CENTRALE D’ALLARME
INTERBANCARIA
UN ULTERIORE STRUMENTO DI CONTROLLO»
LA
DISCIPLINA DELLE ISPEZIONI DEL LAVORO
I PRINCIPALI NODI DELLA RIFORMA
DENUNCE
E DIFFIDE IN EDILIZIA
QUANDO IL TERZO INTERVIENE
LA DISCIPLINA DELLE ISPEZIONI DEL LAVORO
I PRINCIPALI NODI DELLA RIFORMA
Alcune decisioni del legislatore
destano forti perplessità
di Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
Una
prima lettura del d.l.vo n.124/2004 ad oggetto la «razionalizzazione delle
funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e del lavoro» desta
- devo dirlo subito - notevoli perplessità. Prima di esprimerle, però, è bene
procedere con ordine fornendo un quadro generale dei contenuti del provvedimento.
Sotto il profilo della attività di vigilanza in senso stretto (vedi artt.6
- 7 del d.l.vo cit. in tema di personale ispettivo e vigilanza) e dei poteri
degli ispettori ad oggetto la possibilità di adottare diffide (art.13),
impartire disposizioni (art.14) e prescrizioni (art.15), non sembra che vi siano
novità rilevanti in quanto il legislatore delegato si è mosso nel
rispetto della tradizione, pur se i cennati atti sono finalmente definiti e distinti
in un unico provvedimento legi- slativo. I profili di reale novità mi
sembrano tre. Il primo concerne la organizzazione e razionalizzazione delle attività ispettive
(vedi artt. 2, 3, 4, 5, 10) nell'intento di favorire il ripristino delle condizioni
di legalità stimolando una più diffusa azione di vigilanza e una
crescita dei livelli delle verifiche come effetto della semplificazione (che
potrebbe, però, rivelarsi solo formale) dei procedimenti sanzionatori
e delle relative impugnative (vedi artt.16 e 17); il secondo assolve alla finalità di
valorizzare la funzione di prevenzione e promozione della corretta applicazione
della normativa di tutela del lavoro e previdenziale. Questo secondo profilo
introduce elementi di novità effettivi per la specifica materia con la
previsione del diritto di interpello da parte di associazioni di categoria e
ordini professionali su questioni di ordine generale relative alle materie di
competenza del Ministero (vedi art.9) e con la regolamentazione dell'attività delle
Direzioni regionali e provinciali del lavoro a oggetto la prevenzione, promozione,
informazione e aggiornamento per la corretta applicazione della normativa lavoristica
e previdenziale, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni (vedi art.8).
Molto significative sono queste disposizioni il cui contenuto - in linea teorica
- dovrebbero stimolare una nuova cultura delle ispezioni del lavoro. È innegabile
l'esigenza di contemperare la tutela dei valori essenziali del lavoro con le
notevoli difficoltà di cui soffrono i datori di lavoro e anche gli ispettori
per la crescente complicazione del diritto del lavoro a fronte di una proclamata
flessibilità, in conseguenza, tra l'altro, della moltiplicazione delle
tipologie di lavoro e della tendenza alla differenziazione delle tutele, sicchè sono
difficili sia le scelte operative dell'Azienda che l'azione di accertamento,
tanto più quando essa presuppone opzioni ricostruttive di carattere giuridico.
In linea teorica, dunque, la opzione collaborativa appare condivisibile, rispetto
alla quale, però, sul piano pratico, sono legittimi, e altrettanto condivisibili,
i dubbi dell'operatore. Su tali problematiche si innesta quella ulteriore dell'uniformità delle
decisioni risolta con l'attribuzione al Comitato regionale per i rapporti di
lavoro della competenza sui ricorsi a oggetto la sussistenza e qualificazione
dei rapporti di lavoro (vedi art. 17). L'obiettivo è garantire certezza
del diritto e della sua applicazione in un contesto normativo tanto articolato
e innovato. Anche se devo subito osservare che, ancora una volta, il legislatore
non ha tenuto conto dei diritti del datore di lavoro ispezionato nella fase dell'accertamento,
e in particolare in quella dell'acquisizione degli elementi di fatto, svolta
unilateralmente e senza contraddittorio, il che implica una versione unilaterale
e spesso distorta delle questioni, tale da renderle risolubili solo in sede giudiziaria.
