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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
OTTOBRE 2004
 

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La PERFORMANCE DELL’ECONOMIA ITALIANA
IL DATO UFFICIALE É TRATTO
Ancora debole la propensione delle imprese all’innovazione di processo e di prodotto

di Raffaella Venerando

Il Presidente dell'Istat Luigi Biggeri crede nelle buone opportunità commerciali offerte all'Italia dall'Europa a 25, a una condizione però: che si affrontino e superino le disparità interne e che si recuperi dinamismo nel promuovere innovazione nei processi, nei prodotti e sui mercati.

di Luigi Biggeri
Presidente ISTAT
comunica@istat.it


Quali vincoli strutturali frenano la crescita competitiva sui mercati internazionali?

Il ciclo congiunturale internazionale negativo ha fortemente influenzato la performance dell'economia italiana degli ultimi anni, che mostra un marcato rallentamento della crescita sia nell'industria manifatturiera (con un progressivo indebolimento dei comparti produttivi del made in Italy) sia nei servizi. La dinamica negativa della produttività totale dei fattori è un chiaro segnale della scarsa dinamicità del sistema produttivo italiano nel promuovere la propria capacità di innovazione nei processi, nei prodotti, sui mercati e riguardo alle forme organizzative. Uno dei vincoli maggiori alla crescita del sistema è il forte peso delle aziende di piccole dimensioni, che influisce su livelli di produttività, performance esportatrice, capacità di accumulazione e livello complessivo dell'attività di Ricerca e Sviluppo. Le piccole imprese (sotto i 20 addetti) continuano a presentare differenziali negativi di produttività del lavoro rispetto alle aziende maggiori, non tradotti in chiari differenziali di redditività per via del più favorevole livello del costo orario del lavoro nelle imprese minori. La dinamica negativa delle esportazioni italiane negli ultimi anni è dovuta soprattutto al modello di specializzazione, che risente della forte concorrenza dei Paesi emergenti ed evidenzia i rischi di una scarsa diversificazione per mercati e prodotti (il 40 per cento delle imprese esportatrici è presente in meno di 6 mercati, oltre il 60 per cento esporta meno di 6 prodotti). L'attività di investimento risulta per la gran parte concentrata nelle imprese maggiori, soprattutto in quelle a più elevate economie di scala, mentre non è molto intensa nei settori high-tech e in quelli del made in Italy. Nonostante questi limiti, il tasso di crescita degli investimenti in macchinari è stato nel passato decennio più sostenuto in Italia che nella media dei Paesi UE, accentuando la natura capital intensive dei settori manifatturieri e registrando un aumento dell'importanza dei beni immateriali (software). Per quanto riguarda l'attività di Ricerca e Sviluppo, l'Italia si caratterizza per due elementi: a) bassa incidenza della spesa rispetto al Pil: 1,1 per cento (0,9 per cento in Campania) contro il 2 per cento dell'Europa a 15 e il 3 per cento dell'obiettivo di Lisbona; b) bassa quota di spesa finanziata dalle imprese: 39 per cento contro la maggiore quota del settore pubblico (enti pubblici di ricerca e Università). Anche la propensione delle imprese italiane all'innovazione di prodotto, di processo e organizzativo è negativamente influenzata dalla specializzazione settoriale e dal prevalere delle piccole dimensioni.
Quali le opportunità di sviluppo per il nostro Paese nell'Europa allargata?
Con l'allargamento l'Unione Europea è diventata la prima area economica del mondo, ma al suo interno le disparità sono aumentate. Nuove opportunità si aprono sicuramente per l'Italia nell'interscambio commerciale, i cui dati evidenziano una positiva performance delle nostre esportazioni verso i nuovi Paesi membri; però non bisogna nascondere i crescenti rischi per il nostro Paese. Le regioni meridionali, pur caratterizzate da un Pil pro capite più elevato della maggior parte dei nuovi Paesi membri, mostrano segnali di debolezza nei loro confronti: crescita più lenta, andamento della produttività dei fattori maggiormente negativo, scarsa capacità di creare posti di lavoro, una quota superiore di disoccupati di lunga durata e un minore tasso di occupazione femminile.
Chi sono i nuovi imprenditori?
Lo sviluppo dell'ultimo decennio, soprattutto nel terziario avanzato, ha modificato le caratteristiche sociali dell'imprenditore. Dalla quasi esclusiva presenza di gestori in proprio di attività "fisiche" di produzione e commercio (artigiano, commerciante) si è passati a un'ampia diffusione di prestatori di attività, spesso ad alto contenuto tecnologico e culturale, per più di un committente, con il contemporaneo sviluppo di attività flessibili e mobili sul territorio. Nel 2001 gli imprenditori individuali sono oltre 2,8 milioni, con un incremento di oltre il 7 per cento rispetto al 1996. La crescita è concentrata tra le donne e nelle classi di età più giovani (meno di 45 anni). L'incidenza delle imprenditrici è significativa nel settore del commercio e alberghi e in quelli tradizionali della manifattura: industria alimentare, tessile e abbigliamento (dove supera il 55 per cento) e carta. Nello stesso periodo, gli imprenditori nati all'estero sono triplicati, raggiungendo il 4 per cento del totale. La crescita è rilevante per quelli nati in paesi del continente asiatico.
Quali sono i gruppi professionali emergenti?
Nel corso degli anni Novanta, le politiche attive del lavoro e le trasformazioni dei settori produttivi hanno intensificato il processo di riqualificazione del capitale umano: da un lato, la domanda di lavoro si è adeguata alla diffusione dell'innovazione tecnologica, alla maggiore competitività sui mercati internazionali, al processo di globalizzazione; dall'altro, le forze di lavoro sono state oggetto di interventi formativi per l'innalzamento dei livelli di qualificazione. Nella seconda metà del decennio gli effetti positivi di tali trasformazioni sono evidenti in termini di crescita dei livelli occupazionali, in particolare per le figure altamente specializzate del terziario. La situazione è mutata significativamente nel triennio successivo al 2000, quando la contrazione della crescita economica si è riflessa sul mercato del lavoro: pur in presenza di un continuo incremento dell'occupazione, si sono ridotte le assunzioni per le professioni più qualificate - particolarmente quelle destinate alle strutture socio-sanitarie - e sono state introdotte e intensificate forme di lavoro flessibile. Le professioni nei servizi di istruzione, sanitari e alle famiglie hanno registrato un rallentamento, mentre sono cresciute più rapidamente le professioni intermedie dei servizi personali e gli addetti alle professioni commerciali e turistiche nelle basse qualifiche e con posizioni di lavoro atipiche. Il gruppo a più forte crescita è quello dei professionisti a elevata specializzazione (esclusi medici e docenti), costituito prevalentemente da lavoratori autonomi, laureati, maschi, che operano nei settori dei servizi alle imprese o personali; tali figure professionali sono localizzate principalmente in regioni del Centro-nord, mentre le uniche regioni del Mezzogiorno con elevati tassi di localizzazione dei professionisti sono Molise e Campania.


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