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  Dicembre 2012

Articoli - n° 5 Giugno 2004
 



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RESPONSABILITA' PENALE DELLE SOCIETÀ
IL CASO SIEMENS AG

L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO
LE APPLICAZIONI NEL METALMECCANICO

NOVITÀ IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI
FIDUCIA NEL CONTRATTO

NOVITÀ IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI
FIDUCIA NEL CONTRATTO
La correttezza non deve esistere solo nei rapporti tra privati

LUIGI D’ANGIOLELLA
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it

Lo spunto di questo articolo viene da una pronuncia del T.A.R. del Lazio (Sezione I bis n. 5991 del 7.7.2003) che ha ben motivato in ordine a una questione di grande importanza per le imprese che lavorano nel settore degli appalti pubblici, sancendo il principio secondo cui la Pubblica Amministrazione non può rifiutare di stipulare un contratto adducendo, genericamente, l'indisponibilità di bilancio. Si tratta, cioè, di quella situazione che purtroppo si verifica, laddove la Pubblica Amministrazione, dopo aver indetto la gara e individuato il vincitore, non stipula il contratto, con motivazioni non sempre limpide e creando notevoli disagi a quanti, confidando nell’esecuzione del contratto e nei relativi introiti, hanno speso risorse e addirittura programmato investimenti. Talvolta, infatti, le imprese si sono scontrate con questa realtà e non hanno trovato una sponda nei Giudici, ancorati ad un dato formale che ha visto spesso, ancora oggi, la Pubblica Amministrazione in posizione di preminenza. è, quindi, un precedente di sicura rilevanza, trattandosi di materia non così pacifica, come appena detto. Il T.A.R. Lazio propone diversi e interessanti spunti di riflessione, primo fra tutti l'individuazione dei limiti dell'esercizio da parte della Pubblica Amministrazione del proprio potere di autotutela, nel caso di rifiuto del perfezionamento della fattispecie contrattuale, affinchè possa considerarsi legittimamente utilizzato. L'insorgenza di specifiche ragioni di interesse pubblico, in realtà, potrebbe consentire la revoca dell'aggiudicazione di un appalto, ai sensi dell'art. 113, r.d. 23 maggio 1924 n. 827, obbligando, peraltro, l'Amministrazione procedente a esplicitare la sua decisione e il suo operato, sulla base di un'esauriente giustificazione dei motivi di interesse pubblico sottesi al diniego stesso, soprattutto qualora la motivazione del rifiuto attenga all'impossibilità dell'assunzione dell'impegno di spesa. Nella decisione in commento del Tribunale Amministrativo romano la comunicazione con cui la Pubblica Amministrazione ha manifestato la volontà di non concludere il contratto è stata ritenuta illegittima, perché la motivazione addotta - l'indisponibilità di fondi - non è stata considerata valido motivo di interesse pubblico atto a giustificare e consentire la caducazione dell'intera procedura di selezione e il comportamento della stessa sanzionato di illiceità, dal momento che la parte pubblica ha omesso di porre in essere quei necessari accertamenti, segno inequivocabile di atteggiamento colposamente negligente, volti ad appurare la concreta possibilità che il contratto avesse esecuzione. La pronuncia dei Giudici Amministrativi romani assume più rilievo in confronto a una precedente decisione del Consiglio di Stato (IV Sezione, 19.03.2003, n. 14), con cui è stato, invece, dichiarato legittimo il diniego di approvazione degli atti di gara motivato con la mancanza di fondi necessari alla realizzazione dell'opera, atteso che il provvedimento comportante un onere finanziario a carico della P.A. deve essere adottato, in ossequio al dettato normativo ex art. 81 Cost., soltanto se provvisto di idonea copertura finanziaria. In realtà, sulla stessa linea del T.A.R. Lazio si era già posta la giurisprudenza comunitaria, sorretta dalle direttive del Consiglio CE 18 giugno 1992, 92/50/CE art. 12 e CE 14 giugno 1993, 93/37/CE art. 8, che ha ammesso un