RESPONSABILITA'
PENALE DELLE SOCIETÀ
IL CASO SIEMENS AG
L’ESERCIZIO
DEL DIRITTO DI SCIOPERO
LE APPLICAZIONI NEL METALMECCANICO
NOVITÀ IN
TEMA DI APPALTI PUBBLICI
FIDUCIA NEL CONTRATTO
NOVITÀ IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI
FIDUCIA NEL CONTRATTO
La correttezza non deve esistere solo
nei rapporti tra privati
LUIGI
D’ANGIOLELLA
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it
Lo spunto di questo articolo viene da una pronuncia del
T.A.R. del Lazio (Sezione I bis n. 5991 del 7.7.2003) che ha ben motivato
in ordine a una questione di grande importanza per le imprese che lavorano
nel settore degli appalti pubblici, sancendo il principio secondo cui
la Pubblica Amministrazione non può rifiutare di stipulare un contratto
adducendo, genericamente, l'indisponibilità di bilancio. Si tratta,
cioè, di quella situazione che purtroppo si verifica, laddove la
Pubblica Amministrazione, dopo aver indetto la gara e individuato il
vincitore, non stipula il contratto, con motivazioni non sempre limpide
e creando notevoli disagi a quanti, confidando nell’esecuzione del
contratto e nei relativi introiti, hanno speso risorse e addirittura programmato
investimenti. Talvolta, infatti, le imprese si sono scontrate con questa
realtà e non hanno
trovato una sponda nei Giudici, ancorati ad un dato formale che ha visto
spesso, ancora oggi, la Pubblica Amministrazione in posizione di preminenza. è,
quindi, un precedente di sicura rilevanza, trattandosi di materia non
così pacifica,
come appena detto. Il T.A.R. Lazio propone diversi e interessanti spunti
di riflessione, primo fra tutti l'individuazione dei limiti dell'esercizio
da parte della Pubblica Amministrazione del proprio potere di autotutela,
nel caso di rifiuto del perfezionamento della fattispecie contrattuale,
affinchè possa considerarsi legittimamente utilizzato. L'insorgenza
di specifiche ragioni di interesse pubblico, in realtà, potrebbe
consentire la revoca dell'aggiudicazione di un appalto, ai sensi dell'art.
113, r.d. 23 maggio 1924 n. 827, obbligando, peraltro, l'Amministrazione
procedente a esplicitare la sua decisione e il suo operato, sulla base
di un'esauriente giustificazione dei motivi di interesse pubblico sottesi
al diniego stesso, soprattutto qualora la motivazione del rifiuto attenga
all'impossibilità dell'assunzione
dell'impegno di spesa. Nella decisione in commento del Tribunale Amministrativo
romano la comunicazione con cui la Pubblica Amministrazione ha manifestato
la volontà di non concludere il contratto è stata ritenuta
illegittima, perché la motivazione addotta - l'indisponibilità di
fondi - non è stata considerata valido motivo di interesse pubblico
atto a giustificare e consentire la caducazione dell'intera procedura
di selezione e il comportamento della stessa sanzionato di illiceità,
dal momento che la parte pubblica ha omesso di porre in essere quei necessari
accertamenti, segno inequivocabile di atteggiamento colposamente negligente,
volti ad appurare la concreta possibilità che il contratto avesse
esecuzione. La pronuncia dei Giudici Amministrativi romani assume più rilievo
in confronto a una precedente decisione del Consiglio di Stato (IV Sezione,
19.03.2003, n. 14), con cui è stato, invece, dichiarato legittimo
il diniego di approvazione degli atti di gara motivato con la mancanza
di fondi necessari alla realizzazione dell'opera, atteso che il provvedimento
comportante un onere finanziario a carico della P.A. deve essere adottato,
in ossequio al dettato normativo ex art. 81 Cost., soltanto se provvisto
di idonea copertura finanziaria. In realtà, sulla stessa linea del
T.A.R. Lazio si era già posta la giurisprudenza comunitaria, sorretta
dalle direttive del Consiglio CE 18 giugno 1992, 92/50/CE art. 12 e CE
14 giugno 1993, 93/37/CE art. 8, che ha ammesso un sindacato sulla decisione
di non procedere all'aggiudicazione, anche se ha poi sostenuto che la
revoca del bando di gara sarebbe disciplinata solo dagli ordinamenti nazionali.
