"Terra” e territori
contro la crisi
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"Terra” e territori
contro la crisi
Filiera corta, investimenti in infrastrutture e aggregazioni tra imprese
sono le chiavi giuste per superare la crisi e porsi nuovi obiettivi di crescita
di Raffaella Venerando
C’era da aspettarselo. La crisi internazionale non ha lasciato indenne neanche il settore agricolo, con forti ripercussioni sui prezzi e sulle tendenze al consumo.
Hanno resistito bene soltanto quelle imprese agricole più innovative che, nell’80% dei casi, hanno giudicato buona o addirittura eccellente la propria condizione competitiva e che nel 70% prevedono per i prossimi tre anni un aumento di fatturato, che è nel 43% superiore ai 100mila euro/anno.
Queste ultime stime della Coldiretti trovano ulteriore conferma nei dati elaborati da Infocamere, dai quali emerge con chiarezza un “sorpasso” nel primo trimestre del 2009 dell’agricoltura sull’industria: sono nate infatti 10.269 imprese in agricoltura contro le 9.014 dell’industria.
La situazione complessiva però resta alquanto instabile e precaria, soprattutto perché si corre il rischio che continui a prevalere e a perpetrarsi un'idea marginale dell'agricoltura.
Per evitare che questo accada, ma anche per non farsi trovare impreparati dalle nuove sfide connesse all'accresciuta concorrenza internazionale e alla riforma della Politica Agricola Comune (PAC) fino al 2013 - che con buone probabilità vedrà una riduzione dei sostegni alle produzioni agricole - politica e imprese agricole insieme hanno bisogno di lavorare ad una massiccia innovazione della nostra agricoltura, riorganizzandola e rendendola capace di difendersi sui domestic market e su quelli di oltre confine.
Una tale operazione di restyling (non solo di facciata) sarà possibile però solo rimettendo al centro i punti di forza invidiabili del nostro apparato produttivo agricolo: qualità, tipicità, identità produttive e soprattutto il legame forte con il territorio.
Sarà fondamentale quindi perseguire una strada su tutte: quella dell'aggregazione tra produttori.
Le imprese agricole - al pari di quelle di altri comparti - devono imparare a superare l’isolamento e a fare squadra per riuscire a vincere le sfide del futuro. La Regione Campania negli ultimi mesi ha dato dimostrazione di quanto l’economia rurale sia una risorsa strategica per l’intera economia regionale. Dopo aver concordato con l'Abi l'estensione della moratoria sulle rate dei mutui da 12 a 18 mesi, ha infatti successivamente reso disponibili i primi 2 milioni di euro (in totale ne sono previsti 4), da destinare alle imprese agricole in situazioni di emergenza, oltre a sostenere anche il monte interessi generato dalla moratoria.
Ma non basta. Quello che più di tutto occorre è un salto deciso di qualità nell’organizzazione dell’offerta agricola, che ancora risente di parcellizzazioni e spaccature.
Ad oggi, infatti, sia a livello regionale sia provinciale, l’agricoltura appare come una risorsa sottoutilizzata.
Per uscire dalla crisi si dovrebbero pertanto adeguare tutte le strategie e gli strumenti a disposizione dell'agricoltura, anche mettendo mano a nuovi investimenti.
L’agroalimentare - ed è questa la scommessa per il futuro - potrebbe così rivelarsi il motore aggiunto per l’economia campana, a patto però che si riesca a passare da un approccio artigianale a uno di tipo più smaccatamente industriale, sull’esempio di regioni più avanti come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna.
In Campania, invece, la fotografia attuale del comparto agricolo vede tanti nani di qualità, tante isole di eccellenza che però da sole non riescono di fatto ad avere un ruolo trainante. Se non si mette mano ad una politica di incentivi per fare filiera, per fare massa critica, le imprese agroalimentari avranno sul loro cammino sempre crescenti difficoltà ad espandersi.
Un’idea vincente - avanzata e promossa già in molte regioni “pilota” del nostro Paese - è quella di puntare sull'approccio di filiera, sul connubio agricoltura-turismo, sulla multifunzionalità e sulle denominazioni di origine.
In questo modo si potrebbero collegare a doppio nodo le eccellenze agro-alimentari della Campania con le materie prime locali, mettendo in piedi strutture e organizzazioni in grado di attrarre capitali, ricerca e innovazione.
Ma non solo.
Va rivisto anche il sistema di distribuzione dei prodotti alimentari, oggi eccessivamente lungo. Se si riuscisse ad accorciare il rapporto fra produttori e consumatori, dando vita a progetti di filiera corta che assicurerebbero cibo sano al prezzo giusto, molte aziende sarebbero in grado di risollevare le proprie sorti, con indubbi vantaggi anche per le tasche dei consumatori finali (ad oggi il 30% delle aziende ci è riuscita grazie a questa iniziativa).
La frammentazione dell’offerta infatti comporta non solo la persistenza di canali di commercializzazione eccessivamente lunghi ma anche una distruttiva “guerra dei prezzi” nella fase della prima messa in mercato delle produzioni (dal produttore al grossista commerciante). Ed è proprio su questa fase che bisognerebbe essere più incisivi.
