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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
OTTOBRE 2004
 

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UN PATTO PER LA CRESCITA
SUPERARE I VINCOLI FINANZIARI

COME UN'IDEA DIVENTA IMPRESA
LA STRATEGIA D'INTERVENTO DEL BIC

UN PATTO PER LA CRESCITA
SUPERARE I VINCOLI FINANZIARI
Un credito di qualità per contribuire allo sviluppo dell’industria italiana

di Raffaella Venerando


Francesco Perruccio
Responsabile Sud Italia di UniCredit
francesco.perruccio@unicredit.it

 

Gli scenari del cambiamento in Europa coinvolgono tutti gli attori del mondo economico e produttivo in egual misura. Le partnership sempre più strette tra chi eroga i servizi di credito e chi produce impongono all’intero sistema imprenditoriale di tenere in serissima considerazione quanto accade nell’universo delle banche. è sembrato necessario ascoltare quanto aveva da dirci Francesco Perruccio, Responsabile per il Sud di UniCredit.

Come è cambiato negli ultimi tempi il rapporto fra banca e imprese? È stato percepito concretamente qualche segnale relativo alla scadenza di Basilea 2 o questo è oggetto più di convegni e proiezioni che di rapporti concreti?
É fuori di dubbio che il rapporto fra banche e imprese si sta profondamente trasformando, sta evolvendo verso un modello più qualificato. Le pressioni verso il cambiamento, tuttavia, sembrano provenire più dal lato delle banche, spinte anche dal fenomeno delle concentrazioni e dall'approssimarsi di Basilea 2, piuttosto che da quello delle imprese, comprensibilmente concentrate ad affrontare le difficoltà di una lunga congiuntura sfavorevole. Il tradizionale modello di relazione fra banca e impresa, caratterizzato da un sistema di relazioni poco formalizzate, basate più sull'interazione quotidiana che non sull'analisi di indicatori finanziari e patrimoniali, alla lunga si è trasformato in un vero e proprio vincolo finanziario allo sviluppo delle imprese. Pur avendo favorito in passato la crescita delle economie locali, soprattutto nei distretti, quel modello ci ha lasciato un'eredità formata da un diffuso ricorso al multiaffidamento, da un eccesso di credito a breve, da un'enfasi sulle garanzie, da un difetto di capitale di rischio nelle imprese. In un'economia che ristagna e che ha bisogno di un nuovo ciclo di selezione e aggregazione fra imprese, occorre una forte trasformazione del rapporto tra banche e aziende. UniCredit Banca d'Impresa nasce per favorire questo cambiamento, assumendosi la responsabilità di un ruolo che può essere importante per l'economia del nostro Paese, forte della combinazione delle competenze d'impresa di una grande banca nazionale, il Credito Italiano, e di sei banche a forte radicamento locale come le Casse di Risparmio e Rolo Banca.
Molte imprese e associazioni hanno accusato le banche di aver stretto i cordoni della borsa, di aver chiesto rientri dei crediti anticipati, di voler cioè mettersi al sicuro ai danni delle aziende. Le banche ovviamente hanno sempre respinto quest'ipotesi ma c'è qualche numero che sostenga questa diversità di posizioni?
Francamente, non ci pare che questa accusa possa esserci attribuita, e mi sembra che i numeri parlino chiaro: da quando siamo nati, nel gennaio del 2003, l'inserimento di UniCredit Banca d'Impresa sulle società non finanziarie medio-piccole è cresciuta dall'11% al 12,3%. Non abbiamo avuto flessioni neppure nelle aree storiche, dove abbiamo una quota di clientela così rilevante da essere considerata particolarmente contendibile da parte della concorrenza. Questo vuol dire che non solo abbiamo continuato a finanziare la nostra clientela, ma abbiamo addirittura aumentato la nostra disponibilità a erogare finanziamenti, e questo in un periodo certamente non felice sotto il profilo congiunturale. Per fare un altro esempio, nel 2003 il credito dell'intero sistema bancario alle Pmi è aumentato di circa 24 miliardi di euro; bene, nello stesso periodo UniCredit Banca d'Impresa è cresciuta di circa 6 