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  Dicembre 2012

Articoli - n° 5 Giugno 2004
 



CREDITO & FINANZA - Home Page
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SOCIETÀ DI CAPITALI
I PATRIMONI DESTINATI

I NUOVI ARTICOLI DEL TUIR
PREVISTE DUE IPOTESI INTERESSANTI

RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
COORDINAMENTO CON I TESTI UNICI

SOCIETÀ DI CAPITALI
I PATRIMONI DESTINATI
Nuove possibilità di finanziamento per le imprese

Marco Di Lorenzo
Componente Ordine dei Dottori Commercialisti Salerno
mdilorenzo@tin.it


La recente riforma del diritto societario, realizzata con i D.Lgs. n.6/2003 e n.37/2004, ha innovato sostanzialmente la disciplina in materia di società di capitali e di società cooperative. La riformulazione della materia e l'individuazione di nuovi principi fondamentali rendono il passaggio, dal vecchio al nuovo sistema di norme, particolarmente complesso. Per tale motivo l'entrata in vigore delle nuove leggi è stata disposta dal 1° gennaio 2004 con la possibilità per le società già esistenti di adeguare gli statuti entro il 30 settembre 2004. Il nuovo diritto societario è informato ad una semplificazione della disciplina delle società di capitali, ormai non più al passo con le esigenze dei mercati attuali, all'autonomia statutaria, all’introduzione di modelli più flessibili; tra gli istituti introdotti, maggiore innovazione è portata dalla previsione dell'art.2447 bis e segg. c.c. relativo ai patrimoni destinati ad uno specifico affare. L'istituto in esame, nell'ottica della consacrazione dell'autonomia statutaria e della facilitazione dell'accesso ai mercati finanziari, consente di costituire uno o più patrimoni, ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare, nonché di convenire che nel contratto relativo al finanziamento dello stesso, al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo, siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi.

Con tale istituto la separazione patrimoniale viene proiettata verso una funzionalità di tipo produttivo e gestionale, prima attuata attraverso l'utilizzo di altri istituti, e oggi, invece, realizzata nell'ottica di creare uno strumento non più di natura partecipativa, ma dipendente esclusivamente dall'andamento dell'affare a cui quel patrimonio è destinato. Ciò che lo distingue da altri istituti con cui condivide l'esigenza di una separata rappresentazione contabile e un particolare regime di responsabilità patrimoniale, è la disciplina relativa al "vincolo di destinazione". Il profilo della separazione patrimoniale si traduce nell'insensibilità del patrimonio vocato rispetto alle vicende societarie. Tale separazione non è perfetta né simmetrica: da una parte i creditori della società non possono far valere le loro ragioni creditorie sui beni separati, dall'altra la società non risponde, a meno che non abbia assunto uno specifico obbligo in sede di costituzione, delle obbligazioni contratte per lo specifico affare, se non con il patrimonio a ciò destinato. L'autonomia che il legislatore ha voluto attribuire alla società con la possibilità di costituire uno o più patrimoni destinati è bilanciata dal necessario obbligo di pubblicità per la tutela dei diritti dei creditori. La deliberazione della costituzione del patrimonio separato deve contenere l'indicazione dei beni e rapporti giuridici destinati ed essere iscritta nel registro delle imprese, mentre i creditori hanno tempo due mesi dall'iscrizione per muovere eccezioni alla destinazione del patrimonio societario a quello specifico affare. Invero, gli atti compiuti in relazione allo specifico affare devono contenere espressa menzione del vincolo di destinazione. Un'analitica disciplina relativa alle scritture contabili è contenuta negli artt. 2447 sexies, 2447 septies e 2447 novies, primo comma del c.c. proprio in virtù dell'esigenza di controllo del corretto utilizzo dei beni destinati, del rispetto del vincolo di destinazione, e a tutela degli interessi patrimoniali della società e dei terzi. Vi è quindi la necessità di rappresentare sul piano contabile la separazione patrimoniale e il risultato di gestione relativo attraverso una distinta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili e nei libri sociali, nonché di indicare nello stato patrimoniale della società i beni e i rapporti costituenti il patrimonio destinato, di redigere un separato rendiconto da allegare al bilancio e di fornire nella nota integrativa tutte le informazioni necessarie per valutare la congruità della dedica patrimoniale. Meno stringente appare la disciplina relativa alla corretta rendicontazione e rappresentazione dei "finanziamenti destinati" previsti dal primo comma lett.b) dell'art.2447 bis disciplinato interamente dall'art.2447 decies c.c. posto che la separazione riguarda unicamente i proventi dell'operazione di impiego di capitali reperiti presso un terzo finanziatore. La garanzia di restituzione del capitale, in tal caso, non si fonda sulla solvibilità dell’impresa destinataria del finanziamento, ma sulla bontà dell'investimento, cioè della capacità dell'affare di generare flussi di reddito in grado di autofinanziarsi. Contabilmente la norma prescrive di indicare per le voci di bilancio relative ai proventi la destinazione degli stessi e dei vincoli relativi ai beni strumentali necessari alla realizzazione dell'operazione.

L'aspetto fortemente incentivante della novella normativa di cui trattasi si evidenzia nel potenziamento delle fonti di autofinanziamento, giacché vi è la possibilità di reperire risorse da destinare con ricorso al mercato dei capitali. In tal caso, si potrebbe parlare di un modello di patrimonio dedicato esterno, alla cui formazione concorrono anche terze economie rispetto a quello di patrimonio separato interno costituito esclusivamente da beni sociali. La società a tal fine potrebbe emettere degli strumenti finanziari di partecipazione assimilabili alle azioni ma da queste distinte perché non rappresentano un'aliquota del capitale della società emittente, ma solo forme di partecipazione a quel capitale di rischio destinato; non assimilabili alle obbligazioni in quanto non è sancita la garanzia sulla restituzione del capitale. Gli strumenti finanziari destinati alla circolazione potrebbero incorporare in chi li sottoscrive la posizione del finanziatore rispetto all'affare per il quale sono emessi, ma potrebbero anche lasciare presupporre, per il vincolo che li caratterizza, un indebitamento di tipo tradizionale, e quindi assolvere ad una funzione essenzialmente di garanzia. I finanziamenti destinati ad uno specifico affare, sotto l'aspetto tributario, non generano particolare complessità. La Commissione Gallo, che ha avuto incarico di studiare i riflessi tributari legati all'introduzione della riforma societaria ed elaborare ipotesi di adeguamento del vigente ordinamento fiscale alle novità del D.Lgs. 6/2003, ha proposto il criterio di determinazione del regime fiscale per entrambi i contraenti coinvolti nell'affare sul presupposto di individuare lo strumento tributario utilizzato. Pertanto per chi finanzia, i proventi dell'affare dovrebbero essere tributariamente trattati come redditi di capitali di cui all'art.41 del T.U.I.R.. Per chi, invece, ha ricevuto l'apporto di capitale, il pagamento della remunerazione del capitale finanziato sarebbe integralmente deducibile in quanto imputato per l'intero a conto economico. Il rimborso della somma finanziata conterebbe solo sotto l'aspetto patrimoniale non producendo effetti sui conti di reddito se non per la eventuale differenza tra la somma ottenuta a prestito e il maggior o minor valore rimborsato. Per ciò che concerne la tassazione del reddito positivo dell'affare, la Commissione Gallo ha individuato due ipotesi: da un lato si penserebbe a una tassazione del provento derivante esclusivamente dal patrimonio vocato, dall'altro, ipotesi più plausibile, il reddito positivo generato dall'affare confluirebbe nel risultato di gestione della società che ha deliberato la costituzione della separazione patrimoniale.

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