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DENUNCE
E DIFFIDE IN EDILIZIA
QUANDO IL TERZO INTERVIENE
DENUNCE E DIFFIDE IN EDILIZIA
QUANDO IL TERZO INTERVIENE
Il vicino diviene parte: trasparenza
o incertezza per gli operatori?
di
Luigi d'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it
Come
spesso capita per questa rubrica, lo spunto viene da un precedente
di un Giudice Amministrativo. In particolare, questo mese l'attenzione
cade sulla sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato,
n. 7132 del 7 novembre 2003, con successiva conferma in altra sentenza
della stessa Sezione, n. 677 del 19 febbraio 2004, che ha stabilito
un principio che avrà non poche conseguenze nei rapporti
tra cittadini e Pubblica Amministrazione, e più in particolare,
tra imprese del settore edilizio, P.A. e terzi. Il caso esaminato
dal Consiglio di Stato segue a un atto di diffida notificato da
un privato al Comune di Caserta per ottenere l'emanazione di provvedimenti
demolitori e ripristinatori di abusi edilizi realizzati da un vicino
nell'edificio confinante. Poiché l'amministrazione comunale
non aveva dato seguito alla denuncia, il privato ricorreva al T.A.R.
ai sensi dell'art. 21-bis della L. 1034/71, chiedendo l'accertamento
dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune e la
conseguente declaratoria dell'obbligo di provvedere in ordine agli
abusi edilizi evidenziati. Il Tribunale Amministrativo Regionale
per la Campania aveva respinto il ricorso in maniera, per così dire,
tradizionale, dichiarando l'obbligo d'impugnativa nei termini di
legge del provvedimento ritenuto lesivo. Il Consiglio di Stato,
investito della questione in sede di appello proposto dal privato
denunciante, ha riformato la sentenza del Giudice napoletano, rimeditando
il contenuto dei vizi sollevati dal ricorrente e ha concluso per
l'illegittimità del silenzio dell'Amministrazione sancendo
principi sino ad ora solo accennati, ma mai conclamati come in
questa pronuncia. Questo il passo decisivo: «In materia edilizia,
l'obbligo del Comune di provvedere sulle richieste dei cittadini
non sussiste soltanto nel caso in cui essi chiedano un atto positivo
in loro favore (concessione, autorizzazione, ecc.), ma anche quando
chiedano l'eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto
della normativa edilizia o di piani convenzionati, allorchè abbiano
a trovarsi in rapporto diretto (proprietà o stabile dimora)
con l'area sulla quale si realizza l'intervento». E così,
il Supremo Collegio Amministrativo ha dato sostanza alla posizione
del terzo denunciante, titolare di un interesse qualificato al
mantenimento delle caratteristiche urbanistiche della zona in cui
vive e, quindi, legittimato a impugnare la mancata adozione di
misure ripristinatorie e l'inerzia degli organi comunali preposti.
Il ragionamento e le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato
si fondano sul presupposto secondo il quale la denuncia o esposto
circostanziati sono idonei ad avviare il procedimento sanzionatorio
edilizio e a costituire in capo alla Pubblica Amministrazione l'obbligo
di provvedere: poiché la Pubblica Amministrazione ha il
dovere di intervenire sugli abusi edilizi accertati, sussiste un
interesse del privato leso da opere abusive all'adozione delle
sanzioni di legge; pertanto quando la P.A. omette di adottare,
secondo i suoi doveri di ufficio, i necessari provvedimenti di
ripristino dello stato dei luoghi e di difesa del pubblico interesse
in relazione a costruzioni abusive, il terzo interessato è legittimato
a impugnare l'inerzia formalizzata degli organi comunali. Il punto
che innova nelle citate pronunce è sicuramente rilevante:
una volta inviata la segnalazione, il terzo non rimane estraneo
alle successive determinazioni della Pubblica Amministrazione,
ma ha diritto di esserne coinvolto, ha diritto, cioè, a
una risposta in ordine alla propria denuncia, allo stesso modo
di chi esercita l'iniziativa procedimentale nei procedimenti ad
istanza della parte privata. Affermare che «il terzo interessato
- come il proprietario limitrofo - nei confronti del potere amministrativo
di repressione degli abusi edilizi è, tra l'altro, sempre
titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche
urbanistiche assegnate alla zona» porta a riconoscere che
il terzo denunciante ricopre un interesse qualificato a intervenire
nel procedimento e, conseguentemente, può imporre all'amministrazione
procedente l'obbligo del suo coinvolgimento. A ciò segue
che la Pubblica Amministrazione ha ora particolari obblighi informativi
nei confronti del terzo, anche nella fase procedimentale dell'istruttoria
e, infine, per giungere all'eventuale sanzione. Tutto ciò indiscutibilmente
crea posizioni di grande trasparenza, ma allo stesso modo appare
sicuramente "pesante" per l'attività degli uffici
tecnici comunali.
