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  Dicembre 2012

Articoli n° 6
LUGLIO 2006
 


Inserto
CONFINDUSTRIA DI SALERNO

Relazione del Presidente Andrea Prete

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Lo stato dei diritti

L’Italia dell’Italia


Lo stato dei diritti


Finanza pubblica e diritti:
lo Stato secondo Cavallaro

Di Luigi Cavallaro
Editore Vivarium - Pagine: 280 - Euro: 32,00

Bisognerebbe leggere cosa scrive l’autore nel prologo al suo "Lo Stato dei diritti", per farsi un'idea anticonformista su cosa è successo negli ultimi anni in termini di politica economica nazionale. Il capitolo si preannuncia come un'elegia nostalgica degli anni del deficit spending e del welfare state onnicomprensivo finanziato dal debito pubblico. Cavallaro scrive che «gli imprenditori non temevano per gli sbocchi (di mercato) perché c'era la spesa pubblica che cresceva, i cittadini non temevano per l'occupazione perché c'era lo Stato che dava lavoro a quanti il progresso tecnologico scacciava dalle imprese, i lavoratori godevano di stipendi in crescita e, come consumatori, si avvantaggiavano dell'aumento dell'offerta di merci e diritti».
Un paradiso perduto dal quale siamo stati scacciati a seguito della "restaurazione" reaganiana-thatcheriana, che ha dato il la, nei paesi occidentali, al ridimensionamento dell'intervento pubblico nell'economia. In questa cacciata dall'Eden il ruolo dei cattivi consiglieri è assegnato agli "adepti del capitalismo del laissez-faire", rei di aver lanciato l'allarme sulla crescita del debito pubblico e sull'inflazione. «Fu facile, - scrive Cavallaro -, tirar fuori la storia che la società si era indebitata troppo. Nonostante l'aumento del debito fosse un fenomeno monetario e non reale, si disse che lo Stato si era spinto al di là delle sue possibilità; si trovarono stuoli di economisti pronti a giurare che bisognava lavorare di più e più a lungo».
Le politiche di rigore nella finanza pubblica, la lotta all'inflazione, le privatizzazioni e la trasformazione del mercato del lavoro vengono inserite in questo generale programma di rinuncia ai benefici della stagione keynesiana. «Con il risultato - suggerisce l'autore - che tutti si sono svegliati più poveri, gli imprenditori non hanno trovato più sbocchi per le proprie merci, i giovani sperimentano un mercato del lavoro sempre più ostile».

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