Un punto CLIENTE INAIL all'Unione Industriali di Napoli
Gli CHEF STELLATI diventano ambasciatori del gusto
MARKETING COLLETTIVO per il sistema moda
Gli CHEF STELLATI diventano ambasciatori del gusto
Una iniziativa promossa dalla Sezione Industria Alimentare dell'Unione Industriali, presieduta da Carmine Caputo
Carmine Caputo
L'Industria Alimentare e i Grandi Chef costituiscono due risorse importanti per il territorio napoletano, la sua economia, la sua immagine.
L'Unione Industriali di Napoli, attraverso la Sezione Industria Alimentare presieduta da Carmine Caputo, ha costituito con gli Chef Stellati della Penisola Sorrentina un Tavolo di lavoro per sviluppare forme di collaborazione e sinergie tra mondo dell'impresa, ristorazione e ricerca scientifica.
Tra gli scopi dell'impegno congiunto di Industriali e Grandi Chef la definizione di criteri di certificazione per la ristorazione d'eccellenza. Il metodo della grande cucina napoletana è stato analizzato da un team di ricerca coordinato dal Docente dell'Università Agraria di Portici, Vincenzo Fogliano.
I risultati dello studio consentono di proporre una serie di indicatori che attestano anche sotto il profilo scientifico l'elevatissima qualità della proposta gastronomica napoletana. Hanno collaborato alla ricerca gli Chef Giuseppe Aversa ("Il Buco"), Alfonso e Mariella Caputo ("Taverna del Capitano"), Michele De Leo ("L'Accanto") e Gennaro Esposito ("Torre del Saracino"). Di seguito riportiamo alcuni significativi stralci della ricerca "Ambasciatori del Gusto", realizzata a cura del Centro Studi dell'Unione Industriali con il finanziamento della Camera di Commercio di Napoli.
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3.7 Il Grado di apertura internazionale delle industrie della Campania
La buona struttura industriale regionale nel settore viene confermata da un ragionevole livello di penetrazione nei mercati esteri. Il grado di apertura internazionale è molto accentuato rispetto a quello medio del Mezzogiorno: l'indicatore costruito fa registrare un valore di 84,6 per la Campania (Italia=100) rispetto a 57,4 del Mezzogiorno e a 102,1 dell'Emilia Romagna.
Il 56,9% dell'export meridionale del settore, e quasi il 10% dell'export italiano, è dato da prodotti alimentari campani. Nell'ambito delle esportazioni regionali, inoltre, il settore agro‑industriale esprime il 22,3% dell'export di prodotti manifatturieri, la quota più elevata nel Mezzogiorno.
La Campania è risultata l'unica regione a far registrare un avanzo nel saldo commerciale dell'alimentare in controtendenza rispetto al dato del settore manifatturiero nel suo complesso, il cui saldo commerciale è risultato in deficit per oltre 470 milioni di euro (‑3,5%).
Il comparto dei "Preparati e conserve di frutti e ortaggi" è di gran lunga il primo settore per valore delle merci esportate (pari al 60,7% delle esportazione di prodotti delle trasformazioni agroalimentari in Campania). Sebbene in un ambito "residuale" rispetto al dato italiano, nel panorama del Mezzogiorno, gli Investimenti Diretti Esteri delle imprese campane sono di assoluta rilevanza, soprattutto
nel settore della trasformazione alimentare (59,4%).
Le imprese campane, quindi, investono all'estero più di quelle meridionali ma molto poco rispetto al resto dell'Italia.
3.8 Export e internazionalizzazione un'analisi sui dati 2009
Le esportazioni 2009 del settore hanno segnato un calo del ‑4,9% sull'anno precedente totalizzando 19 miliardi di euro. Un dato in recupero rispetto ai segni "meno" di inizio anno, oscillanti attorno al ‑7%, che evidenzia il netto vantaggio accumulato dal trend di settore rispetto a quello del totale Italia, che ha chiuso l'anno con una diminuzione del ‑21,4%.
L'andamento dell'export soffre soprattutto della discesa del mercato nordamericano, appesantito dai cali del ‑9,1% degli USA e del ‑5,0% del Canada, cui si sono aggiunti quelli, più ridotti, dei grandi mercati europei, a cominciare dal primo sbocco del food and drink nazionale, la Germania (‑3,4%), e poi dalla Francia (‑2,1%) e dal Regno Unito (‑6,5%). Il dato più incoraggiante viene da questo inizio 2010.
Il primo bimestre ha evidenziato un promettente +2,5%. L'export alimentare dovrebbe dunque recuperare a fine anno buona parte del calo del 2009, per riprendere poi nel biennio 2011‑2012 il trend espansivo che l'ha caratterizzato fino al 2008.
Uno sguardo di maggior respiro permette però di sottolineare la solidità della nostra espansione commerciale: nell'ultimo decennio l'export dell'Industria Alimentare in valuta corrente è cresciuto del 53,1%, contro un ben più modesto +11,4% toccato in parallelo dall'export totale del Paese.
