra alcuni limiti nelle
seguenti fattispecie: quando comporti un mutamento di mansioni e quando il lavoratore
venga trasferito ad un'unità produttiva sita a più di 50 chilometri
da quella in cui è normalmente adibito. Nel primo caso, il distacco è consentito
solo previo consenso del lavoratore, il quale vale a ratificare l'equivalenza
delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando il demansionamento,
implichi una riduzione e/o specializzazione della attività effettivamente
svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso. Invece, il
distacco ad unità produttiva localizzata a più di 50 Km può avvenire
solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive.
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