ECCO L’IRPINIA IN CONTROLUCE
IL REPORT DELLA CAMERA DI COMMERCIO
LA SALUTE DELL’ECONOMIA NAZIONALE
ISTRUZIONI PER LA RIPRESA
UNIVERSITÀ, BANCHE E AZIENDE
TRINOMIO PER LA CRESCITA DELL’IRPINIA
IL VINO COME BANDIERA
CRESCE L’ENOGASTRONOMIA
IL VINO COME BANDIERA
CRESCE L’ENOGASTRONOMIA
Le uve irpine fiore all’occhiello dell’economia provinciale
Stefano Sassi
Redattore Capo Tg2 Rai
s.sassi@rai.it
La Seconda Giornata dell'Economia, voluta dall'Unioncamere, è stata celebrata in modo estremamente significativo dalla Camera di Commercio di Avellino. Non solo per la qualità del Convegno che ha caratterizzato la giornata, ma soprattutto per gli allegati economici che sono stati prodotti per l'occasione. Se è vero che la provincia di Avellino nel Mezzogiorno è la più evoluta in termini economici, altrettanto autentica è la volontà degli attori di questa realtà di andare avanti, di sentirsi più italiani che uomini del mezzogiorno, più europei, dato l'elevato grado di esternalizzazione dell'economia avellinese. I problemi posti dal dibattito nel convegno sono stati diversi, ma, su tutti, uno ha imperato e deve, anche a convegno concluso, essere tenuto sempre ben presente. Non si può discutere di una realtà locale, foss'anche avanzata, senza tener presente il contesto nazionale e internazionale se, come accade in questa provincia, molte aziende hanno una vocazione internazionale. Proprio per questo motivo, analizzando i dati messi a disposizione, sono arrivato alla conclusione che, al di là dell'aspetto congiunturale, l'economia avellinese ancora si propone bene nel contesto nazionale e soprattutto del mezzogiorno. Alcuni interlocutori non erano di quest’avviso: ma bisogna distinguere tra la polemica ad uso locale e quella vera sull'interpretazione di fatti e numeri. La stessa Giornata dell'Economia, sbriciolata a livello di singola Camera ci pone di fronte ad una riflessione e ad un obiettivo: forse il fine ultimo è quello di dare un contributo a tutti per conoscere meglio le realtà locali, la cui somma può dare uno spaccato forse più realistico di quello che ultimamente ci danno gli istituti di ricerca economica, molto politicizzati e poco attenti ai processi. Il dato che ha preoccupato molti interlocutori è quello del Pil Pro Capite.
Nell'ultimo anno in Irpinia ha segnato una perdita dello 0,1% a fronte del fatto che tale parametro in Campania è cresciuto del 3,2% e del 2,6% in Italia. Francamente un dato che mi lascia indifferente se pensiamo che il prodotto nazionale non cresce in termini reali da quattro anni e negli ultimi tre non si è complessivamente raggiunto l'1% di incremento complessivo del Pil, ma in termini monetari (in termini reali nel triennio saremmo intorno al -6%).
Quello che dovrebbe destare perplessità, semmai, è il fatto che il peso della pelle conciata sul totale dell'export è ancora troppo grande e per tenerlo a questi livelli occorre tutta una serie di investimenti per rilanciare, anche tecnologicamente, il comparto. Nel 2003, infatti, è stato esportato il 23% delle pelli finite in meno, una perdita che si sostanzia in circa 80 milioni di euro. C'è anche da dire che è stato importato il 40% di pelli grezze in meno, con un "risparmio" di 100 milioni di euro. E non c'è ombra di dubbio che sull'andamento del settore abbia pesato anche l'apprezzamento dell'euro, ma questo è un problema che riguarda tutta l'economia nazionale. Magari bisogna rilanciare l'innovazione per un settore che è molto sensibile ai gusti della moda e ha molti succedanei. Invece, bisogna puntare molto sull'agricoltura e in particolare modo sul vino. Quest’ultimo sta diventando una sorta di porta bandiera della provincia. Un prodotto di altissima qualità conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, anche se la produzione non è quantitativamente a livello di altre nazioni. Ma la carta del vino deve essere giocata e fino in fondo, anche intersecando questo settore con l'agriturismo e il turismo enogastronomico, una fonte di guadagno reale che richiede, tra l'altro, investimenti molto contenuti.
