Le controversie d’impresa
tra giudici e conciliatori
Mediare una controversia finalizzata ad una soluzione conciliativa significa tentare
di risolvere la lite senza ricorrere ad un terzo che abbia il potere di decidere e quindi “tagliare” in maniera netta il nodo della discordia
M. Marinaro
Avvocato Cassazionista - Conciliatore CCIAA Salerno, Avellino, Caserta
Perfezionato in Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale - Univ. Salerno
Membro dell’AIA Associazione Italiana per l’Arbitrato
info@studiolegalemarinaro.it
La recente riforma avviata con la legge-delega del giugno 2009 (art. 60 L. 69/2009) e il successivo schema di decreto legislativo del 28 ottobre 2009, tuttora all’esame delle Commissioni Parlamentari, ha avuto il sicuro merito di destare l’interesse generale dei media e, quindi, di tutti gli utenti del sistema giustizia, sia quelli professionali sia quelli occasionali.
L’attenzione sui temi della giustizia, e in particolare della giustizia civile italiana ormai al collasso, ha spinto gli osservatori a valutare con grande favore questa innovazione che nelle premesse dovrebbe preludere ad un significativo effetto deflattivo sul carico giudiziario, risolvendo quasi d’incanto i cronici problemi strutturali e funzionali di una giustizia ormai alle corde.
Le soluzioni adottate dal legislatore nella legge-delega e quelle che potrebbero essere le scelte del Governo in sede di attuazione (secondo quanto è previsto nello schema approvato) a prescindere da quelli che potranno essere gli effetti sul carico giudiziario (sia nel breve, sia nel lungo periodo) costituiscono in ogni caso una svolta da tempo invocata e attesa introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina organica e a carattere generale della conciliazione (o, secondo il dettato normativo, della mediazione finalizzata alla conciliazione).
E allora per spiegare questo nuovo modo di risoluzione in via stragiudiziale delle controversie sovente si discorre di nuove forme di giustizia e la giustizia viene volta a volta definita “alternativa”, “coesistenziale”, “consensuale” o, con una efficace immagine, “…senza spada”. E forse proprio tentando di ripartire dalla giustizia (quella “…con la spada”) che è possibile comprendere appieno le profonde differenze che marcano un percorso culturale per un rinnovato approccio alla lite ed alla soluzione negoziata.
L’iconografia della giustizia infatti riporta la memoria ad una serie di segni e simboli che raccontano una storia millenaria dove la bilancia e/o la spada (raffigurate congiuntamente a partire dal XIII secolo) sono le costanti di una concezione della Giustizia (che trova posto tra le quattro virtù cardinali del cristianesimo) fondata sull’equilibrio e sulla potestà punitiva pubblica.
Ed allora si comprende immediatamente perché lo strumento conciliativo viene definito “alternativo” o “senza spada”. Mediare una controversia finalizzata ad una soluzione conciliativa significa tentare di risolvere la lite senza ricorrere ad un terzo che abbia il potere di decidere e quindi “tagliare” in maniera netta il nodo della discordia.
Al riguardo tuttavia un autorevole studioso non ha mancato di porre in evidenza come affiancare la conciliazione agli strumenti della giustizia sia improprio. Questa precisazione peraltro appare necessaria e utile a chiarire anche all’utente non professionale che la conciliazione soltanto indirettamente, e in senso lato, può essere ricondotta ad un sistema di giustizia.
Non potrà sfuggire infatti che in sede giudiziale (a questa riflessione non si sottrae ovviamente l’arbitrato) poiché la “decisione” è affidata ad un terzo (sia esso giudice o arbitro) necessariamente la stessa dovrà essere fondata sulla realtà sostanziale esistente. Di qui la necessità che la decisione sia “giusta” (si pensi alla rigorosa tutela del “contraddittorio” ed alle altre garanzie processuali, che in tanto assumono un significato in quanto sono idonee a favorire la giustizia della decisione).
