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L'intervISTA -va Recuperata una maggiore centralizzazione nelle decisioni di spesa - DI Riccardo Realfonzo
va Recuperata una maggiore centralizzazione nelle decisioni di spesa
Riccardo Realfonzo
Direttore Dip.
di Analisi dei Sistemi Economici e Sociali, Università del Sannio
Professore, partiamo dal Paser. Cosa non la convince e cosa invece giudica in maniera positiva?
Giudico positivamente l’idea di articolare gli interventi a favore delle imprese distinguendo i settori trainanti da quelli in difficoltà e anche il tentativo di indirizzare i finanziamenti prevalentemente verso alcuni settori, operando scelte strategiche. Positiva è anche la semplificazione degli strumenti incentivanti. Ma i miei apprezzamenti si fermano qui. Ho infatti perplessità su diversi aspetti: la robustezza dell’analisi settoriale sulla quale poggia la selezione dei comparti da privilegiare; la dimensione dei finanziamenti disponibili, che restano ancora insufficienti e dispersi; gli aspetti relativi alla governance dell’intero processo oltre che alla coerenza dei bandi fin qui usciti con l’impianto iniziale del Piano.
Tempo fa lei ha dichiarato di essere favorevole a un ritorno al centralismo nella programmazione dei fondi Ue. È sempre dello stesso avviso e perchè?
Naturalmente il quadro politico è cambiato e numerose occasioni sono andate perse. Comunque l’esigenza di una maggiore centralizzazione nelle decisioni di spesa, in particolare per le politiche industriali, resta: i quindici anni della cosiddetta “nuova programmazione per il Mezzogiorno” hanno fatto registrare un vero disastro, non solo in Campania ma nell’intero Mezzogiorno. Dovrebbe ormai essere chiaro che quanti pensavano di risolvere i problemi del Mezzogiorno attraverso il decentramento delle politiche, l’esaltazione delle “vocazioni locali” e i meccanismi automatici della 488 hanno preso una cantonata gigantesca. Gli “incentivi a pioggia” hanno prodotto mostri peggiori rispetto alle “cattedrali nel deserto” degli anni dell’intervento straordinario. Bisognerebbe tornare a forme di coordinamento della spesa nel Mezzogiorno e andare verso una nuova stagione di intervento straordinario che, senza ripercorrere gli errori del passato, ci riporti a discutere seriamente di programmazione economica e pianificazione territoriale.
Di cosa secondo lei ha più urgenza la Campania per riaversi dai danni di immagine e non solo degli ultimi mesi?
La parabola discente di quest’ultima fase, scandalo dei rifiuti incluso, è il portato di politiche economiche e sociali che hanno clamorosamente mancato gli obiettivi attesi, verso i quali pure si era saputa generare una grande aspettativa. Essenzialmente, la spesa pubblica in Campania ha fallito per ragioni legate sia alla bassa quantità (la spesa pubblica pro capite è vistosamente inferiore alla media nazionale), sia alla scarsa qualità (la pressoché totale inefficacia della spesa cui facevo riferimento prima). Insomma anziché mettere in moto uno sviluppo autopropulsivo abbiamo assistito a politiche assistenzialistiche. Politiche che hanno fatto la fortuna di modesti intellettuali e di una classe di professionisti e piccoli imprenditori che vive nell’ombra delle elargizioni politiche. Per uscire davvero dal tunnel bisognerebbe rivolgere tutte le risorse sulle forze migliori e più vitali della nostra società: i veri imprenditori, la borghesia industriale, e il lavoro produttivo. Le politiche economiche dovrebbero puntare al rilancio produttivo della regione, soprattutto attraverso la crescita dimensionale delle imprese e il superamento del gap tecnologico rispetto al Centro-Nord. |