Va in questa direzione la proposta di legge del Governo che mira a promuovere la domanda e l’offerta dei prodotti alimentari locali, cosiddetti a “chilometro zero” perché provenienti da filiera corta anche nelle mense di scuole, ospedali e caserme. La proposta di legge ha come obiettivo la riduzione della distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo, riduzione che significa anche abbassamento dei costi energetici e ambientali provocati dal trasporto di alimenti provenienti da lunghe distanze.
Ha dell’incredibile infatti il percorso tortuoso che compie un prodotto alimentare prima di arrivare sulle tavole degli italiani: mediamente ogni pasto percorre quasi 1900 chilometri e la distribuzione commerciale dei prodotti alimentari (insieme con i lunghi trasporti e le inefficienze di natura logistica) è tra le principali responsabili su scala globale dell'emissione di gas a effetto serra.
Il Veneto - che come sottolineavamo è una delle regioni più lungimiranti e avanzate in campo agricolo - non ha perso tempo, approvando per primo la legge.
La nuova normativa riguarda specifici prodotti che rispettano le caratteristichedi stagionalità, sostenibilità ambientale e legame con le tradizioni tipiche del posto.
L’intento è di promuovere il consumo di prodotti locali per sostenere l’economia e l’ambiente, riducendo notevolmente l’immissione in atmosfera di gas nocivi responsabili dell’effetto serra, in linea con il trend - diventato quasi un imperativo dei nostri giorni - di realizzare uno stile di vita eco-sostenibile.
Se autorizzati, gli enti locali potranno così promuovere il consumo di prodotti regionali e stagionali anche all’interno delle mense pubbliche, della ristorazione collettiva, nonché acquistabili nei supermercati, valorizzando la produzione locale e garantendo un risparmio economico notevole.
Non male se si considera che nel nostro Paese oltre l'86 per cento dei trasporti commerciali avviene su gomma e la logistica incide per quasi un terzo sui costi di frutta e verdura.
La legge (approvata dalla Comunità europea ma non ancora operativa su tutto il territorio nazionale) rappresenta un importante punto di riferimento per il progetto a chilometri zero della Coldiretti che interessa dai ristoranti alle gelaterie, dalle mense scolastiche agli ospedali dove vengono offerti ai pazienti i prodotti agroalimentari delle aziende agricole locali, freschi, sicuri e che arrivano dall’imprenditore agricolo della porta accanto, riducendo l’inquinamento ambientale dovuto ai trasporti ed il suo impatto sul clima. Purtroppo su questo fronte, nonostante le lodevoli iniziative della Coldiretti (vedi scheda a lato e a pagina 11) la nostra regione è ancora molto indietro. La Grande Distribuzione Organizzata - per logiche commerciali proprie - quasi sembra ignorare i prodotti tipici campani, tanto che la scorsa estate l’assessore regionale all’agricoltura, Gianfranco Nappi, ha esortato le catene della Gdo a mettere più Sud sugli scaffali (appello raccolto attualmente dalla sola Coop) proprio per far sì che il comparto agroalimentare provi a diventare trainante contro la crisi.
Per rilanciare l'immagine dell'agroalimentare campano, oltre a integrarlo con il turismo e l'artigianato, oltre a sviluppare la vendita diretta e la filiera corta, saranno necessari però soprattutto grandi infrastrutture e un piano di sviluppo rurale complessivo, capace di rimetterci in gara con i competitor stranieri.
C’è però una “nicchia”, uno spicchio di agricoltura che ogni giorno acquista sempre più peso e importanza, su cui il nostro Paese e la Campania sono pronti a puntare il tutto per tutto: il biologico. Se è vero infatti che l’Italia non può concorrere ad armi pari con tutti quei Paesi che riescono a produrre a prezzi bassissimi grazie a un costo del lavoro inferiore o ad aiuti statali, o a sostanze chimiche ancora ammesse e da noi messe al bando, sul fronte dell’agricoltura biologica siamo fortissimi: ogni anno aumentano le aziende che producono e commercializzano alimenti di qualità ineccepibile, buoni, genuini e rispettosi dell'ambiente (la Rago di Battipaglia è un esempio vincente, vedi scheda a pagina 10).
Se i numeri “bio” su scala nazionale sono sbalorditivi - le 17.393 aziende italiane inserite nel sistema di controllo biologico nel 1996 sono passate a 31.118, nel 1997 (+79%) e a 43.698 nel 1998 (+40%) - quelli regionali non lo sono da meno: la Campania conta infatti ben 1499 aziende agricole di produzioni di eccellenza, oltre a 217 preparatori puri (stime Regione Campania).
Filiera corta, investimenti in infrastrutture, aggregazioni tra imprese, sono queste le chiavi giuste per superare la crisi e porsi nuovi obiettivi di crescita.
Se ci crede il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che punta molto sullo sviluppo del settore agricolo promuovendo lo sviluppo delle energie rinnovabili, tutelando dai falsi alimentari i prodotti tipici con l’indicazione d’origine dei prodotti, effettuando investimenti nelle infrastrutture per sostenere l’agricoltura locale, forse sarebbe il caso che ci credessimo anche noi.
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