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  Dicembre 2012

Articoli
n° 6 Luglio 2004
 




     INSERTO ASSEMBLEA DEI SOCI GENERALE 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANDREA PRETE
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CENTRALE D’ALLARME INTERBANCARIA
UN ULTERIORE STRUMENTO DI CONTROLLO»

LA DISCIPLINA DELLE ISPEZIONI DEL LAVORO
I PRINCIPALI NODI DELLA RIFORMA

DENUNCE E DIFFIDE IN EDILIZIA
QUANDO IL TERZO INTERVIENE

DENUNCE E DIFFIDE IN EDILIZIA
QUANDO IL TERZO INTERVIENE
Il vicino diviene parte: trasparenza o incertezza per gli operatori?

di Luigi d'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it


Come spesso capita per questa rubrica, lo spunto viene da un precedente di un Giudice Amministrativo. In particolare, questo mese l'attenzione cade sulla sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, n. 7132 del 7 novembre 2003, con successiva conferma in altra sentenza della stessa Sezione, n. 677 del 19 febbraio 2004, che ha stabilito un principio che avrà non poche conseguenze nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione, e più in particolare, tra imprese del settore edilizio, P.A. e terzi. Il caso esaminato dal Consiglio di Stato segue a un atto di diffida notificato da un privato al Comune di Caserta per ottenere l'emanazione di provvedimenti demolitori e ripristinatori di abusi edilizi realizzati da un vicino nell'edificio confinante. Poiché l'amministrazione comunale non aveva dato seguito alla denuncia, il privato ricorreva al T.A.R. ai sensi dell'art. 21-bis della L. 1034/71, chiedendo l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune e la conseguente declaratoria dell'obbligo di provvedere in ordine agli abusi edilizi evidenziati. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania aveva respinto il ricorso in maniera, per così dire, tradizionale, dichiarando l'obbligo d'impugnativa nei termini di legge del provvedimento ritenuto lesivo. Il Consiglio di Stato, investito della questione in sede di appello proposto dal privato denunciante, ha riformato la sentenza del Giudice napoletano, rimeditando il contenuto dei vizi sollevati dal ricorrente e ha concluso per l'illegittimità del silenzio dell'Amministrazione sancendo principi sino ad ora solo accennati, ma mai conclamati come in questa pronuncia. Questo il passo decisivo: «In materia edilizia, l'obbligo del Comune di provvedere sulle richieste dei cittadini non sussiste soltanto nel caso in cui essi chiedano un atto positivo in loro favore (concessione, autorizzazione, ecc.), ma anche quando chiedano l'eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto della normativa edilizia o di piani convenzionati, allorchè abbiano a trovarsi in rapporto diretto (proprietà o stabile dimora) con l'area sulla quale si realizza l'intervento». E così, il Supremo Collegio Amministrativo ha dato sostanza alla posizione del terzo denunciante, titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche urbanistiche della zona in cui vive e, quindi, legittimato a impugnare la mancata adozione di misure ripristinatorie e l'inerzia degli organi comunali preposti. Il ragionamento e le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato si fondano sul presupposto secondo il quale la denuncia o esposto circostanziati sono idonei ad avviare il procedimento sanzionatorio edilizio e a costituire in capo alla Pubblica Amministrazione l'obbligo di provvedere: poiché la Pubblica Amministrazione ha il dovere di intervenire sugli abusi edilizi accertati, sussiste un interesse del privato leso da opere abusive all'adozione delle sanzioni di legge; pertanto quando la P.A. omette di adottare, secondo i suoi doveri di ufficio, i necessari provvedimenti di ripristino dello stato dei luoghi e di difesa del pubblico interesse in relazione a costruzioni abusive, il terzo interessato è legittimato a impugnare l'inerzia formalizzata degli organi comunali. Il punto che innova nelle citate pronunce è sicuramente rilevante: una volta inviata la segnalazione, il terzo non