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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO-FEBBRAIO 2009
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La gestione del conflitto
nell’attivitÀ d’impresa


Strategie di conflict management e metodi alternativi di dispute resolution

Il conflict management e la dispute resolution divengono così il nuovo banco di prova per l’impresa e per i suoi consulenti in quanto è nella relazione quotidiana con gli stakeholders che la fisiologicità del conflitto può degenerare fino a diventare patologica

«Là dove c’è un perdente
la guerra non è mai finita»
(Mahatma Gandhi)

«Polemos, il conflitto,
è padre di tutte le cose»
(Eraclito)

M. Marinaro
Avvocato Cassazionista - Conciliatore CCIAA Salerno, Avellino, Caserta
Perfezionato in Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale - Univ. Salerno Membro dell’AIA Associazione Italiana per l’Arbitrato
info@studiolegalemarinaro.it

Il conflitto è una forma di interazione sociale nella quale emerge tra i soggetti coinvolti una incompatibilità negli scopi o nei comportamenti. Si tratta evidentemente di una esperienza universale dell'essere umano e della società, ma molteplici sono le modalità che, nel tempo e nello spazio, vengono impiegate per la gestione di questo fenomeno. Le diverse forme di violenza e la guerra costituiscono gli esempi di modalità distruttive nella gestione del conflitto. Altri sono gli approcci costruttivi come la mediazione, la negoziazione integrativa, e - per i conflitti politici e sociali - la nonviolenza.
Non è questa la sede per approfondire ulteriormente aspetti filosofici e sociologici del complesso fenomeno sociale, ma è stato rilevato come nel tempo l’avanzare della civiltà moderna abbia sempre affrontato il tema del conflitto nella prospettiva del suo definitivo superamento. “Un mezzo in vista di un fine, un momento difficile che si tratta di oltrepassare”. In questa prospettiva il riaccendersi di tensioni irriducibili e di conflitti ad ogni livello sociale crea frequentemente disorientamento e preoccupazione. La cultura dominante infatti aspira alla cancellazione del conflitto o, comunque, alla sua attenuazione. L’affermarsi della civiltà sulla “barbarie” postula l’eliminazione del conflitto. È questa l’equazione che in qualche modo rischia di creare una società che non tollera i conflitti allontanando “l’altro” che volta a volta non si conforma divenendo ipso facto fonte di pericolo. Si crea così una società chiusa, nella quale gli esclusi sono i nuovi barbari che per definizione devono essere rifiutati. Ma la scelta tra “esistenza del conflitto” e “assenza del conflitto” se pur rassicurante e dall’esito scontato è destinata ad infrangersi.
Non esiste società umana senza conflitto. Non si tratta di affermare la civiltà rimuovendo il conflitto. La sfida dunque è altrove. Bisogna acquisire consapevolezza che occorre costruire le condizioni per un vivere sociale malgrado il conflitto o, meglio ancora, attraverso il conflitto.
Nel ripensamento dell’approccio al conflitto a tutti i livelli sociali si può acquisire consapevolezza come in ogni contesto, anche quello aziendale e commerciale, occorra imparare a vivere questa forma di interazione nella prospettiva non della cancellazione, quanto della soluzione positiva in una prospettiva gestionale strategica.
Affrontare così -come sempre più frequentemente accade- i temi dei “sistemi alternativi per la risoluzione delle controversie” (secondo l’acronimo di origine anglosassone ADR, Alternative Dispute Resolution) non può costituire una scelta necessitata (allorquando si esaminano i preoccupanti dati della giustizia civile italiana) inseguendo l’idea di una utopica deflazione del contenzioso giurisdizionale mediante il mero accesso alle nuove “tecniche” della giustizia diffusa. Tantomeno può rappresentare una tendenza mediante la quale limitarsi ad attuare nuovi procedimenti magari imposti da nuove norme legislative che in quanto tali rischiano di creare soltanto nuovi e inutili meccanismi burocratizzati.
Risolvere una controversia senza ricorrere alla “spada” della giustizia statale postula da parte degli operatori e degli utenti di queste nuove forme di giustizia la consapevolezza della impossibilità della eradicazione del conflitto. Di qui l’esigenza di “gestire il conflitto”. Governare il conflitto costituisce un tema centrale nell’approccio alle relazioni umane e, quindi, alle relazioni commerciali che rappresentano il motore dell’attività d’impresa.
Ed allora il tentativo di trattare, seppur in maniera pragmatica, la “gestione dei conflitti”, consente di avvicinarsi al tema senza tralasciare le numerose problematiche che quotidianamente l’impresa (dalla piccola alla media, sino alla grande impresa) deve gestire nei rapporti con i diversi stakeholders all’interno ed all’esterno della stessa.
Gestire “positivamente” il conflitto significa per l’impresa valorizzare situazioni che potrebbero trasformarsi in contenziosi o, se già in atto, potrebbero trascinarsi per anni creando fratture irreversibili tra le parti con ripercussioni anche sulla reputazione e sull’immagine aziendale. Senza considerare le notevoli complicazioni per le liti che nascono dalle sempre più frequenti contrattazioni internazionali anche multilaterali che ormai coinvolgono l’impresa in qualunque dimensione economica.
Il conflict management e la dispute resolution divengono così il nuovo banco di prova per l’impresa e per i suoi consulenti in quanto è nella relazione quotidiana con gli stakeholders che la fisiologicità del conflitto può degenerare sino a divenire patologica. La capacità di gestione dei rapporti con gli stakeholders e del conflitto insito negli stessi diviene altresì uno dei requisiti principali sui quali misurare anche la consulenza direzionale.
Prevenzione e soluzioni innovative win-win nell’ottica della strategia gestionale costituiscono attività d’elezione del giurista. Ed invero appare utile rilevare come la consulenza e l’assistenza del professionista legale divengono in questa ottica un continuo processo di analisi delle problematiche e del loro contesto, strategia, valutazione, azione. Nasce così anche la mediation advocacy: la mancata soluzione preliminare di un conflitto che tende a degenerare in una vera e propria controversia trova sbocco nelle diverse forme di mediation ove il legale conduce la procedura verso la soluzione ottimale per il cliente. Scelta del sistema più adeguato (conciliazione, arbitrato, azione giudiziaria), valutazione dei vantaggi/svantaggi (criteri oggettivi e soggettivi, costi, tempi, conseguenze), identificazione delle alternative possibili in caso di mancato accordo e della migliore alternativa all’accordo negoziato.
Il rapporto diretto con l’imprenditore e la scelta condivisa della policy gestionale aziendale consentono poi all’avvocato d’impresa di assumere il ruolo di un vero e proprio “General counsel” esprimendo competenze che spaziano dalla gestione degli stakeholders a quella della consulenza legale e del contenzioso in senso stretto, dalla corporate governance alla compliance, anche per quanto riguarda (ad es.) la gestione della privacy, la legislazione antitrust, la sicurezza nei luoghi di lavoro, la tutela dell’ambiente, la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e, non ultima, la responsabilità sociale (corporate social responsability) quale mission strategica aziendale verso un nuovo modo di “fare impresa”.
Nel percorso che si intraprende saranno quindi affrontare le tematiche inerenti la gestione del conflitto nell’attività d’impresa e, quindi, gli strumenti che prevengono e risolvono stragiudizialmente le liti. La conciliazione, l’arbitrato e tutte le diverse e molteplici forme di A.D.R. che costituiscono sempre più temi di particolare interesse per l’imprenditore che potrà assumere consapevolezza che da ogni conflitto può nascere una nuova opportunità per l’azienda.

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