Nella sede conciliativa invece lo strumento utilizzato è negoziale e la definizione della lite è affidata al contratto. Appare evidente quindi la differenza sostanziale con la “giustizia”, in quanto le parti durante la mediazione ricercheranno con l’aiuto del terzo (mediatore/conciliatore) la migliore soluzione possibile nel tentativo di soddisfare i contrapposti interessi. E la soluzione che le parti ricercheranno non dovrà necessariamente essere fondata sulla ricognizione della realtà esistente (essendo possibile quindi anche il cosiddetto ampliamento dell’oggetto della conciliazione). Ciò significa che la controversia non dovrà essere risolta con una soluzione “giusta” (che quindi non sarà una “decisione”, bensì un “accordo”), ma con una soluzione “opportuna”, perché così valutata dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale.
Da questa riflessione emerge con chiarezza la profonda differenza tra una soluzione giudiziale ed una conciliativa e l’impossibilità di assimilare sia pure per finalità descrittive quest’ultima ad una sorta di “giustizia alternativa” posto che l’unico dato davvero comune può essere identificato nella finale soluzione della lite insorta.
Ed allora ci si potrebbe interrogare sulla proficuità dello strumento conciliativo rispetto alla deflazione del carico giudiziale, posto che è chiaro che soltanto la volontà delle parti, sia pur indirizzata dal conciliatore ed incentivata da un sistema legislativo di particolare favore che garantisce la economicità e la rapidità della stessa, è il vero punto di svolta del sistema. In questo quadro anche il rendere obbligatorio il tentativo di conciliare non potrà essere di per sé solo sufficiente ad instradare le parti verso un nuovo modo di concepire il conflitto e di affrontarne la possibile soluzione.
Come non potrà dunque istituirsi un rapporto diretto e immediato tra conciliazione e obbligatorietà del relativo tentativo e deflazione del contenzioso giudiziale, egualmente non si potrà costruire un sistema fondato sul presupposto che la conciliazione è destinata ad essere utilizzata tendenzialmente per le controversie di modesto valore. Si tratta di un assunto che nasce dalla circostanza che la conciliazione è stata solitamente impiegata negli ultimi anni quasi esclusivamente per risolvere le liti dei consumatori con i gestori della telefonia. La conciliazione quindi sarebbe naturalmente destinata a risolvere semplici questioni bagattellari che per loro natura si prestano ad un accordo e che invece intasano inutilmente il sistema giudiziario.
Ma se la conciliazione è sicuramente in grado di svolgere il suo ruolo in settori nei quali il valore della controversia è basso o è medio, ciò non deve condurre alla considerazione che non vi sia utilità nel proporre l’uso di questo metodo in questioni di ben altro rilievo, ed in particolare nelle liti tra imprese. Invero in queste situazioni la conciliazione è in grado di rispondere in maniera compiuta e diversa potendo allargare l’oggetto del dialogo sino ad immaginare la creazione di nuovi rapporti tra le parti originariamente in contesa.
É proprio in sede conciliativa che il superamento della rigida logica “torto-ragione” consente un approccio strategico al conflitto sino a pervenire al suo completo superamento con una soluzione del tutto diversa rispetto a quella che si potrebbe ottenere in sede giudiziale. Così in una controversia tra imprese anche l’impegno a garantire prezzi favorevoli sulle future forniture può costituire la contropartita dell’accordo che consente non solo di superare la questione controversa, ma di rinnovare ed ampliare l’originario rapporto rendendolo altresì più saldo e duraturo.
Ed ancora, è soprattutto là dove la lite ha un rilievo economico notevole e le parti coinvolte sono imprese che assume una importanza decisiva la riservatezza della procedura conciliativa e la sua estrema rapidità. Le relazioni commerciali esigono chiarezza nei rapporti e soluzioni tempestive. Affrontare strategicamente il conflitto significa quindi avere la capacità di incontrarsi in sede conciliativa (protetti da un sistema di riservatezza efficace) per affrontare e risolvere in tempi rapidissimi la lite insorta. Ciò si fonda ovviamente sul presupposto che entrambe le parti siano determinate strategicamente in questa direzione. Diversamente solo una giustizia che funzioni in maniera rapida ed efficace potrà consentire il successo della conciliazione a prescindere dalla obbligatorietà del tentativo stesso.
Non è quindi la conciliazione che potrà essere in grado di risolvere i problemi di una giustizia in crisi, ma costituirà sicuramente lo strumento utile a dare un nuovo impulso verso un nuovo modo di intendere la soluzione delle liti contribuendo, seppur indirettamente, e in maniera inizialmente marginale, a deflazionare i tribunali italiani. |