miliardi di euro. Questo vuol dire che da soli abbiamo erogato il 25% del totale del credito aggiuntivo che le banche italiane nel loro complesso hanno concesso alle Pmi del Paese, dando così un contributo tangibile alla crescita del Pil nazionale. Questi comportamenti sono proseguiti anche nel primo semestre 2004 tanto che, complessivamente, siamo passati dai 39.500 milioni di impieghi lasciatici in eredità dalle sette ex banche federate del gruppo, agli attuali 47.500 milioni: in un anno e mezzo abbiamo erogato 8 miliardi di euro in più, accrescendo la nostra quota nel mercato nazionale. Per quanto riguarda in particolare l'area Sud siamo passati dai 900 milioni di euro di impieghi a fine 2002 ai 1.600 milioni di luglio 2004 con previsione di traguardare i 1.800 milioni a fine 2004. La crescita è costante: da giugno dell'anno scorso i nostri crediti sono aumentati del 10,4%. E, lo sottolineo, questo senza cedere di un passo dal lato della qualità del nostro portafoglio crediti. Anzi, abbiamo migliorato il rating medio, in linea con le politiche di Basilea 2.
Con i Confidi è stato avviato un dialogo su basi nuove e più solide, UniCredit Banca d'Impresa ha fatto da apripista per la soluzione innovativa della cartolarizzazione. Qual è il futuro che si prospetta su questo fronte?
Grazie alla collaborazione dei Confidi abbiamo effettivamente potuto aprire una nuova stagione nei rapporti fra la nostra banca e le piccole e medie imprese di alcune aree del nostro tessuto economico. La struttura delle operazioni attivate ha visto la concessione, da parte di UniCredit Banca d'Impresa, di finanziamenti a medio termine a circa 2.000 piccole e medie imprese associate ai Consorzi partner nel Nord Est e del Nord Ovest. L'offerta è avvenuta a un livello di prezzo definito in funzione del rating quotato dalla banca per la singola impresa in base a modelli evoluti di analisi dei rischi: insomma, una formula che prelude all'operatività prevista da Basilea 2. I crediti sono poi stati ceduti a una società veicolo, che a sua volta si è finanziata emettendo sul mercato dei capitali titoli dotati di rating proprio. Di fatto, l'impianto di quest'innovativo strumento finanziario ha consentito a molte piccole e medie imprese di accedere al mercato dei capitali senza le complessità tipiche delle emissioni di corporate bond, e il successo è stato tale che dal sistema imprenditoriale ci è venuto lo stimolo a elaborare ulteriori iniziative di finanziamento a medio-lungo termine. In totale, abbiamo così erogato qualcosa come 2 miliardi di euro. Certamente non ci fermeremo qui. Il "patto per la crescita" recentemente approvato dal nostro CdA prevede un ridisegno del rapporto fra banca e impresa finalizzato a superare gli attuali vincoli finanziari allo sviluppo. In una situazione ciclica come quella attuale, è difficile immaginare che possa aumentare l'esposizione delle imprese, soprattutto di quelle medio-piccole, senza cambiamenti di impostazione nelle politiche di offerta delle banche. E d'altro canto le imprese non possono rinunciare ai finanziamenti perché devono investire per competere e crescere. Ecco dunque che la nostra responsabilità è riuscire da un lato a portare alle imprese piccole e medie gli strumenti e le tecniche finanziarie finora diffuse quasi solo tra le aziende di grandi dimensioni, e dall'altro di aiutare gli imprenditori a concentrarsi più sui rischi industriali che su quelli finanziari. Abbiamo dunque pensato di proporre dei finanziamenti a medio-lungo termine per importi tali da riequilibrare la struttura patrimoniale delle imprese clienti, anche fino a raddoppiare il livello degli affidamenti globalmente concessi. Tale erogazione viene perfezionata a condizione che l'impresa aumenti il capitale per un importo minimo che consenta di far migliorare il proprio rating, sottoscriva dei covenants reddituali e patrimoniali da verificare periodicamente ed effettui un adeguato check-up gestionale. Se l'impresa raggiungesse un livello di capitalizzazione tale da garantire un'autonoma capacità di credito, saremmo disposti a prendere in considerazione la possibile liberazione totale o parziale delle garanzie di cui disponiamo.