É evidente che la riconosciuta capacità del nostro Made in Italy alimentare di vincere sfide importanti sui mercati internazionali va sostenuta con politiche e strategie adeguate, di promozione e di tutela. È altrettanto chiaro, poi, che servono da un lato nuove risorse per l'internazionalizzazione, mirate a favorire la competitività delle nostre imprese all'estero e dall'altro, un sistema istituzionale più coordinato ed efficiente che eviti sprechi e inutili duplicazioni di competenze e di livelli amministrativi. Infine, il made in Italy alimentare deve, per crescere come merita, appropriarsi di quella fetta di mercato che gli viene sottratta da imitazione e contraffazione. Per recuperare terreno è inoltre necessario portare a compimento obiettivi di efficienza, competitività, logistica delle filiere fin qui disattesi.
É ormai chiaro infatti che, nella misura in cui la flessione delle economie e dei mercati sarà lunga, la ripresa vedrà alla fine uno scenario competitivo diverso, probabilmente più selettivo di quello attuale. Emerge sempre più chiaramente la necessità di ristabilire gli equilibri all'interno della filiera, che nell'ultimo decennio ha visto l'Industria perdere sensibilmente peso all'interno della catena del valore. Grande Distribuzione e Industria sono due facce della stessa medaglia e non possono esistere l'una senza l'altra. É per questo che ormai da due anni abbiamo avviato un percorso per giungere ad un protocollo d'intesa tra Federalimentare, Federdistribuzione, Ancc‑Coop e Ancd‑Conad, finalizzato ad instaurare un dialogo permanente, regole condivise e una camera di conciliazione e sono fiducioso che presto saremo in grado di ratificare un accordo capace di dare nuovo slancio all'intera filiera.
I tentativi di intesa inoltre si articolano anche in chiave comunitaria, con l'intento di aggiornare la normativa in tema di dilazioni di pagamento e di pratiche non consentite. Il Parlamento e la Commissione europea hanno già espresso posizioni probanti e di utile riferimento per lo sviluppo delle politiche comunitarie sui termini e ritardi di pagamento, nonché sulle fair trade conditions.
Anche sul fronte del primo anello della filiera, l'agricoltura, soprattutto in vista dei complessi equilibri dei mercati internazionali del "dopo Doha Round", si impone la necessità di ripensare la PAC del dopo 2013 per calibrarla su obiettivi di competitività, produttività e orientamento al mercato. La materie prime agricole rappresentano la componente essenziale dei nostri processi di trasformazione e possono raggiungere fino all'80% dei costi di produzione: per questo, dobbiamo poter contare su approvvigionamenti sicuri in termini di quantità e qualità e a prezzi competitivi.
Acquistando oltre il 70% della produzione primaria nazionale, siamo il principale interlocutore del mondo agricolo e guardiamo con estrema attenzione alle scelte che si ripercuotono sull'intera filiera alimentare. Una menzione particolare meritano inoltre le recenti iniziative condotte da Federalimentare con Confagricoltura.
A questa organizzazione va riconosciuto il merito di aver attivato finalmente un confronto concreto e
pragmatico sul futuro delle filiere agroalimentari italiane. (…)
La ripartizione regionale dei dati evidenzia come Emilia Romagna, Puglia e Campania siano i principali areali di coltivazione del pomodoro da industria, ricoprendo circa i due terzi della superficie complessiva nazionale.
La filiera del pomodoro da industria è caratterizzata da una spinta specializzazione territoriale che si articola su due distretti di produzione (Ismea): uno localizzato in Emilia Romagna nelle province di Parma, Piacenza e Ferrara (distretto emiliano), l'altro nelle regioni Puglia e Campania (distretto meridionale). Il distretto meridionale presenta notevoli differenze rispetto alla realtà emiliana. La produzione della materia prima è localizzata prevalentemente in Puglia dove le quasi 3.800 aziende interessate alla coltivazione del pomodoro da industria presentano una dimensione media di 10 ha/azienda.
Ancora più frammentata risulta la realtà produttiva campana dove le 5.000 aziende agricole hanno mediamente una dimensione di soli 3 ha. Se la produzione agricola è distribuita su di un territorio piuttosto ampio e disomogeneo, la fase di trasformazione è fortemente e tradizionalmente concentrata nell'ambito molto più ristretto delle province di Napoli e Salerno. In Campania operano 120 opifici, che rappresentano circa l'80% delle unità produttive meridionali e il 60% circa di quelle nazionali.
Le unità produttive sono caratterizzate da una dimensione molto modesta degli impianti, ciascuno dei quali lavora in media 19mila tonnellate di pomodoro l'anno. Infine va rilevato che in Puglia il numero di impianti di trasformazione sta gradualmente crescendo toccando le 12 unità nel 2004, secondo i dati resi disponibili dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
L'offerta campana ruota intorno alla produzione dei tradizionali pomodori pelati ai quali si affiancano i più innovativi pomodorini prodotti da oltre il 20% delle aziende. In Campania la percentuale di imprese che offre un mix di tre prodotti è del 21% mentre circa il 50% delle imprese sono fortemente specializzate nell'offerta di pelati. |