rimane estraneo alle successive determinazioni della Pubblica Amministrazione, ma ha diritto di esserne coinvolto, ha diritto, cioè, a una risposta in ordine alla propria denuncia, allo stesso modo di chi esercita l'iniziativa procedimentale nei procedimenti ad istanza della parte privata. Affermare che «il terzo interessato - come il proprietario limitrofo - nei confronti del potere amministrativo di repressione degli abusi edilizi è, tra l'altro, sempre titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche urbanistiche assegnate alla zona» porta a riconoscere che il terzo denunciante ricopre un interesse qualificato a intervenire nel procedimento e, conseguentemente, può imporre all'amministrazione procedente l'obbligo del suo coinvolgimento. A ciò segue che la Pubblica Amministrazione ha ora particolari obblighi informativi nei confronti del terzo, anche nella fase procedimentale dell'istruttoria e, infine, per giungere all'eventuale sanzione. Tutto ciò indiscutibilmente crea posizioni di grande trasparenza, ma allo stesso modo appare sicuramente "pesante" per l'attività degli uffici tecnici comunali.
E infatti, il limite pratico di questa soluzione sta nel fatto che essa va a incidere sulle esigenze, altrettanto primarie, di celerità, efficacia ed efficienza del procedimento. Va, dunque, precisato che, affinchè al terzo sia riconosciuto il diritto ad essere notiziato dell'avvio del procedimento, non è sufficiente che egli agisca per un mero scopo di legalità: al ripristino della stessa è deputata principalmente e prioritariamente la Pubblica Amministrazione. Egli deve far valere nel procedimento amministrativo una posizione qualificata corrispondente al diritto soggettivo leso dalla realizzazione dell'opera da parte del vicino, in quanto solo tale posizione, evidenziando il pregiudizio potenzialmente discendente dall'esercizio (o dal mancato esercizio) del potere, può tradursi in un interesse rilevante per l'applicazione dei principi in tema di partecipazione fissati dalla L. 241/90. É così, quindi, che i criteri enunciati assumono valenza e sono rispettosi dei principi che regolano il procedimento in determinate vicende, per cui non a ogni denunciante deve essere inviata la comunicazione di avvio di procedimento, ma solo a colui che attraverso la propria segnalazione, cerca di tutelare una sua posizione giuridica riconosciuta dall'ordinamento civile e lesa dall'opera del vicino. Si traggono, quindi, due conclusioni. La prima porta a ritenere che un terzo che denuncia la costruzione del suo vicino di casa, oppure - per quanto interessa maggiormente ai lettori di questa rubrica - l'impresa di costruzioni che sta operando, diventa importante in quanto "parte" nell'ambito del procedimento di accertamento che l'Ufficio va a operare. La seconda conclusione è che non è più così intaccabile il principio secondo cui, trascorsi i termini d'impugnativa del provvedimento concessorio, non è più possibile adire il Giudice e, quindi, permettere ai costruttori di vedere ulteriormente consolidato il titolo autorizzatorio. Oggi, in forza dei precedenti richiamati, il terzo che abbia interesse (l'ipotesi classica è quella del vicino confinante) può prima diffidare il Comune perché si accerti la legittimità e, quindi, la conformità alle norme del titolo ed eventuali abusi, e poi può legittimamente pretendere di essere parte del procedimento e di costringere la Pubblica Amministrazione prima ad accertare e poi, eventualmente, a sanzionare. Certo, è un bel pezzo di strada che è stato fatto lungo la via della partecipazione e della trasparenza, ma ho l'impressione che tutto ciò costerà parecchio in termini di funzionalità degli uffici e di certezza dei procedimenti per gli imprenditori che, in una materia scivolosa come l'urbanistica, non possono essere tranquilli neanche quando sono scaduti i termini per impugnare il permesso a costruire. Si rischia, cioè, di rimanere sempre assoggettati alle azioni altrui o, peggio, al piccolo ricatto.


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