Quali le regole e i limiti di edificazione per
i comuni senza piano?
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licenziamento disciplinare
Quali le regole e i limiti di edificazione per
i comuni senza piano?
Luigi D’ANGIOLELLA
Avvocato
studiodangiolella@tin.it
Contrasti giurisprudenziali e riflessioni sui permessi
di costruire nelle cosiddette “zone bianche”
L’edificazione a scopo
produttivo deve rispecchiare canoni diversi rispetto a
quella ad uso residenziale
Il legislatore regionale vuole ridurre l’impatto degli impianti
produttivi
nei Comuni
sprovvisti di piano
Uno dei problemi più sentiti, specialmente in Campania, che ha il triste record di Comuni che si trovano in queste condizioni, è il regime urbanistico dei territori ove non vi è un piano regolatore efficace. La normativa (L. 10/77 e L.R. 14/82) consentiva una certa edificabilità all'esterno dei centri abitati per i cosiddetti impianti produttivi, da realizzarsi con il rispetto del (solo) limite di copertura, pari dapprima ad un'ottavo della superficie disponibile e poi ad un sedicesimo, con una significativa riduzione operata da ultimo dalla L.R.15/05.
Senonchè, l'attuale art. 9 del T.U. sull'Edilizia (D.Lgs. 380/01) ha disciplinato il regime di tali suoli, con una dizione, però, leggermente diversa dalla precedente Legge 10/77, operando la riunione nell'unica lettera b) dei limiti di edificazione previsti al di fuori dei centri abitati per gli interventi di qualsiasi genere e per quelli aventi specifica destinazione produttiva.
L'ambigua formulazione ha determinato un'oscillazione giurisprudenziale, con alcune sentenze che hanno sostenuto la tesi dell'applicazione congiunta dei limiti propri delle residenze, 0,03 mc. a mq., e degli impianti produttivi, un sedicesimo di superficie coperta (cfr. T.A.R. Campania-Napoli, sez. IV, sent. n. 2314/04 e da ultimo, Consiglio di Stato n. 3658/06), ed altre che hanno sostenuto la tesi dell'applicazione, per i complessi produttivi, soltanto del limite di copertura di un sedicesimo dell'area di proprietà (cfr. T.A.R. Campania-Napoli, sent. n. 19598/04, n. 19604/06 e n. 19431/06).
A giudizio di chi scrive, è condivisibile il ragionamento sviluppato da ultimo dal T.A.R. Campania (sentenze, II sez., n. 19604/06 e n. 19431/06) per sostenere la tesi dell'applicazione, più favorevole per i complessi produttivi, del solo limite di superficie coperta.
La netta distinzione tra edilizia residenziale ed edilizia "produttiva", risponde, innanzitutto, a criteri di ragionevolezza. Ciò perché l'edificazione a scopo produttivo rispecchia canoni diversi rispetto a quella ad uso residenziale, soprattutto in relazione alla necessità di dover disporre generalmente di una cubatura più ampia.
Afferma il T.A.R. Campania, nelle richiamate sentenze, che fissare un limite di volumetria, per gli edifici produttivi realizzabili al di fuori del perimetro urbano, di 0,03 mc. a mq di superficie disponibile, rappresenterebbe un vincolo davvero eccessivo per il normale svolgimento di una qualsiasi attività produttiva ed una conclusione di questo tipo sarebbe irrazionale.
Se i due predetti limiti, per ciò che concerne gli interventi produttivi, fossero davvero da applicare congiuntamente, potrebbero essere realizzati esclusivamente (nella ragionevole ipotesi che si voglia sfruttare tutta la superficie coperta, consentita dal rispetto del rapporto di un sedicesimo dell'area di proprietà) dei manufatti d'altezza irrisoria, forse neanche in regola con le norme sull'abitabilità.
É evidente che una siffatta conclusione condurrebbe a risultati tali da non consentire alcuna proficua utilizzazione dell'immobile.
Tale impostazione, però, è stata contrastata dal Consiglio di Stato, sez. IV che, con la sentenza n. 3658/06, sembrerebbe aver ribaltato le conclusioni cui è giunto il T.A.R. Campania, interpretando diversamente il dato letterale della norma, a prescindere da qualsiasi criterio interpretativo di tipo logico-sistematico.
Nella premessa riferita al caso concreto sottoposto al suo esame, il Consesso di Palazzo Spada analizza, però, solo il T.U. 380/01, richiamando le disposizioni regionali anteriori, ma non quelle successive al T.U. del 2001. É, dunque, importante, per trarre le giuste conclusioni, sottolineare che la nuova legge regionale sull'Urbanistica, la n. 16 del 2004, ha nuovamente applicato la tripartizione precedente, eliminando sia l'avverbio "comunque" che il legame grafico del "punto e virgola" tra le due ultime ipotesi, come invece si legge all'art. 9 T.U. Edilizia, ed ha nuovamente distinto chiaramente gli edifici residenziali ed i complessi produttivi. É significativo, poi, a mio parere, un altro dato. Come si è detto in precedenza, la normativa regionale prevedeva, quale limite di copertura, dapprima un ottavo (L.R. 17/82), limite poi ridottosi ad un dodicesimo (L.R.16/04) e poi ad un sedicesimo (L.R. 15/05).
É chiaro l'intento del legislatore regionale di ridurre l'impatto di tali impianti produttivi nei Comuni sprovvisti di piano.
Ma tale intento sarebbe stato inutile se fosse stato considerato il limite di cubatura di 0,03 mc. a mq.
Ed infatti, pur cambiando l'indice di copertura, il limite di cubatura sarebbe rimasto e non avrebbe avuto alcun senso ridurre il limite di copertura da un ottavo ad un sedicesimo se tale limite doveva esser applicato congiuntamente al limite di cubatura di 0,03 mc. a mq.
La ratio di tale modifica legislativa, quindi, deve essere ricercata proprio nella mancanza di un limite di cubatura.
La materia rimane opinabile e vi saranno sicuramente altri contenziosi, anche se, come detto, appare più corretta, per i complessi produttivi nei Comuni ancora sprovvisti di piani urbanistici, l'applicazione del solo limite di copertura pari ad un sedicesimo dell'area di proprietà.
Ciò detto, è auspicabile un intervento legislativo, a livello regionale, che metta la parola fine a tale situazione. Non può, però, tutto caricarsi sul legislatore: basterebbe che i Comuni si dotassero di Piani validi ed efficaci per evitare tali complesse (e spesso irritanti) disquisizioni.
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