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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO 2007
 


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La competitività
va oltre le risorse


di Raffaella VENERANDO

Per recuperare il gap competitivo in Campania è necessario
uno scatto di reni e un sussulto etico da parte della classe dirigente

Quali sono le principali cause, e di chi, del ritardo di competitività della nostra regione?
Stare dietro alle variazioni percentuali di Pil prodotto in Campania nell'ultimo anno, rispetto ai precedenti, credo sia inutile. Sono differenze che dicono poco, perché il vero confronto va fatto con riferimenti di maggiore entità. Ad esempio, se consideriamo la distanza del Mezzogiorno - e in particolare della Campania - dal Nord, dobbiamo ammettere che sostanzialmente negli ultimi venti anni le condizioni non sono affatto migliorate. Il dato vero è che la Campania continua ad arrancare. Se questo è il parametro su cui ragionare, l'unica conclusione possibile è che, nonostante le leggi speciali, quelle straordinarie, nonostante la Cassa per il Mezzogiorno o il regionalismo vecchio e nuovo, malgrado la contrattazione negoziata e l'elezione diretta dei sindaci, come eravamo lontani ieri da Milano, Torino o dal Veneto, lo siamo oggi. È evidente allora che il problema non risiede di certo nella specifica contromisura o nel singolo strumento da utilizzare per ridurre questo scarto, ma nel "chi" è preposto ad adottarli. Fatte piccole eccezioni e per periodi limitati, la selezione della classe dirigente è il vero nodo da sciogliere, pena un destino per la Campania irrimediabilmente segnato in negativo. Non potrà mai esserci uno strumento migliore dell'altro se a gestirlo sono improvvidi, o “volenterosi” che però, nei fatti, si dimostrano non all'altezza del loro ruolo.

Secondo lei, allora, quali sono le caratteristiche imprescindibili di una classe dirigente di buon livello?
Innanzitutto, la nostra classe dirigente dovrebbe occuparsi in modo preponderante dei grandi scenari, senza mai entrare nei particolari. Una buona classe dirigente al Sud dovrebbe "chiedere allo Stato di fare lo Stato", reprimendo il crimine e garantendo l'efficienza del sistema giudiziario. Personalmente, anziché chiedere legge e ordine, ho sempre sentito domandare soldi. Nel Mezzogiorno la classe dirigente, in modo trasversale all'orientamento politico, ha purtroppo questa forma mentis statalista e senza un'idea neoliberale del rapporto tra il centro e la periferia non si fanno molti passi in avanti.

Quale crede sarà l'impatto della manovra economica del Governo sull'economia campana?
La manovra finanziaria per il 2007 non è di certo l'uovo di Colombo, tanto più che i provvedimenti spinti - vedi le liberalizzazioni - sono stati rinviati. Non vanno sollevate barricate dal punto di vista delle risorse perché alcune misure, tipo il cuneo fiscale, potranno essere senz'altro d'aiuto. Ma proprio perché gli ultimi dati contingenti fanno prevedere una disponibilità nell'immediato futuro di risorse superiori a quelle preventivate, era opportuno continuare lungo una linea di rigore e di risanamento. Così non si sta però procedendo e ne è dimostrazione l'aver accantonato il provvedimento sulle pensioni. A mio avviso tali scelte sono indicative di un governo che vuole vivacchiare, ma che le grandi riforme proprio non vuole farle.

 Con il pacchetto dei 100 miliardi messi a disposizione dal Governo Prodi per il Sud, l'economia della nostra regione riuscirà ad uscire dalla crisi?
Non credo sia una questione solo di fondi, quanto piuttosto di far funzionare e bene quello che già esiste. Penso ad esempio alla burocrazia, troppo lenta e poco efficiente. È infatti l'ordinaria amministrazione a preoccupare di più. Nel nostro territorio possono esserci tutte le risorse di questo mondo, ma se non si risolvono le emergenze nulla può cambiare e qualsiasi sforzo si rivelerà un buco nell'acqua. Solo con gli incentivi non si risolve il problema della mancanza di attrattività del nostro territorio.

Allora lei non crede che queste nuove risorse potranno avere un impatto positivo? Perché, mancano le potenzialità o cosa?
Il problema non è nelle potenzialità della nostra regione. Su queste non si discute. Il nodo vero è il deficit di amministrazione che producendo distorsioni reca danni alle imprese, si ripercuote pesantemente sullo sviluppo e, di rimando, sulla qualità della vita dei cittadini. Sanità, rifiuti e sicurezza ambientale sono parametri molto importanti anche per chi sceglie di fare impresa in Campania. Il Governo cade in errore se crede di far uscire il Sud dalla crisi stanziando 100 miliardi senza mettere mano ai problemi che qui hanno un carattere strutturale. Ma non è tutta colpa delle istituzioni. Se ad esempio secondo il Censis la distanza tra lo sviluppo del nord e quello del Mezzogiorno d'Italia è "insanabile", la colpa va in parte addebitata a quegli imprenditori che hanno usufruito in modo inappropriato e inefficace ai tanti fondi messi loro a disposizione dallo Stato. La radice del problema risiede infatti in un rapporto sbagliato tra mondo delle imprese e istituzioni. Infatti sia la permanenza nell'Obiettivo 1, sia gli alti - anzi altissimi - tassi di disoccupazione sia il basso pil pro capite sono indici di una sola verità: abbiamo fallito tutti nell'attuazione dei fondi 2000/2006. Senza far luce su quegli errori non è possibile programmare in modo costruttivo l'investimento previsto dai fondi 2007/2013 e tanto meno sperare in risultati incoraggianti. È tempo di sapere con certezza quali sono le risorse a disposizione e per quali specifici interventi saranno utilizzate.