sindacato sulla decisione di non procedere all'aggiudicazione, anche se ha poi sostenuto che la revoca del bando di gara sarebbe disciplinata solo dagli ordinamenti nazionali. Il contenimento della spesa, o la correttezza formale della stessa, quindi, non sempre è visto come una giustificazione accettabile. In termini civilistici, non essendo ancora sorto il vincolo contrattuale, il descritto comportamento, quando è accertata la colpa negligente della stazione appaltante, produce un danno che rientra nell'ipotesi di responsabilità "nelle trattative" e, cioè, una forma di responsabilità "precontrattuale" in capo alla Pubblica Amministrazione. Tale responsabilità è da intendersi come violazione del dovere di buona fede e correttezza nella fase antecedente a quella di formazione del contratto, in base al dettato normativo dell'art. 1337 c.c., e per violazione del dovere di comunicazione all'altro contraente delle cause di invalidità del contratto, ex art. 1338 c.c.. La sentenza del T.A.R. Lazio propone quale principale fondamento teorico una recente posizione dottrinaria secondo cui il rapporto amministrativo tra i soggetti interessati e l'Amministrazione stessa costituisce un'ipotesi di "contatto sociale qualificato". In realtà, l'ipotesi della responsabilità da contatto sociale era stata elaborata dalla Suprema Corte di Cassazione in relazione alla materia di responsabilità del medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale nei confronti del paziente, nel caso in cui non sia direttamente vincolato da un contratto. La Cassazione aveva ricondotto tale fattispecie all'interno della responsabilità contrattuale «ancorchè non fondata su contratto ma sul contatto sociale connotato dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta». Allo stesso modo, secondo il T.A.R. Lazio, in tema di appalti pubblici, l'Amministrazione, una volta stabilito un contatto con il privato, assume obblighi specifici che, se violati, seppur svincolati da un contratto, determinano una responsabilità, che è qualificata ed è assistita da una particolare attenzione sociale, quasi che si tratti di materia "protetta" anch'essa (appunto, come quella dell'attività medica) per i connotati di affidabilità che deve avere. Il principale canone interpretativo, infatti, è l'affidamento che l'impresa aggiudicataria pone nell'attività della Pubblica Amministrazione, che ha rilevanza sociale e che non può "tradire" la fiducia dell'appaltatore. Inoltre, viene in rilievo la violazione dei principi generali in tema di obbligazioni e, cioè, quelli di correttezza e buona fede dei rapporti sia nella fase delle trattative (che va dalla gara fino all'aggiudicazione) che dopo il contratto. È un bel salto in avanti per chi opera in questo settore, perché viene riconosciuto all'appaltatore il diritto a chiedere i danni quando l'Amministrazione si tira indietro in maniera immotivata o generica, finanche di fronte a quello che fino a ieri sembrava un baluardo insormontabile in forza dell'art. 81 della Costituzione e, cioè, l’indisponibilità dei fondi. Ciò porrà non pochi problemi a quei funzionari che operano nel settore, che dovranno essere sicurissimi della provvista finanziaria prima di avviare una gara, per non trovarsi coinvolti nelle azioni - giuste e legittime - che possono avanzare le imprese deluse da un comportamento scorretto o contraddittorio rispetto agli atti di indizione e di svolgimento di una pubblica selezione. Allo stesso modo, l'impresa potrà e dovrà sempre pretendere comportamenti lineari nel contraente pubblico, anche per tutelare i propri sforzi. È un altro importante passo in avanti verso un diverso rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, la quale ormai non è più nella torre eburnea dell’insindacabilità delle scelte e deve comportarsi sempre con trasparenza e correttezza, senza poter pensare di trincerarsi dietro comportamenti che non siano perfettamente spiegabili e in linea con quanto precedentemente assunto.

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