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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO-FEBBRAIO 2009
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di Raffaella VENERANDO

Giovani e politica, due mondi “non comunicanti”

«La politica va vissuta come un impegno civile»

Vendola: «Il raccordo con i giovani È un investimento per il futuro»

«La politica italiana non incanta piÙ»

«L’efficienza amministrativa combatte la “malapolitica”»

«C’È bisogno di risposte concrete»

«Anche in politica dovrebbe esserci il passaggio generazionale»

«Non c’È ricambio e i partiti sembrano club privati»

«Occorrono maggiore partecipazione e visione di insieme»

«Va recuperato il valore strategico della rappresentativitÀ»

Brutta, sporca e cattiva? PerchÉ la politica italiana non affascina piÙ



«Occorrono maggiore partecipazione
e visione di insieme»


Andrea Bachrach
Presidente G. I.
Unione Industriali di Napoli


Esiste una distanza reale tra giovani e politica. Di chi è la responsabilità, dei giovani scarsamente interessati alla sfera pubblica oppure della politica che finisce con l’allontanare invece di coinvolgere?

Accusare la politica oggi può apparire come sparare sulla croce rossa, ma obiettivamente non si vede come i giovani potrebbero essere coinvolti stante l’attuale situazione. I partiti non sono più né “pensatoi”, né centri di aggregazione sociale. Altri canali, come internet, sono poco utilizzati dai politici, soprattutto per quel che concerne le caratteristiche più rilevanti, come l’interattività. Le decisioni della politica, al di là delle enunciazioni verbali, vanno nella direzione di marcia opposta a quella della partecipazione. Un esempio eclatante sono le liste bloccate.
Cosa sarebbe necessario fare per riavvicinare i cittadini, e non solo i giovani, alla politica?
Si dice spesso che la politica deve essere concepita come servizio e non come potere. Io dico che deve essere un potere che si consolida e si espande promuovendo il consenso intorno a idee, programmi, interventi, e non ricercando voti in cambio di favori. Ciò può avvenire solo se la politica dialoga concretamente con la società civile, comprendendone le istanze più profonde, nobilitandole in sintesi virtuose che contemperino gli interessi in nome dei valori, traguardando tali interessi verso il bene comune, superando logiche corporative. Un altro punto sottolineato più volte nel dibattito politico moderno è la crisi delle ideologie. Ciò non significa navigare a vista, come invece mostra quasi sempre la prassi politica. Bisogna ritrovare il gusto di porsi obiettivi ambiziosi. Nella routine di quadri dirigenti ed esponenti istituzionali si avverte la mancanza di una vision. Al contrario, bisogna interrogarsi su cosa vogliamo che siano un territorio, una comunità, di qui a venti-trent’anni. I più interessati alla ripresa di un serio, costruttivo dibattito sul modello di sviluppo della nostra società sarebbero proprio i giovani.
L’impresa ha un valore intrinsecamente sociale, spesso non riconosciuto. É la politica a non farsene carico oppure sono gli imprenditori a non reclamare sufficiente attenzione?
La responsabilità è essenzialmente della politica. Se la politica ripiega su se stessa fino a limitarsi alla gestione dell’esistente, è inevitabile che l’impresa venga vista come un elemento estraneo, se non addirittura con ostilità. La politica dovrebbe indicare le grandi direttrici di marcia, effettuare le scelte strategiche fondamentali per lo sviluppo. Per il resto, nei limiti dettati dal realismo e dal buonsenso, e salvaguardando settori per loro natura pubblici quali la difesa e la sicurezza di un territorio, occorrerebbe tendere a esternalizzare la gestione delle attività. Gestione privata non significa deregolamentazione. La crisi internazionale, come evidenzia il libro di Francesco Delzio, nasce dalla rinuncia della politica a svolgere con rigore e nettezza il proprio ruolo. É così che sono stati inopinatamente tolti argini indispensabili per evitare possibili distorsioni dei meccanismi del mercato finanziario, poi puntualmente verificatesi. Ma una cosa è fissare regole e monitorarne l’applicazione, un’altra è gestire dei processi di attività produttive o di servizio. Qui l’interesse al profitto di un’impresa può conciliarsi con la sua funzione sociale di promotrice dello sviluppo e creatrice di nuova occupazione.
Quale requisito è, secondo lei, irrinunciabile per essere un buon politico?
La lungimiranza. Non nego il valore di compiere piccoli passi, specie in situazioni come quella napoletana, segnate da problemi annosi, piaghe sociali, intrecci ambigui tra ambienti criminosi e spezzoni della cosiddetta società civile. Ma quello che qualifica il politico è la visione d’insieme, senza cui si può avere un brillante tecnico, non un capace amministratore della cosa pubblica. Solo se riesco a inquadrare le mie iniziative in uno scenario di prospettiva, posso aspirare a fare politica con la “P” maiuscola.

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