Il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia invoca più responsabilità
da parte di tutti per la crescita del paese
a cura della Redazione CostoZero
Anche se al centro dell’appuntamento di quest’anno dei Giovani Imprenditori a Capri - il 3 e 4 ottobre scorso - c’era il tema energia, in ogni intervento, tavola rotonda o dibattito tenuto nel corso della due giorni, un concetto è passato più di tutti, una priorità ha scalzato tutte le altre: che si tratti di energia o di decisioni e fatti di politica interna da più parti è stato invocato il principio di responsabilità come chiave di volta per orientare le azioni, come motivo guida per scelte consapevoli. In molti, politici, economisti e imprenditori, hanno denunciato quanto sia la mancanza di responsabilità ad ogni livello a compromettere il domani del nostro Paese, proprio a partire dalle scelte in tema di energia che, come ha affermato la stessa Federica Guidi, Presidente nazionale dei G.I. nella sua relazione introduttiva - è ormai diventato «un argomento di dominio pubblico che interessa e riguarda tutti».
Ad aprire i lavori della kermesse è stata - come tradizione - proprio il presidente dei Giovani Imprenditori, Federica Guidi, al suo primo “Capri”.
La Guidi, appunto con un notevole piglio responsabile, ha espresso forte la posizione del mondo confindustriale rispetto alle scelte da compiere in campo energetico: «L’Italia - queste le sue parole - deve tornare al nucleare, le imprese sono pronte a fare la loro parte ma il governo deve dialogare con l’opposizione per mettere le basi ad un accordo duraturo e accelerare perché dei 5 anni previsti per la posa della prima pietra, 5 mesi sono già trascorsi. Ormai i tempi sono maturi per ripensare la decisione presa avventatamente vent’anni fa. L’Italia può tornare al nucleare, ha le competenze per farlo, dispone delle necessarie forze finanziarie. Il ritorno al nucleare risponde a due esigenze, indipendenti, ma collegate. Il nucleare può dare infatti un contributo fondamentale sia alla buona riuscita delle politiche climatiche, non avendo emissioni di anidride carbonica, sia alla difesa della competitività delle imprese italiane penalizzate già oggi da un costo dell’energia superiore alla media europea».
Ma sull’isola azzurra non solo di energia si è discusso; c’è stato anche spazio per parlare di temi strettamente ancorati all’attualità di quei giorni, come il federalismo fiscale, piuttosto che la crisi economica che ha travolto i mercati finanziari di mezzo mondo, un tornado che ancora preoccupa per l’eccezionalità della sua portata.
Nella stessa giornata della Guidi, attorno a un tavolo, si sono confrontati sul “governo del territorio, tra sviluppo sostenibile e consenso sociale” il Sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, il primo cittadino di Firenze Leonardo Domenici, il Presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, quello della Regione Puglia Nichi Vendola e in collegamento il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Al centro del dibattito il governo del territorio, affrontato da più di un’angolazione grazie alle domande puntuali del giornalista Enrico Mentana.
Come era naturale tutti sono stati invitati a esprimere il loro parere sul federalismo fiscale, disegno di legge che proprio in quei giorni veniva approvato dal governo, di cui aveva a lungo parlato il Ministro dell’Interno Maroni qualche ora prima nel corso del suo intervento. Maroni aveva infatti spiegato all’uditorio che «il federalismo fiscale porterà a regime risparmi tra i 14 e i 16 miliardi di euro. La riforma ha oggettivamente un valore positivo, perché non si verificheranno più disastri nei conti della sanità e perché poi è capace di innescare un meccanismo virtuoso di concorrenza tra le regioni nell’attrarre investimenti come accade ad esempio in Svizzera. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che si basa su di un principio banale: il costo dei servizi in funzione di un costo standard e non di un costo storico. Questo significa maggiore efficienza e migliori servizi per i cittadini».
Per Vendola «ora si tratta di passare dalla filosofia all’aritmetica, definendo le cifre e riuscendo a capire se il federalismo è un attentato allo sviluppo del territorio in certe parti del Paese oppure un modo più equilibrato di intendere il rapporto tra territori».
Per Lombardo, altra voce del Sud, «la riforma federalista potrebbe mettere fine al divario tra nord e sud del paese causato dal centralismo eccessivo. Lavoreremo per un federalismo equo e solidale che rafforzi le autonomie speciali, presidio non di privilegi ma di storie, identità e potenzialità diverse. Un federalismo che assicuri una fiscalità di sviluppo e di coesione e che acceleri la ripresa del Sud».
Per De Luca, invece, «Il federalismo da solo non basta, se non si mette mano ad una vera rivoluzione che parta da una riforma radicale della pubblica amministrazione, vero punto di caduta del Paese e palude in cui quello che di buono possiamo fare si perde e confonde. Se poi ai danni provocati da una macchina burocratica inefficiente, aggiungiamo una normativa urbanistica vecchia e un potere giudiziario lento io credo che non faremo neanche un passo in avanti nonostante il federalismo. Il Paese ha bisogno, un bisogno urgente, di affermare il principio di responsabilità. Gli sbagli si pagano e a pagarli devono essere i responsabili. Noi sindaci siamo degli artigiani della politica, ma abbiamo tra le mani la possibilità di fare delle cose importanti per le nostre città. Possiamo restituire ai nostri cittadini una comunità ordinata e sicura, ma solo se riusciamo ad affermare un principio di autorità».