Un settore destinato a crescere nei prossimi anni, ma sul quale nel corso della discussione mi è sembrato di scorgere una certa freddezza. Nel 2003 la provincia di Avellino ha ricevuto circa 47mila visitatori stranieri che hanno sostenuto una spesa complessiva di 31 milioni di euro. In termini numerici c'è stato un calo del 4%, in termini di spesa l'ammontare è sceso del 22%. I pernottamenti sono scesi dai 743mila del 2002 ai 586mila del 2003, segno ulteriore della poca attenzione verso il settore. Anche perché a livello nazionale, nonostante l'anno turistico sia andato male, il flusso di questo turismo particolare, a base di enogastronomia, natura e parchi è aumentato del 15% in termini numerici e del 16% come spesa. Ma gli occhi degli imprenditori oggi sono distratti da altre vicende, comunque importanti. Non a caso il presidente della Camera di Commercio di Avellino, Costantino Capone, ha voluto presentare oltre alla ricerca generale, una particolare su "le dinamiche creditizie a livello provinciale - Anni 1999-2003". Su questo abbiamo molto discusso perché non c'è dubbio che le imprese del Mezzogiorno siano state sempre penalizzate a livello di costo del denaro.
Certo per i dati che presenta Avellino un pensiero in più sarebbe d’obbligo. Gli imprenditori, infatti, lamentano che mentre gli impieghi crescono in tutte le altre province campane e nelle altre aree geografiche, qui si sono ridotti del 3%. Non solo. Le sofferenze bancarie passano dal 14 al 7,7%, grazie anche ad operazioni di cartolarizzazione. Anche in questo segmento, il valore più basso della Campania. E in più, il peso degli oneri finanziari delle imprese irpine diminuisce sul valore aggiunto, dal 22% del '97 si arriva all'11% del 2002. Altri dati testimoniano che la situazione delle aziende è sicuramente meno grave che in altre parti d'Italia. Ma nel Mezzogiorno, si sa, il problema più grave è quello dell'occupazione. Nella provincia il tasso di disoccupazione è pari all'11,9%, in Campania al 20,2%, in Italia all'8,7%. Di contro il tasso di occupazione è in Irpinia del 41,8%, rispetto al 35,4% di tutta la regione e al 44,8% dell'intero Paese. In totale in Irpinia gli occupati dell'industria e dei servizi sono 68mila. Nel 2003 l'occupazione è diminuita del 2,2%, cioè sono stati persi 3.000 posti di lavoro.
Ma allo stesso tempo diminuisce il numero di coloro che cercano lavoro, il 17% in meno. Un fenomeno che deve essere attentamente osservato e le cui cause, ripresa dell'emigrazione e invecchiamento della popolazione, vanno costantemente monitorate. Anche perché, lo dicevamo prima, bisogna creare situazioni di "fuga'" nel senso che la deindustrializzazione di alcuni settori può essere accompagnata con la crescita di altre attività.
Sono d'accordo sul fatto che la formazione giochi un ruolo importante e fondamentale proprio in queste aree dove il "polo" industriale che c'è deve in qualche modo essere salvaguardato e sostenuto anche dall'intervento pubblico oltre che dalla voglia di investire dei singoli privati. Avellino può creare un asse con Napoli di sicuro interesse. E le imprese che hanno questa vocazione all'internazionalizzazione debbono mettere in essere tutte quelle azioni di consorzio per presentarsi in modo non dispersivo sui mercati internazionali. Un'esigenza richiamata giustamente anche dall'Assessore Regionale alle Attività Produttive Gianfranco Alois, e che condivido pienamente. E qui che le banche potrebbero davvero giocare un ruolo diverso.
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