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  Dicembre 2012

Articoli n?04
MAGGIO 2012
PRIMO PIANO LAVORO - Home Page
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Riforma del lavoro: «Efficacia a rischio per le troppe MODIFICHE»

Tavella: «BASTA con il SUPERMERCATO dei contratti»

Lavoro, LUCCI: «Agenda Napoli e Contratto Campania per RIPARTIRE»

«ESODATI, un dramma trascurato»

La RIFORMA dell'art. 18 dello Statuto dei LAVORATORI

Dalla parte dei lavoratori… ma anche delle IMPRESE!

Licenziamenti: le possibili novitÀ sulla celeritÀ dei PROCESSI

In DIFESA della Riforma

La Riforma degli AMMORTIZZATORI SOCIALI

LA VENDITA PORTA A PORTA e i dubbi (aperti) della Riforma


In DIFESA della Riforma

L'impianto è buono anche se ci sono dei margini di miglioramento. Un problema insoluto è, ad esempio, l'eccessivo ricorso ai giudici

Marco Leonardi,
Professore associato Dipartimento di Studi del Lavoro - Facoltà di Scienze Politiche Università degli Studi di Milano marco.leonardi@unimi.it

La riforma del mercato del lavoro approntata dal governo Monti è una buona riforma che non merita di essere smontata pezzo per pezzo in Parlamento fino ad essere ridotta ad una "riformetta".
Sicuramente vi sono dei dettagli importanti che vanno corretti, ma questi ultimi riguardano più la tecnica legislativa e la necessità di rendere le norme di più chiara applicazione, non certo l'impianto generale.
È una riforma equilibrata perché affronta in modo comprensivo tutti e tre i principali problemi del mercato del lavoro italiano dal momento che:
(1) rende più efficiente, coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive a complemento;
(2) ridistribuisce più equamente le tutele dell'impiego, riconducendo nell'alveo del contratto a tempo indeterminato i contratti di partita IVA e di co.co.pro. usati impropriamente;
(3) adegua la disciplina del licenziamento individuale per motivi economici oggettivi alla normativa più comune in Europa.
I tre pilastri della riforma sono strettamente legati e vanno considerati in un equilibrio generale, non possono essere giudicati singolarmente.
Partiamo proprio dall'ultimo punto: la riforma affronta per la prima volta con coraggio la normativa sul licenziamento individuale.
Nessuna riforma del mercato del lavoro può dirsi completa se non tocca quel punto così sensibile politicamente, tanto è vero che tutti i progetti di riforma circolati in quest'ultimo decennio suggerivano dei cambiamenti all'articolo 18 per il licenziamento individuale, ma nessun progetto prima d'ora aveva avuto il necessario consenso politico per diventare legge.
Dunque il capitale politico speso per ridurre la protezione dell'articolo 18 è stato ben speso.
Ora semmai è necessario non fare marcia indietro e rafforzare invece la volontà del legislatore: il modello tedesco di articolo 18 adottato dalla riforma Fornero deve implicare come in Germania che il giudice conceda il reintegro solo nel caso ‑molto raro, circa il 5% dei casiin cui ravvisi sotto il motivo economico un motivo discriminatorio dissimulato altrimenti la regola deve essere il risarcimento monetario.
A fronte del cambiamento della norma sul licenziamento individuale la riforma riconosce la necessità di riformare il sistema della cassa integrazione e di ridurre l'abuso delle forme contrattuali autonome o parasubordinate. La vecchia norma pre‑riforma dell'articolo 18 ha un potente effetto deterrente del licenziamento individuale nelle imprese sopra i 15 dipendenti (e infatti vi sono molti più licenziamenti individuali in Germania che in Italia). In cambio vi sono oggi in tempi di crisi tantissimi licenziamenti collettivi e un vasto ricorso alla Cassa Integrazione. Per questa ragione la riforma si propone di razionalizzare l'utilizzo della Cassa Integrazione, estendendo la platea dei contribuenti e beneficiari della Cassa ma evitando anche che essa possa diventare un sostegno indefinito alle imprese decotte a spese dello Stato.