Anche la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, in un passaggio del suo discorso il sabato mattina, ha voluto soffermarsi sul federalismo fiscale. «Il federalismo fiscale - ha osservato la leader degli industriali - può essere l’occasione anche per ripensare la politica di rilancio del Mezzogiorno. E qui è fondamentale il ripristino delle condizioni di sicurezza e legalità per le quali ci siamo fortemente attivati in tutte le Regioni».
Ma più di tutto, come meglio si confà al suo ruolo, la Marcegaglia ha ribadito con forza cosa il mondo imprenditoriale tutto chiede al governo, alla politica. «Tutti abbiamo bisogno - ha rimarcato - di rimettere la crescita al primo posto tra i nostri obiettivi. Per questo dobbiamo affrontare con serietà la grande emergenza della crisi di produttività che da almeno dieci anni frena le possibilità di sviluppo della nostra economia». Crescita che - al di là della difficile situazione economica internazionale - non sarà di certo automatica, ma che dipenderà - come la stessa Marcegaglia ha in chiusura del suo intervento sottolineato - «dai comportamenti e dalle scelte che come Paese sapremo assumere. Mai come oggi occorre uno straordinario senso di responsabilità da parte di tutti».
A margine del convegno nazionale dei Giovani di Confindustria a Capri, il Presidente di Confindustria Salerno Agostino Gallozzi, il Presidente dei Giovani della Campania Mauro Maccauro e il Presidente dei G.I. di Confindustria Salerno hanno annunciato nuove iniziative per sollecitare il potenziamento delle infrastrutture e la tutela ambientale del territorio.
«Esiste - ha dichiarato il Presidente di Confindustria Salerno Agostino Gallozzi - un grave problema di funzionalità del territorio sotto il profilo della rete infrastrutturale ancora molto lontana dal facilitare i flussi di merci e di persone in entrata ed in uscita. Si configura, inoltre, un notevole ritardo dal punto di vista della valorizzazione e della tutela del patrimonio paesaggistico ed ambientale. La provincia di Salerno e l’intera regione Campania - ha sottolineato Gallozzi - hanno accumulato troppi ritardi. È necessario lavorare fin da subito ad un piano di manutenzione straordinaria del territorio sia in funzione del miglioramento del potenziale attrattivo di nuovi insediamenti produttivi che nella prospettiva di un rafforzamento dell’offerta turistica”. Nei prossimi giorni ha, poi, specificato Gallozzi, “Confindustria Salerno avvierà le necessarie consultazioni con Enti ed Istituzioni competenti per verificare quali azioni possono essere messe in campo, rendendo disponibile la propria tecnostruttura per un eventuale apporto operativo».
«La risorsa-ambiente - ha rimarcato il Presidente dei Giovani di Confindustria Campania Mauro Maccauro - costituisce uno dei riferimenti centrali per il Mezzogiorno e per la Campania. Da tempo gli imprenditori richiamano l’attenzione sull’esigenza di porre mano ad un grande piano di messa in sicurezza del territorio e di recupero ambientale di tante aree abbandonate al loro destino. Si tratta non solo di una scelta strategica per rendere più attrattivo il territorio dal punto di vista di potenziali insediamenti produttivi ovviamente compatibili, ma anche di un passaggio necessario per il rilancio dell’offerta turistica».
«La carenza di infrastrutture sul nostro territorio è una vera e propria emergenza, - ha sottolineato Marco Pontecorvo, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno - come pure la necessità di migliorare la qualità ambientale, che molto influisce sulla vita sociale e produttiva di quanti vivono e lavorano nell’area della provincia salernitana. Urgono investimenti robusti che garantiscano lo sviluppo economico e turistico e che siano capaci di avviare dinamiche positive da troppo tempo assenti». |
le tesi
il presidente dei giovani
imprenditori di confindustria campania mauro maccauro
«...Nel Sud la domanda di elettricità è in crescita più che nel resto del Paese. Abbiamo, quindi, un Mezzogiorno che chiede sempre più energia, che produce, che cresce ma che continua a essere considerato un cliente di serie B. Al Nord, infatti, il costo per megawattora è di 82 euro, mentre al Sud si sale a 92 euro e in Sicilia si arriva a 156.
Siamo pertanto costretti ad accontentarci di prodotti più costosi e di scarsa qualità. Per questo tra le misure strutturali assolutamente necessarie a far recuperare competitività a questa parte di Paese rientra l’esigenza di riattivare e sviluppare il ciclo degli investimenti nel settore dell’energia.
Concentrando e mettendo insieme in uno sforzo strategico risorse privare e pubbliche. Serve la volontà politica e la forza di incidere su una burocrazia asfissiante, che spesso blocca per mesi e in maniera ingiustificata anche il semplice allaccio alla rete elettrica.