E arriviamo al terzo profilo di novità, sicuramente rivoluzionario rispetto
alla tradizionale impostazione dell'attività di vigilanza. È prevista
la possibilità di intervenire sulle controversie individuali di lavoro
(vedi artt. 11 sulla conciliazione monocratica e 12 sulla diffida accertativa
per crediti patrimoniali). È stabilito, infatti, che «nelle ipotesi
di richieste di intervento ispettivo» ovvero «nel corso dell'attività di
vigilanza qualora l'ispettore ritenga che ricorrano i presupposti» venga
avviato il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate, con la regolamentazione
del relativo procedimento (diverso dal tentativo obbligatorio di conciliazione
innanzi alle competenti Commissioni) i cui effetti, in caso di accordo, sono
parificati alla conciliazione amministrativa, mentre in caso di mancato accordo
l'ispezione prosegue. È certamente apprezzabile il tentativo di innestare
nel procedimento ispettivo un'occasione di rapporto collaborativo tra organo
di vigilanza, presunto trasgressore e lavoratore, finalizzato alla pacifica e
rapida riconduzione dell'ipotetico comportamento lesivo nei confini della legalità.
Qualche perplessità comincia, però, a sorgere ove si ponga mente
agli effetti di tale regolamentazione quando l'interpretazione della normativa
da parte degli ispettori non sia corretta ovvero - come accade in genere - quando
l'accertamento è svolto unilateralmente sulla base delle sole dichiarazioni
del lavoratore senza riscontro obiettivo, per non parlare di comportamenti non
rigorosamente ortodossi. Le perplessità aumentano, e diventano vero e
proprio sconcerto, quando si legge l'art.12 che regolamenta la diffida per crediti
patrimoniali. Salta immediatamente agli occhi il fatto che, in pratica, se non
viene raggiunto l'accordo il successivo passaggio è quello previsto dall'appena
citato art.12 che attribuisce agli organi della Direzione provinciale del lavoro
un potere assimilabile a quello del Giudice, atteso che la diffida ha «efficacia
di titolo esecutivo», il che significa che il lavoratore può notificare
precetto e pignoramento in base ad essa. Senza pensare alle modalità di
gestione e voler essere malevoli ipotizzando comportamenti poco ortodossi con
collegamenti a studi professionali, notevoli sono i dubbi di legittimità costituzionale
in relazione agli art.24 e 25 della Costituzione. Stante la formulazione della
norma, la Direzione provinciale del lavoro assume il potere di emettere un provvedimento,
addirittura senza una istanza di parte, che ha la forza della sentenza, anzi
maggiore poiché questa è emessa dopo un procedimento giudiziario
in cui è garantito il diritto di difesa, mentre in questo caso il datore
di lavoro può solo promuovere il tentativo di conciliazione e, poi ricorrere
al Comitato regionale laddove persino la provvisoria esecutività del decreto
ingiuntivo è rigorosamente disciplinata dalla legge con possibilità di
ottenerne la sospensione; inoltre non è regolamentato il procedimento
giudiziario da attivare a seguito della decisione definitiva del Comitato regionale
e soprattutto la possibilità di chiedere al giudice la sospensione dell'esecuzione
e i presupposti di concessione della stessa. Insomma è stato attribuito
un potere enorme che menoma pesantemente il diritto di difesa del datore di lavoro
e può costringerlo a pagare somme in attesa della definizione del procedimento
giurisdizionale. Ritengo che il testo dell'art.12 vada riformato immediatamente
sopprimendo la riconosciuta efficacia di titolo esecutivo e - se proprio si intende
proseguire sulla strada intrapresa, per certi versi condivisibile - si può sostituire
la suddetta formulazione con altra che attribuisca alla diffida il valore di
prova scritta per la concessione del decreto ingiuntivo, che poi, anche nella
fase di opposizione, sarà regolato dalle specifiche norme del codice di
procedura civile.
|