La vecchia norma dell'articolo 18 sul licenziamento individuale ha avuto anche un altro effetto: le medie imprese tra 15 e 100 dipendenti cioè un terzo delle imprese italiane e il cuore dell'economia italianain tempi normali non riescono a fare nessuno dei due tipi di licenziamento, né gli individuali perché troppo rischiosi in sede di giudizio, né i collettivi perchè sono troppo piccole per rispettare il numero minimo di licenziamenti previsti nella norma. Ma questa non è necessariamente una buona notizia perché è evidente che se le imprese non possono licenziare allora non vorranno neppure assumere a tempo indeterminato, ma piuttosto a partita IVA o co.co.pro., rendendosi quindi responsabili dell'uso improprio dei contratti di lavoro autonomo che caratterizza circa un milione‑un milione e mezzo di giovani.
Sia diverse indagini sulla dipendenza economica di molte partite IVA e co.co.pro., sia il dato di un 25% di lavoro autonomo in Italia in confronto ad un 15% circa di Francia e Germania, mettono in evidenza la necessità di agire proprio su questo punto per limitare il diffondersi della precarietà nell'occupazione dei giovani. Da qui traggono ispirazione le norme severe introdotte da questa riforma per limitare gli abusi nell'uso delle partite IVA e dei co.co.pro. L'impianto della riforma è buono anche se ci sono dei margini di miglioramento. Un problema insoluto è, ad esempio, l'eccessivo ricorso ai giudici.
Anche dopo la riforma, che pur istituisce una procedura conciliatoria obbligatoria e un rito abbreviato, tutti i licenziamenti andranno comunque davanti ai giudici.
Una possibile soluzione per garantire un filtro efficace dei licenziamenti individuali potrebbe essere quella di introdurre un'indennità automatica al momento del licenziamento come avviene in Germania: accettando l'indennità monetaria al momento del licenziamento non si può poi andare in giudizio.
La legge tedesca preve‑ de un meccanismo di questo tipo dove ritengo tuttavia che l'indennità sia fissata a un livello troppo basso (vale a dire 0.5 mesi di retribuzione per anno di anzianità), per cui la maggior parte dei lavoratori rinuncia all'indennità e va in giudizio alla ricerca di un risarcimento più alto. In Italia si potrebbe pensare di introdurre un'indennità automatica di ben maggiore entità e crescente nell'anzianità di servizio del lavoratore al fine sia di evitare molte controversie giudiziarie sia di disincentivare il licenziamento dei lavoratori anziani. Ad oggi infatti in Italia, anche dopo la riforma e diversamente da molti altri paesi europei, l'indennità non è automatica al momento dl licenziamento ma è dovuta solo in caso di esito positivo del giudizio a favore del lavoratore.
L'OECD, ad esempio, ritiene l'indennità una miglior protezione del lavoratore contro il licenziamento rispetto al reintegro che, a causa dell'esito incerto del giudizio, distorce il mercato del lavoro. Un altro margine di miglioramento futuro potrebbe essere il contratto unico di inserimento proposto da Boeri e Garibaldi per cui un neo assunto ha per tre anni una tutela risarcitoria dal licenziamento individuale e dopo il terzo anno entra in vigore la protezione dell'articolo 18.
Tuttavia ritengo che questa innovazione sia possibile solo dopo la riforma Fornero, in presenza di un articolo 18 depotenziato. Prima della riforma, infatti, nessun imprenditore avrebbe agevolmente lasciato trasformare dopo tre anni un contratto di inserimento in un contratto a tempo indeterminato protetto dall'articolo 18, e nessun lavoratore avrebbe volentieri cambiato posto di lavoro se cambiando lavoro e contratto avrebbe nel contempo rinunciato alla tutela reale. In conclusione, al di là delle molteplici critiche che vengono da destra e da sinistra, questa riforma affronta in maniera equilibrata tutti i punti fondamentali per un migliore mercato del lavoro.
Se non verrà depotenziata in Parlamento è una riforma importante che per le divisioni interne agli schieramenti non avrebbe mai visto la luce in un governo di centrodestra o di centrosinistra.

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