Il contenimento della spesa, o la correttezza formale della stessa, quindi,
non sempre è visto come una giustificazione accettabile. In termini
civilistici, non essendo ancora sorto il vincolo contrattuale, il descritto
comportamento, quando è accertata la colpa negligente della stazione
appaltante, produce un danno che rientra nell'ipotesi di responsabilità "nelle
trattative" e, cioè, una forma di responsabilità "precontrattuale" in
capo alla Pubblica Amministrazione. Tale responsabilità è da
intendersi come violazione del dovere di buona fede e correttezza nella
fase antecedente a quella di formazione del contratto, in base al dettato
normativo dell'art. 1337 c.c., e per violazione del dovere di comunicazione
all'altro contraente delle cause di invalidità del contratto, ex
art. 1338 c.c.. La sentenza del T.A.R. Lazio propone quale principale
fondamento teorico una recente posizione dottrinaria secondo cui il rapporto
amministrativo tra i soggetti interessati e l'Amministrazione stessa costituisce
un'ipotesi di "contatto sociale qualificato". In realtà,
l'ipotesi della responsabilità da contatto sociale era stata elaborata
dalla Suprema Corte di Cassazione in relazione alla materia di responsabilità del
medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale nei confronti del
paziente, nel caso in cui non sia direttamente vincolato da un contratto.
La Cassazione aveva ricondotto tale fattispecie all'interno della responsabilità contrattuale «ancorchè non
fondata su contratto ma sul contatto sociale connotato dall'affidamento
che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione
protetta». Allo stesso modo, secondo il T.A.R. Lazio, in tema di appalti
pubblici, l'Amministrazione, una volta stabilito un contatto con il privato,
assume obblighi specifici che, se violati, seppur svincolati da un contratto,
determinano una responsabilità, che è qualificata ed è assistita
da una particolare attenzione sociale, quasi che si tratti di materia "protetta" anch'essa
(appunto, come quella dell'attività medica) per i connotati di affidabilità che
deve avere. Il principale canone interpretativo, infatti, è l'affidamento
che l'impresa aggiudicataria pone nell'attività della Pubblica Amministrazione,
che ha rilevanza sociale e che non può "tradire" la fiducia
dell'appaltatore. Inoltre, viene in rilievo la violazione dei principi
generali in tema di obbligazioni e, cioè, quelli di correttezza e
buona fede dei rapporti sia nella fase delle trattative (che va dalla gara
fino all'aggiudicazione) che dopo il contratto. È un bel salto in
avanti per chi opera in questo settore, perché viene riconosciuto
all'appaltatore il diritto a chiedere i danni quando l'Amministrazione si
tira indietro in maniera immotivata o generica, finanche di fronte a quello
che fino a ieri sembrava un baluardo insormontabile in forza dell'art. 81
della Costituzione e, cioè,
l’indisponibilità dei fondi. Ciò porrà non pochi
problemi a quei funzionari che operano nel settore, che dovranno essere
sicurissimi della provvista finanziaria prima di avviare una gara, per
non trovarsi coinvolti nelle azioni - giuste e legittime - che possono avanzare
le imprese deluse da un comportamento scorretto o contraddittorio rispetto
agli atti di indizione e di svolgimento di una pubblica selezione. Allo
stesso modo, l'impresa potrà e dovrà sempre pretendere comportamenti
lineari nel contraente pubblico, anche per tutelare i propri sforzi. È un
altro importante passo in avanti verso un diverso rapporto tra cittadino
e Pubblica Amministrazione, la quale ormai non è più nella
torre eburnea dell’insindacabilità delle scelte e deve comportarsi
sempre con trasparenza e correttezza, senza poter pensare di trincerarsi
dietro comportamenti che non siano perfettamente spiegabili e in linea
con quanto precedentemente assunto. |