LAVORARE INSIEME CON PASSIONE
CREARE FIDUCIA NELLE IMPRESE
CAPITALISMO, UNA SVOLTA POSSIBILE
“PADRONI D’ITALIA” APPRODA AD AVELLINO
L’ITALIA CHE GALLEGGIA
manca lA TENSIONE morale
L’ITALIA CHE GALLEGGIA
manca lA TENSIONE morale
Ricerca e scuola tra i terreni decisivi su cui si fonda la partita del buon governo
Roberto Napoletano
Capo Redazione romana de Il Sole 24Ore
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
E l'Italia? Magari galleggia, che è sempre meglio di affondare. Se ci vogliamo consolare, possiamo dire che abbiamo conti pubblici meno disastrati di quelli francesi e tedeschi. É indubbio che vi è stata una competenza tecnica, al limite della genialità che ha consentito di fronteggiare con un ventaglio di misure tampone le emergenze deficit e debito anche in una fase congiunturale molto difficile.
Ma il punto di fondo è un altro: dov'è la tensione morale che può consentire di andare avanti, di riprendere il cammino avviato con le riforme del mercato del lavoro, del diritto societario e, in parte, della scuola? Si vogliono ridurre le tasse, è giusto, ma si ha la forza di tagliare la spesa pubblica assistenziale? Se c'è un'occasione per farlo è proprio quella di legare i tagli all'abbassamento delle aliquote fiscali, ma c'è davvero la volontà politica di perseguire un risultato così rilevante? Perché non cogliere questa opportunità per dare finalmente un assetto più efficiente alla macchina burocratica dello Stato e degli enti locali liberandoli da una serie di funzioni improprie riducendone i costi?
Questo Paese ha un disperato bisogno di riprendere a investire, di fare opere, ha urgenza di ridurre i prelievi fiscali e contributivi su imprese e cittadini, di cambiare le pensioni e di riscrivere le regole della governance societaria e dei rapporti tra banca e impresa. C'è necessità di una classe politica che sappia mettere i valori liberali al centro della sua azione di governo, che ritrovi un minimo di coesione sul terreno delle riforme economiche, almeno su quelle che si possono fare subito, e ci risparmi il teatrino delle beghe personali e di un elenco infinito di "adempimenti" burrascosi alla voce "conflitti di interesse".
Berlusconi è presidente del Consiglio perché lo hanno voluto gli italiani; e gli italiani lo hanno eletto sapendo chi fosse, quante televisioni, ville, barche e compagnie di assicurazioni possedeva. É bene ricordarselo perché se no si perdono i punti di riferimento e si commettono errori gravi; la democrazia è un bene troppo importante per essere immiserito e mercificato dai tifosi della politica. Attenzione, però. La responsabilità di governo di Berlusconi riguarda tutti, la tutela dell'interesse individuale ha un senso solo se coincide con la difesa di un interesse generale; guai a dare anche solo l'impressione di legare un'azione di governo a "fatti propri" perché, questo sì, incide sul tessuto democratico di un Paese, ne riduce la fibra, alimenta inquietudini e insicurezze. La Cirami, per esempio, non c'entra niente con la riforma della giustizia. La prima è arrivata, e non è servita a nulla. La seconda è ancora in lista di attesa.
A quante Cirami abbiamo assistito, o dovremo ancora assistere? Questi sono passaggi delicati. Gli italiani hanno votato Berlusconi sapendo che era un padrone, anzi, forse proprio per questo, per una certa "cultura del fare" che a torto o a ragione volevano che lui applicasse alla guida del Paese, ma non tollererebbero che si comportasse da "padrone di se stesso" nell'esercizio dell'azione di governo. Diventando, insomma, decisionista solo per le cose che lo riguardano direttamente. Anche per i padroni d'Italia non sarebbe un bell'affare. Insomma, il mandato che gli elettori gli hanno generosamente dato con il loro voto era di cambiare il Paese, di fare le riforme, di alleggerire lo Stato.
Non è vero che nulla è stato fatto, mi sembra di averlo detto con chiarezza, ma da troppo tempo si ha la sensazione che si sia persa la bussola, si resti immobili e, quindi, si arretri. Non è questo il modo migliore per ricostituire la fiducia; si avverte l'esigenza non più eludibile di affrontare le priorità: ricerca, scuola, innovazione, mercato finanziario e risparmio, un disegno credibile di alleggerimento della pressione fiscale su aziende e famiglie, semplificazione della Pubblica Amministrazione sono terreni decisivi sui quali si possono costruire alleanze trasversali, tra i partiti e nelle forze sociali.
La partita del buon governo si vince e si perde su questi terreni. Qui, non altrove, si può dimostrare di essere o meno classe dirigente, se si ha voglia di fare sistema, di provare a uscire dalle secche della stagnazione. Il Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, lo ricorda un giorno si e l'altro pure, chiede a tutti uno scatto d'orgoglio, invita a recuperare il valore del dialogo, lo spirito di una forte coesione. La ragione, come diceva Cuccia, parla a voce bassa, ma andrebbe ascoltata. Invece il frastuono domina, confonde, aumenta il tasso di divisione e di polemiche inutili; in un crescendo tragicamente farsesco apparentemente inarrestabile. Il rischio più grave è, che, tra una manifestazione sul tempo pieno, battaglie ideologiche, vecchi e nuovi veleni, si rinunci a giocare la perdita del futuro.
Nel suo Codice della vita italiana, correva l'anno 1921, un gran liberale scomodo, Giuseppe Prezzolini, invocava una scuola moderna e lo faceva a modo suo: «Io ho fede nell'Italia piuttosto attraverso un rinnovamento educativo che attraverso uno politico, preferisco un miglioramento del carattere ad una modificazione delle istituzioni». Poi si lasciava catturare dallo sconforto e raccontava che, per continuare ad amare davvero "questa nostra Italia" aveva bisogno di «prendere idealmente un piroscafo e di guardarla da lontano come posteri; anzi peggio, come stranieri».
É passato quasi un secolo, ma a volte viene voglia di chiedere un passaggio sullo stesso piroscafo. Per evitare di cadere in tentazione ci soccorre il ricordo di Giulio Natta. L'unico scienziato italiano che ha ricevuto un Premio Nobel per una ricerca fatta al di qua delle Alpi dal dopoguerra a oggi. A metà degli anni '50, questo professore del Politecnico di Milano inventò il polipropilene isotattico, la plastica che avrebbe cambiato il nostro modo di vivere. Qualche anno dopo, a Ferrara, la Montecatini sfruttò il suo brevetto e costruì le vaschette della Moplen che inondarono il mercato.
Abbiamo perso la Montecatini, siamo ancora in attesa di conoscere l'erede di Natta.
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