 Risorse e problemi in Campania. L'ago della bilancia da quale parte pende?
Per noi imprenditori l'ago della bilancia deve pendere assolutamente verso le risorse, intendendo non solo quelle finanziarie ma anche quelle umane. Guardare e investire sulle risorse, questa deve essere la strada. Da un punto di vista di approccio, anche metodologico, gli imprenditori sono per natura e mestiere abituati a risolvere i problemi. Hanno quindi chiaro qual è il quadro delle difficoltà socio-economiche, ma anche politiche, del contesto in cui operano. E per risolverle fanno leva sul proprio background culturale e su di una buona dose di ottimismo, riuscendo quindi a non arenarsi su ciò che non va ma a insistere sulle prospettive positive. C'è da dire però che, complessivamente, nel nostro territorio, forse anche a causa di dannosi retaggi culturali, siamo - come dire - abituati a subire i poteri forti e con essi le mancate "svolte". A questa mediocrità diffusa di chi vive alla giornata e guarda solo al bel clima, come se da solo bastasse ad oscurare i problemi reali, si aggiunge una voglia di non crescere da parte di una classe dirigente inadeguata.

Di cosa hanno bisogno gli imprenditori campani per vedere accresciuta la competitività delle loro imprese?
Contrariamente a quanto erroneamente si è portati a credere, gli imprenditori al Sud non stanno lì con la mano tesa; non è di assistenza economica che si ha bisogno ma di un contesto in cui muoversi meno burocratico, perché solo con una amministrazione più snella ed efficiente si possono raggiungere soluzioni di buon senso, efficaci e in tempi rapidi.

 Cosa incide positivamente sulla competitività delle imprese?
La competitività per me nasce in maniera fondamentale dalla qualità delle risorse umane. Viviamo un'epoca in cui sono le idee a costituire il capitale da reinvestire. Il talento diventa così il luogo ideale in cui il capitale può essere reinvestito perché capace di rigenerarsi dando vita a un vantaggio competitivo per l'impresa. In un momento in cui per la sussistenza della produttività non sono sufficienti i capitali economici, ma piuttosto a prevalere sono le capacità di utilizzo delle tecnologie e dei talenti, essendo il capitale umano il vero elemento competitivo, si introduce, nel tessuto economico ma anche sociale, una nuova necessità: l'accoglienza, intesa come la vera apertura verso il mondo e i suoi ineluttabili cambiamenti. Solo nei luoghi in cui si libera la creatività, dove quindi le idee possono emergere e i talenti più globali manifestarsi, lì lo sviluppo economico può sopravvivere alla crisi. Non solo formazione quindi. Le imprese vinceranno non solo se saranno capaci di valorizzare i propri talenti, ma anche di creare condizioni sociali e organizzative capaci di far alimentare la creatività. Ma talento e accoglienza da sole non bastano. A supportarle deve esserci un livello realmente avanzato di tecnologia. Si tratta di immaginare imprese e realtà di lavoro capaci di aprirci al diverso, al nuovo. Dobbiamo poi "socialmente" tutti essere capaci di ricreare il piacere di vivere nella nostra regione. Né più né meno di quanto sta accadendo in America, ma meglio perché ne siamo in grado.

Ottimista per il futuro?
Si, anche se a incoraggiarmi non sono le piccole variazioni percentuali. Mi conforta il dinamismo delle altre realtà estere ed è a quelle che dobbiamo guardare uscendo fuori dei troppo risicati contesti provinciali, regionali e nazionali.

 Più risorse o problemi in Campania?
La prima impressione che si ha, è che i problemi sono sempre tanti, le risorse sempre poche. Nel concreto, però, spesso questa considerazione è smentita dai fatti. Lo scorso gennaio, Caserta è stata assoluta protagonista per aver ospitato il primo Consiglio dei Ministri fuori di Palazzo Chigi. L'incontro con le istituzioni è stato la giusta occasione per fare il punto della situazione economica del nostro territorio. Ne è emerso che sì i problemi sul tavolo sono tanti ma che, cosa più importante, è possibile fare fronte comune rispetto a molti di essi, purché le possibili contromisure siano condivise dalla maggior parte delle forze politiche e sociali della nostra provincia. Ad esempio, la nostra proposta di dar vita ad un circuito turistico culturale per allungare i tempi di permanenza in città dei visitatori legando la Reggia Vanvitelliana - che oggi conta circa un milione di turisti l'anno - al Belvedere di San Leucio e al Borgo di Casertavecchia, ha trovato pieno accoglimento nelle parole del Ministro per i beni e le attività culturali Rutelli che, anzi, se ne è fatto diretto promotore.

