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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO 2007
 


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L’azienda calcio
tra sport e business

Antonio OPROMOLLA
Componente Consiglio Ordine dei Commercialisti di Salerno
aopromolla@tin.it

In caso di mancato fallimento della società l’attribuzione a titolo originario della partecipazione al campionato a terzi è illecita

Il Lodo Petrucci non ha alcun fondamento giuridico nè nell’ordinamento statale nè in quello sportivo

Le vicende "estive" che hanno riguardato società calcistiche e Federazione rientrano in un ambito più ampio di crisi di identità di una certa parte del mondo dello sport professionistico e del football in particolare.
La situazione complessiva esige interventi normativi meditati che introducano forme preventive ed efficienti di regolamentazione e controllo per impedire problematiche con effetti sistemici e che oggi coinvolgono anche società quotate con pregiudizio dei risparmiatori e degli investitori.
Fatta questa premessa, analizziamo alcune questioni interpretative concernenti la compatibilità tra istituti di diritto comune e regolamenti sportivi.
Tale analisi parte dall'affermazione del primato di norme imperative dettate dal codice civile e dalla legge fallimentare a tutela dei diritti soggettivi in genere su esigenze ed interessi particolari di sub-ordinamenti convenzionali funzionali ai propri tesserati.
Occorre chiedersi se l'ordinamento giuridico può consentire che il valore aziendale del titolo sportivo possa essere sottratto al patrimonio aziendale in virtù di disposizioni regolamentari interne di un sub-ordinamento convenzionale o se viceversa l'unitarietà dell'azienda e dei suoi elementi essen-ziali sia giuridicamente tutelato. L'azienda è qualificabile come una pluralità di beni unificati dalla unitaria destinazione produttiva, ed in quanto tale, oggetto di rapporti di diritto pubblico e privato. La particolarissima unitarietà funzionale all'esercizio dell'attività economica impressa al coacervo di beni dall'imprenditore, mediante un'attività di coordinamento, rende meritevole l'azienda in diverse sedi, come individualità oggettiva, di una tutela espressa da parte del legislatore.
Tale tutela è molto evidente nelle norme che regolano proprio l'usufrutto e l'affitto dell'azienda e che impongono all'usufruttuario ed all'affittuario l'obbligo di gestirla «senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte» (art. 2561, comma 2).
La stessa ratio ha ispirato le Noif laddove si mira alla conservazione unitaria di tutte le componenti dell'azienda sportiva.
Quel che è certo è che l'azienda per divenire, rimanere o ritornare tale, anche nel corso di una procedura concorsuale, ha bisogno di un'impresa di riferimento cui essere funzionale. Insomma l'ordinamento giuridico assegna all'azienda un ruolo strumentale rispetto all'imprenditore e perciò diviene decisiva la destinazione ad impresa del complesso secondo il collaudato schema dell'atto di destinazione. L'azienda è presa in considerazione dalla legge proprio in vista della sua circolazione, volontaria o coattiva che sia.
Occorre a seconda della specifica ipotesi, verificare quali beni e rapporti, in quella determinata circostanza siano oggettivamente imprescindibili dalla struttura di un complesso organizzato affinché rimanga funzionale all'esercizio di quella impresa.
Esistono «dei collegamenti di beni, i quali, per la loro destinazione, e soprattutto per la loro organizzazione in vista della destinazione, diventano, in misura e in maniera molto varie, termini indipendenti di rapporti giuridici».
Nel caso delle imprese sportive è impossibile parlare di trasferimento dell'azienda se si sottrae alla stessa il diritto al riconoscimento del titolo sportivo.
Il titolo è qualcosa di diverso rispetto all'affiliazione alla Federazione della società che lo possiede e sopravvive anche alla eventuale revoca di questa, dato che, come afferma l'art. 52, delle Noif, « il titolo di una società a cui venga revocata l'affiliazione può essere attribuito ad altra società con delibera del Presidente della FIGC» .
Ciò dimostra una sopravvivenza del titolo alla società cui è stata revocata affiliazione, nonché una autonomia delle due fattispecie visto che l'affiliazione si disperde in seguito al fallimento di una delibera laddove il titolo - non l'affiliazione - è attribuito ad "altra società".
L'art. 16 delle NOIF prevede che il Presidente della F.I.G.C. deliberi la revoca della affiliazione della società, al c. 5, ad avvenuta messa in liquidazione della stessa da parte del Tribunale; al c. 6 in caso di dichiarazione di fallimento; infine al c.7, in caso di liquidazione della società a norma del c.c.. Accertato che il nostro legislatore ha ritenuto l'azienda meritevole di una specifica tutela, resta da verificare se questo interesse giuridicamente rilevante può essere sacrificato da esigenze peculiari di sub-ordinamenti convenzionali e da N.O.I.F. che consentono di attribuire ad altre imprese il fondamentale valore aziendale del titolo gratuitamente, ovvero garantendo il pagamento dei solo i creditori tesserati iscritti alla Federazione (art. 52, c. 6, delle NOIF c.d. Lodo Petrucci)
Vero è che a norma del c. 2, dell'art. 52 delle NOIF, «in nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione», tuttavia ciò va interpretato nel senso che il titolo non può circolare autonomamente dal complesso dell'azienda calcistica, esattamente come accade per la ditta che a norma dell'art. 2565, c.c., non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
A questo punto appare evidente che il Lodo Petrucci, ovvero l'attribuzione del titolo sportivo ad una società che non ha acquistato l'azienda sportiva dalla società esclusa non ha alcun fonda-mento giuridico, né nell'ordinamento statale né in quello sportivo.
Non si vede perché in caso di fallimento della società esclusa sia necessario l'acquisto dell'azienda della società fallita ai fini dell'attribuzione del titolo ed invece nel caso di mancato fallimento sia legittima l'attribuzione a titolo originario della partecipazione al campionato a terzi.
Tale condotta infatti non solo è illogica ma illecita in base ai principi costituzionali e civili.

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