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  Dicembre 2012

Articoli n?04
MAGGIO 2012
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Riforma del lavoro: «Efficacia a rischio per le troppe MODIFICHE»

Tavella: «BASTA con il SUPERMERCATO dei contratti»

Lavoro, LUCCI: «Agenda Napoli e Contratto Campania per RIPARTIRE»

«ESODATI, un dramma trascurato»

La RIFORMA dell'art. 18 dello Statuto dei LAVORATORI

Dalla parte dei lavoratori… ma anche delle IMPRESE!

Licenziamenti: le possibili novitÀ sulla celeritÀ dei PROCESSI

In DIFESA della Riforma

La Riforma degli AMMORTIZZATORI SOCIALI

LA VENDITA PORTA A PORTA e i dubbi (aperti) della Riforma


Licenziamenti: le possibili novitÀ sulla celeritÀ dei PROCESSI

Il meccanismo processuale immaginato dalla riforma del lavoro è molto più snello rispetto al precedente


Sabino De Blasi,
Giuslavorista Patrocinante in Cassazione sabino.deblasi2@tin.it

Bisognerebbe chiedersi quali siano stati in questi anni, in tema di licenziamenti individuali, i punti di "sofferenza" per gli addetti ai lavori e le parti interessate.
Di certo, nel programmare e porre in essere una riforma tanto delicata, che tenga effettivamente conto di una serie di patologie storiche, non si può prescindere dall'annoverare, "d'ufficio", tra questi, i tempi lunghi della giustizia e l'incertezza del diritto intesa come orientamento mutevole della giurisprudenza di merito e legittimità sui comportamenti suscettibili o meno, specie sul piano disciplinare, di provvedimento espulsivo. Il disegno di legge n°4239 del 4 /4/2012 contiene, al momento, correttivi relativamente alla sola celerità del giudizio (Sezione terza, artt. 16/21), nulla dicendo invece su una tipizzazione di comportamenti meritevoli di licenziamento.
Partiamo, pertanto, da rapide considerazioni attinenti le possibili novità sulla celerità dei processi che, per trovare reale attuazione, dovrà imprescindibilmente raccordarsi con una riorganizzazione degli Uffici Giudiziari.
Il disegno di legge intende introdurre un rito speciale per le controversie in tema di licenziamento, quale evidente risposta alla cronica lentezza del "meccanismo‑giustizia" italiano, che tanti danni ha prodotto (si pensi solo a pronunce intervenute dopo oltre 10 anni dalla intimazione del licenziamento, con aziende condannate a risarcire danni esorbitanti o, ancora, dipendenti di colpo licenziati, dopo essere stati da tempo reintegrati nella vecchia realtà lavorativa).
Il meccanismo processuale ora immaginato dagli estensori della novella è estremamente snello e in parte mutuato dall'art. 28 della L. 300/70. In sintesi, si deposita il ricorso dinanzi al tribunale del lavoro competente, si notifica lo stesso con decreto di fissazione dell'udienza fissata non oltre 30 gg. anche a mezzo posta elettronica e si ottiene un primo provvedimento giurisdizionale, con ordinanza provvisoriamente esecutiva (art 17 ddl).
Successivamente, si instaura, avverso la prima pronuncia del Giudice, un giudizio di opposizione, da proporre entro 30 giorni, con una fase di trattazione a seguito di udienza da fissarsi entro 60 gg. del tutto simile all'attuale, ma con istruttoria, pronuncia della sentenza e deposito delle motivazioni estremamente rapidi (art. 18 ddl). I termini per proporre appello e il ricorso per Cassazione rimangono immutati (30 e 60 gg.), ma ora, l'art. 20 del ddl impone l'obbligo di riservare particolari giorni del calendario dell'udienze alla trattazione delle suddette controversie. Occorrerà, naturalmente, verificare sul campo la effettiva tenuta di tali novità, specie nella prima fase che di certo vedrà un fortissimo incremento del contenzioso in materia (e anche, a mio parere, un ragguardevole numero di pronunce che riconoscerà risarcimenti ai licenziati, in alternativa alla reintegra, così da non "scontentare" nessuno). Se, dunque, bisogna dare atto al ddl di avere colto siffatto punto di criticità reale, non altrettanto può dirsi per quelle problematiche che, ancora oggi, tormentano noi avvocati (e i nostri clienti) ovvero quelle zone grigie del diritto che non fanno mai somigliare un licenziamento disciplinare ad un altro.
Le leggi vigenti e le varie contrattazioni collettive di settore prevedono ed elencano, difatti, criteri e comportamenti generali e sempre a titolo esaustivo, così lasciando alla interpretazione dei Giudici la valutazione sulla legittimità o meno dei provvedimenti adottati. Senza voler mettere in discussione il primato della giurisdizione e il ruolo fondamentale svolto dai Giudicanti, bisogna anche ammettere che tante volte "si naviga a vista", con una giurisprudenza di legittimità in qualche caso imprevedibilmente mutevole, che rende il nostro sistema giudiziario più vicino ai paesi anglosassoni e più lontano dalle norme codificate.
Accade così che quel determinato fatto oggetto di grave censura da qualche altro non sia ritenuto altrettanto grave, stante le differenze anche profonde del bagaglio culturale e professionale o della situazione socioeconomico territoriale, che rendono (anche giustamente e per fortuna) intelligibili le decisioni finali. In questa direzione, una possibile soluzione potrebbe individuarsi in una tipizzazione dei comportamenti a monte, con una serie di indici, "qualitativi e oggettivi", al verificarsi dei quali (acquisite le dovute certezze del caso) si possa ritenere legittimo o meno il licenziamento; un meccanismo, insomma, più vicino agli automatismi del licenziamento collettivo e meno soggetto a discrezionalità e variabili talvolta incomprensibili, solo perché, "in corso d'opera", la Cassazione magari anche con pronuncia isolata in quel momento ha cambiato orientamento.

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