L’Italia dipende dall’estero per circa il 90% del suo fabbisogno di energia primaria, con elevati costi di approviggionamento di materie prime. Il Sud in questo caso è allineato al resto del Paese pur essendo ricco di fonti energetiche, dal gas e dal petrolio alle risorse climatiche. Eppure, nonostante tale condizione sia cristallizzata da almeno un paio di decenni, gli investimenti in infrastrutture di produzione e distribuzione energetica segnano il passo. Nell’ultimo anno, secondo quanto attestato dal Ministero dello Sviluppo Economico, segna uno sconfortante zero assoluto il saldo della nuova potenza elettrica autorizzata per le centrali capaci di irrobustire lo scenario del mercato nazionale del kilowatt, quelle con potenza superiore ai 300 megawatt.
Molti progetti in campo, ma niente megawatt da aggiungere al mercato dell’elettricità, insomma.
Purtroppo non esistono scorciatoie: sempre secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, se per incanto domattina dovessero sbloccarsi tutti gli iter autorizzativi sospesi, intralciati o solo avviati, prima del 2011 non avremmo nuova potenza in più da immettere nella rete meridionale da nuove centrali. Abbiamo, dunque, davanti almeno tre anni di difficoltà: l’importante è che non diventino tredici o ventitré, in attesa di uscire dalle paludi della burocrazia...» |
approfondimenti
l’efficienza energetica
È la migliore fonte alternativa
Paolo Scaroni
Amministratore Delegato Eni
L’Italia è il Paese dove il gas regna sovrano. Nessuna altra nazione usa il gas tanto quanto noi. L’80% delle abitazioni è riscaldato a gas; 2 ospedali su 3 vanno a gas e così gli alberghi. Infatti, il 60% della produzione termoelettrica italiana è alimentata a gas. In Italia, quando premiamo un interruttore della luce, è come se aprissimo il rubinetto del gas. Anche nel settore industriale negli ultimi 25 anni, il consumo di gas è triplicato, a spese dell’olio combustibile e del carbone.
Questa di andare a gas è stata una scelta ardita. L’Europa consuma quasi il 20% del gas mondiale nonostante ne produca solo il 7% e abbia meno del 2% delle riserve mondiali di gas. Il risultato? Una massiccia dipendenza dalle importazioni extra-Ue - che rappresentano circa il 60% dei consumi. Importazioni che provengono per la stragrande maggioranza da Algeria, Norvegia e soprattutto dalla Russia. La nostra dipendenza dall’importazione extra-Unione Europea ha importanti implicazioni geopolitiche. Viene spontaneo chiedersi chi ha deciso di imboccare la strada del tutto gas. In parte la decisione è stata presa dall’Unione Europea, aderendo entusiasticamente - unica area al mondo - al Protocollo di Kyoto. Kyoto vuol dire in sintesi più gas e meno carbone.
Il risultato è che oggi in Europa ci troviamo in una situazione di sudditanza nei confronti dei grandi produttori di gas.
Se la situazione appare complessa oggi, guardando il nostro futuro a dieci o vent’anni la nostra dipendenza dalle importazioni di gas non potrà che aumentare.
Nel 2020 la domanda europea di gas sarà quindi 40% più alta di quella attuale. Il risultato sarà un raddoppio delle importazioni, dagli attuali 300 miliardi di metri cubi a 500-600 miliardi di metri cubi nel 2020. É quindi essenziale agire fin d’ora per mettere in pista contromisure adeguate. Dobbiamo innanzitutto sviluppare le fonti energetiche alternative al gas, come il nucleare e le rinnovabili.
Partiamo dalla “nuclear renaissance”. É vero, il nucleare ha grandi potenzialità, poiché fornisce energia sicura, abbondante e pulita. Ma se dobbiamo far fronte anche solo alla domanda incrementale di energia elettrica europea interamente da nucleare, dovremmo costruire 70 nuove centrali da qui al 2020. E vedendo le difficoltà che si incontrano per costruire anche una sola centrale, è evidente come l’impresa sia estremamente ardua.
Passando alle rinnovabili, una soluzione basata su queste forme di energia non è di certo dietro l’angolo. Pensate che tutte le rinnovabili messe assieme - solare, eolico, biomasse - coprono oggi solo il 5% dei fabbisogni europei di elettricità.
C’è in realtà una terza opzione: il carbone. Ma qui, noi europei ci siamo legati le mani, sulla scia del Protocollo di Kyoto, noncuranti del trade-off tra obiettivi ambientali e sicurezza energetica.
L’ambiente non è ancora una soluzione tecnologica che dominiamo.
C’è infine la soluzione di ridurre i nostri consumi complessivi di energia. L’efficienza energetica è la migliore fonte “alternativa” di cui disponiamo. Riduce immediatamente la domanda di energia, le importazioni, gli investimenti e le emissioni di anidride carbonica. É immediata, pulita e generalmente non costa niente. Anzi, si traduce in un vantaggio economico per il consumatore. |
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