di Raffaella VENERANDO
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contro l’onda d’urto della crisi - STEFANO GATTI
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l’integrazione tra le economie
contro l’onda d’urto della crisi
Stefano Gatti
Professore Associato di economia
degli intermediari finanziari
Università Bocconi
La crisi dei mercati finanziari ha ormai pervaso anche l’economia reale. Secondo lei cosa bisogna aspettarsi nel breve e medio periodo?
Nel breve periodo, stando anche alle rilevazioni del Fondo Monetario Internazionale, non possiamo essere granché ottimisti. Si parla di crescita prossima allo zero anche nei paesi dell’area core dell’euro, Francia e Germania in testa. Bassa crescita vuol dire bassi investimenti e i bassi investimenti corrispondono - nel breve termine - ad una crescita più lenta, probabilmente ad una riduzione dell’occupazione in alcuni settori come quello manifatturiero e quello delle produzioni di base, e quindi sostanzialmente ad una stagnazione dei consumi peraltro già evidenziata dalla Banca d’Italia.
Chi sarà costretto a pagare le conseguenze più gravi?
Purtroppo le crisi non hanno un costo che si distribuisce uniformemente sulla popolazione. A farne le spese saranno senz’altro le fasce meno protette e quindi le famiglie a basso reddito, le famiglie monoreddito, le persone anziane con livelli di copertura pensionistica bassi perché è evidente che la crisi va a colpire in maniera selettiva. Non correrà molti rischi quindi chi vive una condizione migliore dal punto di vista reddituale e patrimoniale, mentre chi già versava in uno status economico disagiato pagherà lo scotto più consistente.
Possibile che gli intermediari finanziari non potessero prevedere in qualche modo la crisi?
Innanzitutto si tratta di capire con chiarezza di quale crisi stiamo parlando. Gli effetti che al momento si propagano sull’economia reale sono il risultato di una crisi che è nata all’interno del sistema finanziario, determinando un “credit crunch”, un razionamento del credito sia nell’attività bancaria sia nel prosciugarsi dei canali diretti di finanziamento. Alcuni sostengono che sì, era possibile prevederla. C’erano dei segnali che potevano far pensare ad una eccessiva euforia, o ad una scarsa prudenza dal punto di vista della gestione degli intermediari finanziari. Stimare però la proporzione e la dimensione esatta della crisi non era possibile.
È reale per la piccola e media impresa il rischio di un ulteriore credit crunch?
Buona parte dei banchieri afferma di essere già nella condizione di dovere selezionare in maniera molto più forte le realtà private e imprenditoriali cui dare credito, per cui la stretta creditizia è già in corso ed è verosimile pensare che nei prossimi mesi il credit crunch possa essere ancora più palese.
Il piano europeo per uscire dalla crisi va nella giusta direzione?
Se lei mi chiede se il piano dell’Eurogruppo può servire o meno, le rispondo di si. Era indispensabile. Su quanto invece possa essere efficace ho delle riserve. Un intervento congiunto era ed è opportuno e dà la misura di quanto l’unione monetaria stia diventando anche un’unione reale dal punto di vista dello sviluppo. Ma il momento che stiamo vivendo è di grande disillusione e di massima sfiducia nei confronti del sistema finanziario, per cui non è possibile dire ora se la strategia adottata per fronteggiare la crisi si rivelerà risolutiva, anche perchè una crisi di queste proporzioni ha come unico precedente il crollo dei mercati dell’economia reale dei lontani anni Trenta.
E proprio rispetto a quella del ‘29 la crisi cui stiamo assistendo come si pone? È più preoccupante?
Probabilmente quella attuale è di pari intensità se paragonata a quella del ’29, ma con un elemento di vantaggio rispetto al passato. Oggi le economie sono molto più integrate tra loro e proprio la globalizzazione dell’economia fa ben sperare perché la mancanza di isolamento tra le economie consente di reggere meglio l’onda d’urto di una crisi.
Si dovrebbero adottare contromisure aggiuntive rispetto a quanto si sta facendo a livello europeo?
Quello a livello europeo è l’unico vero, serio intervento che poteva essere fatto. Dopo aver pensato di intervenire sull’economia finanziaria, ora si stanno attivando anche misure sull’economia reale con dei piani di sostegno per le aziende in difficoltà. Andare oltre questo, significherebbe sostanzialmente nazionalizzare l’economia, cosa che sarebbe altrettanto nociva che lasciarla completamente in balia degli eventi di natura finanziaria e reale. |