Il pacchetto-Bersani
“spinge” l’Italia
ma politica e malaburocrazia resistono
Andrea PRETE
Presidente
Confindustria Salerno
Il Ministro per lo Sviluppo Economico
ha il merito di avere riportato al centro
dell’attenzione
l’industria
Se ancora qualcuno non se ne fosse accorto, in Europa soffia il vento della ripresa.
La locomotiva tedesca sta trainando l'Italia che, però, non fa altro che andare "a rimorchio", senza comprendere che non basta agganciarsi ad un treno che prima o poi si scrollerà di dosso i vagoni che costano troppo, per puntare su altre soluzioni più competitive. É il paradosso, questo, di un Paese che è in crisi di produttività e di competitività; di innovazione tecnologica e di capacità attrattiva in termini di capitali; ma resta - comunque - "aggrappato" alla metà del mondo che va avanti.
É il paradosso, cioè, di un'Italia che nelle medie e piccole imprese ha trovato la forza di ristrutturarsi, di vincere la sfida della globalizzazione, ma che si scontra con una politica schiava di una visione immobilizzante ed autoreferenziale; a tutela di interessi propri per sopravvivere in un quotidiano fatto di ultrasessantenni al potere con nessuna voglia di abbandonare poltrone e ricchi compensi. Nelle altre parti del mondo le leadership politiche e governative sono costruite intorno a quaranta-cinquantenni; qui da noi è dal '96 che si fronteggiano le stesse personalità. E il nuovo che, tra mille difficoltà avanza, ha superato la cinquantina.
La classe dirigente è un tema adatto per convegni - di cui siamo grandi specialisti in termini di produzione e di varie tipologie di format inconcludenti - e riflessioni sociologiche a buon mercato, ma la selezione e la meritocrazia abitano soprattutto negli editoriali dei giornali blasonati.
Non bastano più, ormai, neanche "strappi" autorevoli e confessioni a cuore aperto sui giornali per scalfire la solida ed imperturbabile routine delle tre o quattro intelligenze che dominano la politica italiana. Per non parlare delle condizioni della Campania, avvolta in una ormai distaccata apatia civile frutto di un "Rinascimento" che non c'è mai stato e che ha prodotto, per la verità, cumuli di immondizia e una sanità indegna di un Paese minimamente avanzato.
Eppure la "scossa" o, quantomeno, l'idea di come potrebbe essere attivata, è stata messa bene a fuoco dal ministro Pierluigi Bersani che - al di là delle liberalizzazioni, sacrosante e non più rinviabili in un Paese che si confronta con il Mercato vero e non schiavo delle rendite di posizione (accordate dalla politica) - finalmente riporta al centro dell'attenzione l'industria.
Sì, l'industria, la produzione vera e propria che è alla base di qualsivoglia circuito virtuoso di un Paese che non vuole diventare mero "consumatore" di beni altrui, ma - al contrario - "conquistatore" del mercato interno ed estero.
Bersani ha il merito di avere rimesso in campo la politica economica prendendo atto che la "crisi di competitività riguarda in particolare il settore industriale", puntando l'indice contro la rigidità delle specializzazioni settoriali e l'eccessiva frammentazione dimensionale delle aziende. Due fattori che si incrociano negativamente con una dotazione infrastrutturale del tutto inadeguata, con gli elevati costi energetici e con un eccesso di regolamentazione pubblica.
Da qui Bersani prende lo spunto per immaginare un modello di sviluppo centrato su un sistema industriale in grado di valorizzare i settori ad alta tecnologia, accompagnando le imprese nei processi di internazionalizzazione su scala europea o mondiale.
Si tratta, quindi, del tentativo di riposizionare strategicamente le imprese che operano nel made in Italy, aiutandole a mettersi in rete. Ed è apprezzabile l'idea di rivedere la politica degli incentivi alle aziende, privilegiando meccanismi automatici (Fondo per la Competitività) e sostenendo l'accesso al credito (Fondo per la Finanza d'impresa).
Insomma, la diagnosi e la cura individuate sono chiare e coerenti.
Che cosa manca? Manca la credibilità della politica e della Pubblica Amministrazione: non si ravvisa in giro, cioè, la capacità di motivare in maniera fiduciaria l'interlocutore.
Troppi impegni non mantenuti e troppi cattivi esempi provenienti dalla politica e dalla malaburocrazia.
Il male dell'Italia che viviamo è principalmente questo: il disincanto ed il disimpegno delle comunità tradite in maniera eccessiva ed arrogante.
E forse ha fatto bene il ministro Bersani a pensare al 2015. Può darsi che in quella data avremo saputo ricostruire - tutti insieme, ciascuno per la propria responsabilità - il senso comune dell'appartenenza a questo splendido Paese nel quale fortunatamente viviamo. |