La PERFORMANCE DELL’ECONOMIA ITALIANA
IL DATO UFFICIALE É TRATTO
Ancora debole la propensione delle
imprese all’innovazione di processo e di prodotto
di Raffaella Venerando
Il
Presidente dell'Istat Luigi Biggeri crede nelle buone opportunità commerciali
offerte all'Italia dall'Europa a 25, a una condizione però:
che si affrontino e superino le disparità interne
e che si recuperi dinamismo nel promuovere innovazione nei
processi, nei prodotti e sui mercati.
di
Luigi Biggeri
Presidente ISTAT
comunica@istat.it
Quali vincoli strutturali frenano la crescita competitiva sui mercati internazionali?
Il ciclo congiunturale internazionale negativo ha fortemente influenzato
la performance dell'economia italiana degli ultimi anni, che mostra un
marcato rallentamento della crescita sia nell'industria manifatturiera
(con un progressivo indebolimento dei comparti produttivi del made in
Italy) sia nei servizi. La dinamica negativa della produttività totale
dei fattori è un chiaro segnale della scarsa dinamicità del
sistema produttivo italiano nel promuovere la propria capacità di
innovazione nei processi, nei prodotti, sui mercati e riguardo alle forme
organizzative. Uno dei vincoli maggiori alla crescita del sistema è il
forte peso delle aziende di piccole dimensioni, che influisce su livelli
di produttività, performance esportatrice, capacità di accumulazione
e livello complessivo dell'attività di Ricerca e Sviluppo. Le piccole
imprese (sotto i 20 addetti) continuano a presentare differenziali negativi
di produttività del lavoro rispetto alle aziende maggiori, non
tradotti in chiari differenziali di redditività per via del più favorevole
livello del costo orario del lavoro nelle imprese minori. La dinamica
negativa delle esportazioni italiane negli ultimi anni è dovuta
soprattutto al modello di specializzazione, che risente della forte concorrenza
dei Paesi emergenti ed evidenzia i rischi di una scarsa diversificazione
per mercati e prodotti (il 40 per cento delle imprese esportatrici è presente
in meno di 6 mercati, oltre il 60 per cento esporta meno di 6 prodotti).
L'attività di investimento risulta per la gran parte concentrata
nelle imprese maggiori, soprattutto in quelle a più elevate economie
di scala, mentre non è molto intensa nei settori high-tech e in
quelli del made in Italy. Nonostante questi limiti, il tasso di crescita
degli investimenti in macchinari è stato nel passato decennio più sostenuto
in Italia che nella media dei Paesi UE, accentuando la natura capital
intensive dei settori manifatturieri e registrando un aumento dell'importanza
dei beni immateriali (software). Per quanto riguarda l'attività di
Ricerca e Sviluppo, l'Italia si caratterizza per due elementi: a) bassa
incidenza della spesa rispetto al Pil: 1,1 per cento (0,9 per cento in
Campania) contro il 2 per cento dell'Europa a 15 e il 3 per cento dell'obiettivo
di Lisbona; b) bassa quota di spesa finanziata dalle imprese: 39 per cento
contro la maggiore quota del settore pubblico (enti pubblici di ricerca
e Università). Anche la propensione delle imprese italiane all'innovazione
di prodotto, di processo e organizzativo è negativamente influenzata
dalla specializzazione settoriale e dal prevalere delle piccole dimensioni.
Quali le opportunità di sviluppo per il nostro
Paese nell'Europa allargata?
Con l'allargamento l'Unione Europea è diventata la prima area economica
del mondo, ma al suo interno le disparità sono aumentate. Nuove opportunità si
aprono sicuramente per l'Italia nell'interscambio commerciale, i cui dati
evidenziano una positiva performance delle nostre esportazioni verso i nuovi
Paesi membri; però non bisogna nascondere i crescenti rischi per
il nostro Paese. Le regioni meridionali, pur caratterizzate da un Pil pro
capite più elevato della maggior parte dei nuovi Paesi membri, mostrano
segnali di debolezza nei loro confronti: crescita più lenta, andamento
della produttività dei fattori maggiormente negativo, scarsa capacità di
creare posti di lavoro, una quota superiore di disoccupati di lunga durata
e un minore tasso di occupazione femminile.
Chi sono i nuovi imprenditori?
Lo sviluppo dell'ultimo decennio, soprattutto nel terziario avanzato,
ha modificato le caratteristiche sociali dell'imprenditore. Dalla quasi
esclusiva presenza di gestori in proprio di attività "fisiche" di
produzione e commercio (artigiano, commerciante) si è passati a un'ampia
diffusione di prestatori di attività, spesso ad alto contenuto tecnologico
e culturale, per più di un committente, con il contemporaneo sviluppo
di attività flessibili e mobili sul territorio. Nel 2001 gli imprenditori
individuali sono oltre 2,8 milioni, con un incremento di oltre il 7 per
cento rispetto al 1996. La crescita è concentrata tra le donne e
nelle classi di età più giovani (meno di 45 anni). L'incidenza
delle imprenditrici è significativa nel settore del commercio e alberghi
e in quelli tradizionali della manifattura: industria alimentare, tessile
e abbigliamento (dove supera il 55 per cento) e carta. Nello stesso periodo,
gli imprenditori nati all'estero sono triplicati, raggiungendo il 4 per
cento del totale. La crescita è rilevante per quelli nati in paesi
del continente asiatico.
Quali sono i gruppi professionali emergenti?
Nel corso degli anni Novanta, le politiche attive del lavoro e le trasformazioni
dei settori produttivi hanno intensificato il processo di riqualificazione
del capitale umano: da un lato, la domanda di lavoro si è adeguata
alla diffusione dell'innovazione tecnologica, alla maggiore competitività sui
mercati internazionali, al processo di globalizzazione; dall'altro, le forze
di lavoro sono state oggetto di interventi formativi per l'innalzamento
dei livelli di qualificazione. Nella seconda metà del decennio gli
effetti positivi di tali trasformazioni sono evidenti in termini di crescita
dei livelli occupazionali, in particolare per le figure altamente specializzate
del terziario. La situazione è mutata significativamente nel triennio
successivo al 2000, quando la contrazione della crescita economica si è riflessa
sul mercato del lavoro: pur in presenza di un continuo incremento dell'occupazione,
si sono ridotte le assunzioni per le professioni più qualificate
- particolarmente quelle destinate alle strutture socio-sanitarie - e sono
state introdotte e intensificate forme di lavoro flessibile. Le professioni
nei servizi di istruzione, sanitari e alle famiglie hanno registrato un
rallentamento, mentre sono cresciute più rapidamente le professioni
intermedie dei servizi personali e gli addetti alle professioni commerciali
e turistiche nelle basse qualifiche e con posizioni di lavoro atipiche.
Il gruppo a più forte crescita è quello dei professionisti
a elevata specializzazione (esclusi medici e docenti), costituito prevalentemente
da lavoratori autonomi, laureati, maschi, che operano nei settori dei servizi
alle imprese o personali; tali figure professionali sono localizzate principalmente
in regioni del Centro-nord, mentre le uniche regioni del Mezzogiorno con
elevati tassi di localizzazione dei professionisti sono Molise e Campania.
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