Gli imprenditori campani cosa chiedono per accrescere la competitività delle loro imprese?
Nei primi due anni della mia presidenza, propendendo verso una certa autocritica che non guasta mai, ho più volte ribadito la necessità di puntare su innovazione e formazione come fattori di sviluppo. E di farlo dando l'esempio, cominciando dalla propria azienda. Sono convinto che sia inutile parlare di innovazione se non si è innovatori in prima persona. Sono anche certo che l'imprenditore debba aprirsi alla prospettiva di un'innovazione a 360 gradi. In Confindustria Caserta, attraverso il "tavolo delle 2i", da qualche tempo andiamo dicendo che bisogna "innovare per internazionalizzare". Innovazione e formazione, però, devono poter contare su un'adeguata rete infrastrutturale. Penso, per esempio, all'aeroporto di Grazzanise. Fino a quando lo scalo aereo resta un progetto sulla carta le diseconomie che affliggono il territorio faranno da zavorra, sicché ogni discorso con riguardo al turismo e, in generale, agli scambi commerciali resta scritto sulla sabbia. Per tornare, alla riunione del Consiglio dei Ministri a Caserta, come industriali a Prodi abbiamo dato la nostra disponibilità a sedere intorno al tavolo dello sviluppo, non al solito tavolo di crisi.

 Risorse e problemi in Campania. L'ago della bilancia da quale parte pende?
Sono un imprenditore, non posso che essere ottimista. Ma lo faccio sulla base di dati di fatto. La Campania può contare su giovani qualificati e aree non sature per nuovi insediamenti imprenditoriali. I progetti di sviluppo ci sono. Solo nel territorio della città di Napoli, tra Zona Orientale, Bagnoli e Centro Storico è possibile attivare investimenti privati per una decina di miliardi di euro. Nessuna città in Europa può vantare potenzialità come queste. Serve uno scatto. Bisogna dare il senso di una svolta, di un cambiamento. Sarebbe delittuoso non sfruttare simili opportunità.

Cosa chiedono quindi gli imprenditori?
Bisogna eliminare le diseconomie ormai note: gap infrastrutturale, inefficienza della p.a., livelli non adeguati di sicurezza. Una recente ricerca della CCIAA di Napoli ha dimostrato, dati alla mano, che le imprese della provincia sono penalizzate da questi handicap. Subiscono una riduzione di ricavi pari a 26 punti percentuali e un aggravio di costi superiore all'8% rispetto ad altre aree del Paese. Uno studio dell'Ires Cgil ha dimostrato che in Campania il costo dell'energia è superiore del 12% a quello medio del Paese. Se si considera che le imprese italiane a loro volta hanno costi energetici di un quarto superiori a quelle francesi e di quasi il 50% a quelle britannici, si può avere un'idea adeguata di cosa significhi per noi competere. È chiaro che le diseconomie non si eliminano da un giorno all'altro. Nel contempo, bisogna introdurre meccanismi compensativi, come la fiscalità di vantaggio.

 Perché la Campania è in ritardo di competitività?
Le cause sono da tempo note: manca un disegno strategico di sviluppo e le politiche messe in campo dalla Regione e dagli Enti Locali appaiono proiettate più su alcune suggestioni progettuali che sulla reale cognizione delle eccellenze che pure esistono e producono risultati anche a livello internazionale. Si continua a parlare poco di industria e a pensare che solo dai servizi e dal turismo possa arrivare quella crescita che da anni attendiamo. Per non parlare dei gap storici come la carenza di infrastrutture e, ovviamente, di una rete di infrastrutture al servizio del tessuto economico e produttivo; la "pesantezza" e la lentezza della macchina burocratica; il deficit di rapporto fiduciario banche-imprese.

Eppure con gli interventi annunciati dal governo-Prodi le cose dovrebbero migliorare….
Guardi, anche in altre occasioni ho sottolineato che il problema di fondo non è legato alla disponibilità di risorse finanziarie. Basti pensare ai flussi derivanti dai fondi europei. Cosa hanno prodotto? Non mi pare che siano state costruite opere in grado di migliorare il sistema-Campania. Al contrario, è stata privilegiata la logica della gestione "politica": frantumazione degli interventi a beneficio di una visione campanilistica e localistica. Sono emersi i limiti di una classe dirigente ormai auto-referenziale, dedita al mantenimento del consenso. Ecco perché, come dicevo prima, manca una visione d'insieme, un progetto di largo respiro.

E le imprese? Hanno fatto la loro parte?
Sicuramente le imprese hanno affrontato "senza rete" la grande crisi che solo ora inizia a diventare meno intensa. Hanno saputo ristrutturarsi a costo di grandi sacrifici dando un forte impulso ad un'economia a tratti recessiva. Questo non significa che non hanno sbagliato nulla. Ma è ben chiaro dove ricercare le maggiori responsabilità di una situazione che resta difficile e complessa.

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