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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2008
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Il rifiuto della prestazione lavorativa

la “mala gestio” nei servizi finanziari
e i contratti derivati


Il rifiuto della prestazione lavorativa


Se l’azienda agisce secondo criteri di trasparenza, correttezza e buona fede, il rischio per il dipendente è di perdere il lavoro

Il licenziamento è legittimo quando ingiustificatamente il lavoratore non accetta di eseguire compiti ritenuti inferiori a quelli fino ad allora svolti

Massimo Ambron
Avvocato
massimo.ambron@libero.it

La Corte di Cassazione in una recente importante sentenza è tornata a decidere su un istituto che è alla base della gestione del personale in azienda e che oggi, con le esigenze sempre più crescenti di flessibilità, mobilità ed efficienza, è ancor di più al centro del rapporto di lavoro.
Questa volta, però, la Suprema Corte con sentenza n. 19283 dell’11 marzo 2008 è stata chiamata a decidere sotto altro diverso profilo, vale a dire sulla legittimità di un provvedimento espulsivo, quale il licenziamento comminato ad un lavoratore che si era rifiutato di eseguire compiti che riteneva essere inferiori a quelli fino a quel momento svolti.
Nel caso di specie, la decisione assunta dal datore di lavoro di risolvere il rapporto con il dipendente, reo di rifiutare la prestazione ritenuta non conforme ed equivalente a quella in precedenza assegnatagli, è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione legittima e, confermato di conseguenza, il pur grave ed irreparabile provvedimento di licenziamento.
In breve questi i fatti: nell’ambito di un complesso processo di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, una Società assegnò ad un dipendente mansione diversa da quella per la quale era stato assunto e che aveva fino a quel momento svolto, sostenendo che tale mansione era equivalente alla prima. Al dipendente in questione veniva confermato sia il livello retributivo sia quello contrattuale. Questi, ritenendo che tale disposizione fosse a lui pregiudizievole e la mansione nuova dequalificante, invece di eseguire la prestazione, riservandosi eventuale azione sindacale e/o giudiziale, oppose netto rifiuto, anche reiterato, tanto che l’azienda fu costretta a licenziarlo.
Sia in primo sia in secondo grado, il ricorso fu rigettato. Anche il ricorso per Cassazione, qui commentato, proposto dallo stesso dipendente non è stato dalla Suprema Corte accolto, in quanto dall’esame degli atti è risultato ed accertato che: a) durante il processo era stato comprovato che l’assegnazione ad altra mansione era dovuta a motivi oggettivi connessi alla riorganizzazione aziendale; b) la nuova mansione, priva di disagi e difficoltà, non appariva penalizzante per il dipendente; c) il rifiuto reiterato del dipendente non era giustificabile in alcun modo, in quanto era aprioristico e la valutazione di tale presunta dequalificazione risultava soggettiva e non provata; d) risultava, poi, che la sproporzionata reazione del dipendente di rifiutare la prestazione portava conseguenze dannose all’azienda sia sul piano organizzativo sia su quello gestionale, in un momento peraltro molto delicato dell’azienda stessa.
Insomma, dalla valutazione complessiva del comportamento delle parti la Suprema Corte è giunta alle conclusioni che l’azienda aveva agito secondo criteri di correttezza e buona fede, mentre ha censurato il comportamento irresponsabile del dipendente.
Osservazioni. Il valore del lavoro è di tale vitale importanza che occorre averne il massimo rispetto, cura e impegno nel preservarlo, in particolare oggi che il mercato del lavoro è in serie difficoltà ed è oggettivamente difficile inserirsi.
Nel caso di specie, quel dipendente ha mostrato di non averne alcuna considerazione, arrivando al punto di rifiutare di svolgere una mansione che l’Azienda ove lavorava, nell’ambito del suo potere organizzativo e di libera iniziativa (v. art. 41 della Costituzione), aveva deciso. Quel dipendente ben poteva dare esecuzione alle disposizioni aziendali, riservandosi di avviare, qualora la nuova mansione gli arrecasse pregiudizio, un procedimento giudiziale anche per vie cautelari ed urgenti.
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