Altra accusa mossa agli istituti di credito è di non aprirsi a operazioni su capitale di rischio, in sostanza non c'è spazio per chi ha un'idea, anche buona, ma non ha i soldi per finanziarne la realizzazione. Il modello americano è certamente improponibile da noi ma qualche passo in avanti in questa direzione si sta facendo?
Per rispondere a quest'interrogativo dobbiamo tornare al nodo centrale: il rapporto fra banche e imprese. Dobbiamo avviarci verso relazioni più simili a quelli prevalenti in quasi tutti gli altri paesi avanzati, con banche più selettive, forse, ma più consapevoli e disponibili ad associare credito a rischi, e anche con aziende più trasparenti e capitalizzate e imprenditori più liberi di diversificare i propri rischi. Per questo, serve uno sforzo congiunto fra imprese e banche, e noi vorremmo agire da innesco e catalizzatore di questo processo. In quest'ottica, una prima risposta è la costituzione di un'unità che si occupa di analizzare e finanziare le operazioni di start up di progetti che dimostrino una loro intrinseca sostenibilità economica, anche a prescindere dalla capacità autonoma di rischio: l'affidabilità proviene insomma dalla qualità dell'idea prospettataci, dalla validità del management che la deve realizzare, nonché dalle previsioni del cash flow prodotto dal business, da quello che in altre parole si usa definire business plan. Per quel che riguarda invece la partecipazione al capitale di rischio delle imprese, il nostro CdA ha di recente approvato la costituzione di un fondo di private equity, destinato a sostenere lo sviluppo delle aziende clienti che dimostrino le maggiori potenzialità di crescita, secondo una selezione effettuata da un operatore indipendente. Il fondo ha una dotazione di 100 milioni di euro, e la sua politica stabilisce che gli investimenti siano sempre di minoranza, senza vincoli settoriali e con un orizzonte temporale mediamente di lungo periodo. Si tratta insomma di un fondo che privilegia l'attenzione al progetto industriale piuttosto che la redditività immediata.
UniCredit è stata protagonista, con la sua ristrutturazione, di un vero e proprio sconvolgimento dei rapporti con la clientela. Su cosa avete puntato per ricostruire e consolidare la vostra relazione con le aziende?
La nostra forza è la specializzazione. Il gruppo UniCredit ha creato tre banche focalizzate su segmenti di clientela specifici: una per la clientela retail, una per il settore private, e la nostra, che ha come target le imprese e gli enti. Per rendere tangibile la nostra capacità di servizio, abbiamo creato e sviluppato un modello che mette al centro della struttura organizzativa il gestore che cura la relazione diretta con l'impresa cliente. I 900 gestori di UniCredit Banca d'Impresa svolgono un'azione di supporto diretto e personalizzato alle imprese, per aiutarle a raggiungere un equilibrio economico-patrimoniale adeguato e per proporre prodotti innovativi in linea con le loro esigenze, nazionali e internazionali. In quest'opera sono affiancati da una rete di specialisti di prodotto nelle aree dell'estero commerciale, della finanza d'impresa, degli strumenti di copertura dei rischi, dei sistemi di incasso e pagamento. Abbia-mo dotato la rete di vendita di un ampio sistema di deleghe e la piena titolarità nella gestione delle tematiche operative, gestionali e commerciali che interessano il cliente. La stessa struttura centrale della banca è stata progressivamente rimodulata per enfatizzare la relazione gestore-cliente. Ora, col nostro "patto per la crescita", vogliamo fare un ulteriore passo in avanti: proporci con un'offerta di credito abbondante, selettiva e di qualità, come base per la diffusione di servizi finanziari e di pagamento, anch'essi di qualità, per contribuire a far crescere le imprese italiane.

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