E infatti, il limite pratico di questa soluzione sta nel fatto
che essa va a incidere sulle esigenze, altrettanto primarie, di
celerità, efficacia ed efficienza del procedimento. Va,
dunque, precisato che, affinchè al terzo sia riconosciuto
il diritto ad essere notiziato dell'avvio del procedimento, non è sufficiente
che egli agisca per un mero scopo di legalità: al ripristino
della stessa è deputata principalmente e prioritariamente
la Pubblica Amministrazione. Egli deve far valere nel procedimento
amministrativo una posizione qualificata corrispondente al diritto
soggettivo leso dalla realizzazione dell'opera da parte del vicino,
in quanto solo tale posizione, evidenziando il pregiudizio potenzialmente
discendente dall'esercizio (o dal mancato esercizio) del potere,
può tradursi in un interesse rilevante per l'applicazione
dei principi in tema di partecipazione fissati dalla L. 241/90. É così,
quindi, che i criteri enunciati assumono valenza e sono rispettosi
dei principi che regolano il procedimento in determinate vicende,
per cui non a ogni denunciante deve essere inviata la comunicazione
di avvio di procedimento, ma solo a colui che attraverso la propria
segnalazione, cerca di tutelare una sua posizione giuridica riconosciuta
dall'ordinamento civile e lesa dall'opera del vicino. Si traggono,
quindi, due conclusioni. La prima porta a ritenere che un terzo
che denuncia la costruzione del suo vicino di casa, oppure - per
quanto interessa maggiormente ai lettori di questa rubrica - l'impresa
di costruzioni che sta operando, diventa importante in quanto "parte" nell'ambito
del procedimento di accertamento che l'Ufficio va a operare. La
seconda conclusione è che non è più così intaccabile
il principio secondo cui, trascorsi i termini d'impugnativa del
provvedimento concessorio, non è più possibile adire
il Giudice e, quindi, permettere ai costruttori di vedere ulteriormente
consolidato il titolo autorizzatorio. Oggi, in forza dei precedenti
richiamati, il terzo che abbia interesse (l'ipotesi classica è quella
del vicino confinante) può prima diffidare il Comune perché si
accerti la legittimità e, quindi, la conformità alle
norme del titolo ed eventuali abusi, e poi può legittimamente
pretendere di essere parte del procedimento e di costringere la
Pubblica Amministrazione prima ad accertare e poi, eventualmente,
a sanzionare. Certo, è un bel pezzo di strada che è stato
fatto lungo la via della partecipazione e della trasparenza, ma
ho l'impressione che tutto ciò costerà parecchio
in termini di funzionalità degli uffici e di certezza dei
procedimenti per gli imprenditori che, in una materia scivolosa
come l'urbanistica, non possono essere tranquilli neanche quando
sono scaduti i termini per impugnare il permesso a costruire. Si
rischia, cioè, di rimanere sempre assoggettati alle azioni
altrui o, peggio, al piccolo ricatto.
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