La Finanza Locale
in Italia-Rapporto 2006
Francesco Saverio COPPOLA
Direttore Associazione SRM
segreteria@srmezzogiorno.it
Il volume è stato realizzato da ISAE, SRM, IRPET, IRES con il contributo della Compagnia di San Paolo di Torino
Le Autonomie locali faticano ancora a causa dei tagli alle risorse loro trasferite
Una serie infinita
di vincoli
all’attività degli enti locali
dimostra
che il vecchio
centralismo è duro da debellare
L'uscita della seconda edizione del Rapporto (editore Franco Angeli), realizzata grazie ad un rilevante sforzo di tipo statistico per mettere a regime con tempestività un data-base completo dei dati della finanza locale per il 2005, conferma il diffuso interesse del mondo della ricerca per i temi del decentramento e del federalismo fiscale in Italia. Questo Rapporto coglie però il mondo delle Autonomie in un momento di difficoltà, ben sintetizzato dalle cifre che sono contenute nelle pagine del lavoro. Per Comuni e Province il 2005 è stato una sorta di lungo inverno, che si è protratto nel 2006, fatto di restrizioni alla autonomia operativa, di vincoli all'entrata, di tagli alle risorse trasferite e, conseguentemente, di spese correnti e di investimenti in flessione. Gli elementi al contorno, d'altra parte, sono tutti negativi: la necessità di contenimento del deficit pubblico interagisce, infatti, con una lunga fase di ristagno economico che ha effetto anche sui bilanci delle Autonomie, sebbene esistano ancora legami piuttosto deboli fra andamento del ciclo e gettito delle imposte locali. Purtroppo la congiuntura economica, se costituisce un "messaggio" chiaro nei confronti della collettività che è indotta ad atteggiamenti più prudenti nell'impiego del reddito disponibile e quindi nei consumi privati, provoca effetti di segno opposto nei confronti dei consumi collettivi. La domanda per i servizi pubblici - e la maggior parte di essi è di competenza del governo locale - sembra avere una relazione inversa con la dinamica del sistema economico, tanto che la pressione nei confronti del settore pubblico da parte delle famiglie, ma anche delle imprese, è particolarmente alta proprio nei momenti di maggiore difficoltà. Ma i problemi di breve periodo non si fermano qui, considerato che - oltre che fronteggiare una domanda di servizi indotta dalla crisi economica - gli enti locali continuano a subire gli effetti di un processo di decentramento strisciante avviato dalla Bassanini i cui effetti sui costi continuano a manifestarsi, nonostante i Patti di Stabilità, senza che se ne sia tenuto adeguatamente conto. Se le difficoltà che vivono le autonomie locali fossero comunque solo di questo tipo si potrebbe ritenere che, una volta avviata una ripresa economica sufficientemente robusta e identificati i compiti amministrativi realmente esercitati e accertati i relativi costi, si potrebbe procedere ad una definizione degli strumenti finanziari coerenti con le competenze e con lo spirito del vigente Titolo V della Costituzione. C'è invece un ulteriore elemento che completa lo scenario e che appartiene alle prospettive di lungo periodo: sullo sfondo di una situazione non facile sembrano, infatti, emergere segnali -ancora frammentari ma concordanti nel segno - di una minore convinzione generalizzata sulla opportunità di procedere verso una maggior devoluzione dei poteri nel sistema pubblico italiano.
Sembra in sostanza che, dopo il decennio del decentramento amministrativo e costituzionale che ci lasciamo alle spalle, l'attuazione del dettato costituzionale sia vissuta più come un problema che come una opportunità. La stessa pratica di prevedere nelle Leggi finanziarie (da parte dei governi di tutte le parti politiche) una serie infinita di vincoli all'attività degli enti locali, in chiara violazione dei loro margini istituzionali di autonomia, sembra dimostrare che il vecchio centralismo è duro da debellare. Se ai pregiudizi e alla tradizionale ritrosia a cedere potere da parte dell'Amministrazione centrale si aggiungono i problemi reali di procedere verso un ulteriore decentramento dei poteri, specie in un Paese fortemente dualistico, molte delle difficoltà di uscire dall'attuale impasse trovano più chiara spiegazione.
L'Italia delle autonomie, infatti, è molto differenziata e nel governo locale, accanto ad esempi di alti livelli di efficienza e di efficacia garantiti da amministratori illuminati e funzionari di notevole capacità, si segnalano casi di allarmante inefficienza di fronte ai quali anche la burocratica Amministrazione centrale non sfigura.
Oggi, in sostanza, le Autonomie locali sembrano di fronte ad un bivio che separa due percorsi molto diversi: da un lato verso il riconoscimento della completa autorevolezza istituzionale prevista dall'attuale Costituzione, dall'altro invece verso un ritorno alla storica sudditanza da quello o quell'altro Ministero con cui si contrattano annualmente trasferimenti, vincoli all'organico, margini di autonomia fiscale. La probabilità di imboccare la via autonomistica dipende da due condizioni: da un lato il superamento dei dualismi all'interno del governo locale, fra le aree di efficienza e quelle di inefficienza, a meno che non si pensi ad un federalismo a "due velocità". Dall'altro dal superamento di alcune sfide o dalla soluzione di alcuni problemi che ormai sono ineludibili, e da cui dipende la credibilità della scommessa del decentramento. Queste sfide e questi problemi riguardano in primo luogo la modernizzazione e l'innovazione e poi, a seguire, la definizione di un sistema di trasferimenti intergovernativi adeguati alle esigenze e coerenti con l'assetto generale, l'assunzione piena della funzione fiscale, con i suoi costi e le sue opportunità, il consolidamento della funzione di investimento e, infine, la precisazione di un ruolo per le Province che non rinvii ulteriormente la nascita delle città metropolitane.
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