Le isole produttive campane prenderanno il largo?
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Senza innovazione si esce dal mercato
Massimo LO CICERO
Economista
Le manovre economiche del Governo tendenzialmente sembrano valorizzare i distretti industriali. Le nuove disposizioni della Finanziaria, infatti, prevedono la possibilità di riconoscere un contributo statale ai progetti regionali relativi ai distretti produttivi, pari al 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto. Secondo lei, meglio i progetti di Tremonti o quelli della coppia Padoa Schioppa-Bersani?
I due approcci sono molto simili e la cosa discende da un fatto oggettivo: sono pensati, entrambi, per sostenere la realtà dei distretti del nord est e dell'Italia centrale. Un sistema di imprese, integrate tra loro su base reciproca, che lavora come "fornitore" dell'industria europea e, segnatamente, della Germania. In pratica, con la possibilità di condividere reciprocamente debiti e crediti fiscali e quella di accedere, mediante una cartolarizzazione dei crediti vantati dalle banche verso le imprese del distretto, si crea un volano finanziario che alleggerisce la pesantezza di una gestione che soffriva del carattere stagnante della domanda, nel trapasso tra il vecchio ed il nuovo secolo (gli anni tra la fine dei novanta ed il 2006). La manovra, tuttavia, appare realizzata quando, ormai, la ripresa in Germania si è manifestata e queste imprese hanno nuovamente una domanda effettiva da servire. Il problema, dunque, è quello di dare a queste imprese non una soluzione finanziaria ma economica: restituire loro margini di profitto. In questo caso la risposta offerta equivale alla svalutazione ed è il cuneo fiscale. Una riduzione di costi posta a carico della finanza pubblica. Se le imprese useranno questo spread per finanziare la propria innovazione torneranno competitive, altrimenti, come sempre accade nelle svalutazioni della moneta nazionale, passata la prima fase di euforia esse, le imprese, resteranno comunque fuori mercato.
Il giudizio sui distretti è altalenante: un giorno esaltate a piattaforme miracolose dell'economia italiana, un altro ridotte a piccole molecole di sviluppo. Lei che potenzialità ritrova nei distretti italiani e in particolare in quelli campani?
I distretti sono una categoria analitica abusata nella letteratura economica italiana. Essi sono stati presentati come la chiave di volta della competizione per l'industria nazionale e non è sempre vero. É stato vero quando, come negli anni ottanta, la nostra industria lavorava al traino di quella europea in un mondo poco globale: cioè scarsamente integrato sul piano economico e finanziario. E con una marcata concentrazione della produzione e del mercato sulle due sponde dell'atlantico. Il tutto prima della rivoluzione dell'ICT: la straordinaria rivoluzione nata dalla combinazione tra personal computer, telefono e trasmissione via etere della comunicazione telefonica e della informazione decomposta in bit. Nel mondo contemporaneo l'integrazione propone nuovi player, come la Cina e l'India od il Far East, e la connettività, a distanza, offre margini più alti della contiguità territoriale praticata nei distretti. A queste fragilità di ordine sistemico l'Italia meridionale ne aggiunge una di ordine sociale e storico. Ma nel Sud esiste una dimensione preborghese dell'individualismo: fatta di artigianato, estro artistico e capacità commerciale, piuttosto che produttiva. L'insieme di queste tre circostanze, e l'assenza di lealtà e reciprocità nelle relazioni interindividuali, oltre ad una certa idiosincrasia per la regolarità routinaria delle organizzazioni, impedisce la formazione di distretti come organismi prodotti spontaneamente dai liberi comportamenti imprenditoriali. I distretti in Campania sono macchine burocratiche e, come tutte le organizzazioni burocratiche, in un contesto che presenta idiosincrasia verso l'organizzazione, non funzionano!
Più in generale la manovra economica del Governo per il 2007 che impatto avrà sul Mezzogiorno?
Non molto espansivo per tre motivi. L'incremento della pressione fiscale avrà un effetto oggettivamente deflattivo. Come la spinta alla riduzione del sommerso e della elusione fiscale. Non che non andasse riportata la normalità ma il trauma potrebbe essere troppo concentrato nel tempo. La riconversione della spesa pubblica presenterà problemi. Si pensi al fatto di non avere copertura subito per l'alta capacità ferroviaria tra Napoli e Bari. La pressione fiscale, insomma, comprimerà la spesa privata e la domanda pubblica arriverà con un certo ritardo. Infine, ma per il Sud, sarà un vero guaio, aver trasformato radicalmente l'impianto organizzativo per la gestione dei fondi europei, separando il DPS dal Tesoro e frantumandone le funzioni tra CIPE (Presidenza del Consiglio), Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del commercio estero e Regioni comporterà l'esigenza di un rodaggio delle nuove procedure. Con ulteriori rallentamenti nella spesa. Buona l'idea delle aree metropolitane, invece, che semplifica la vita nelle grandi città sopprimendo le province. Forse bisognerebbe studiare una forma federativa tra le regioni meridionali che, per le dimensioni del problema meridionale, sono troppe e troppo piccole, ciascuna di esse, rispetto alla regia necessaria per la creazione di una rete di infrastrutture grande quanto l'intero Mezzogiorno. |