l’evoluzione dei Confidi
Il nuovo ruolo
previsto dalle recenti normative
L’etica e il
valore
economico di impresa
Bando per le imprese
femminili
I requisiti per la partecipazione
L’etica e il valore
economico di impresa
Oscar DE FRANCISCIS*
Un sistema economico funziona
se il barometro della fiducia segna alto
Gli scandali societari del passato recente, verificatisi a diverse latitudini
del globo, hanno indicato chiaramente che la pletora di leggi del secolo scorso
e di quelle in corso di emanazione non hanno eliminato e non elimineranno (sic!)
gli aspetti meno simpatici del comportamento umano e, in particolare, quelli
conseguenti all'avidità e al potere, quale affermazione individuale di
onnipotenza, al di fuori e al di sopra di ogni regola. Il problema è quello
che il comportamento deviato di pochi possa essere percepito come un atteggiamento
del sistema, anche per la sola incapacità dello stesso di riuscire a cogliere
in tempo utile i segnali di irregolarità, accreditando iniziative e personaggi
poi dimostratisi del tutto privi di quella "moralità economica" che
nessun risultato o obiettivo può giustificare. Joseph Stiglitz, nobel
per l'economia 2001, nel periodo in cui è stato capo economista della
banca mondiale (1997-2000), ha definito cinque "precetti" guida, indispensabili
sia nell'azione economica pubblica che privata: onestà, equilibrio, giustizia
sociale, informazione, responsabilità. É chiaro che queste regole,
prima di essere del sistema, devono appartenere ai singoli: va riaffermata con
forza la validità del "retto carattere", che nessun codice o
norma deontologica può sostituire. É a questo punto che il dibattito
in corso sulla responsabilità sociale di impresa deve tornare a considerare
la responsabilità etica di impresa, intesa quale entità proiettata
a soddisfare non solo interessi privatistici, ma a creare ricchezza e valore
per l'intera società. In quest'ottica gli amministratori, che pure hanno
un rapporto fiduciario con gli azionisti che li hanno nominati, debbono usare
le risorse societarie loro affidate per perseguire il profitto, inteso in senso
lato e ampio e, soprattutto, non in termine di solo utile distribuibile, in modo
che l'incremento della ricchezza degli azionisti sia, in modo spesso indiretto
e mediato, occasione di crescita per tutta la società, nel rispetto di
quanto fu indicato da Milton Friedman nel lontano 1970. In linea con tale logica
si pone la normativa del D.lgs. 231/2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento
la responsabilità in sede "penale" degli enti, che si aggiunge
a quella della persona fisica che ha materialmente realizzato il reato. Infatti,
ove alcuni soggetti che ricoprono definite funzioni aziendali commettano gli
illeciti penali previsti dalla norma, arrecando un vantaggio alla società, è prevista
l'irrogazione di sanzioni che coinvolgono pure il patrimonio degli enti (leggasi
anche società quotate e non) e, dunque, gli interessi economici dei soci.
La ratio della norma è quella di scoraggiare comportamenti illeciti da
parte del personale aziendale, stimolando un'azione di governo funzionale alla
prevenzione dei reati. La società può addirittura invocare una "esimente" ove
dimostri di aver adottato un efficace "modello di organizzazione, di gestione
e controllo", di aver emanato un codice etico e di disporre di un organismo
di vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo. La norma richiede,
quindi, che il concreto operare delle aziende venga dettato da un equilibrato
mix tra cultura manageriale, risultati da conseguire, trasparenza informativa
interna ed esterna ed etica degli affari. Non a caso il codice Preda definisce
il governo di impresa (corporate governance) quale <insieme di regole attraverso
le quali l'impresa è gestita e controllata. Lo scopo della governance è di
creare valore per l'azionista>. Va evidenziata la pari dignità che
la funzione di controllo assume rispetto a quella gestoria; ciò a riprova
che il sistema delle aziende non sarà colpito da crisi di fiducia (con
perdita di valore economico) solo se dimostrerà che gli eventi illeciti
o non corretti dipendono da comportamenti di singoli e non da un atteggiarsi
del sistema, anche se solo di tipo permissivo. In tal senso, va sottolineato
il contenuto del novellato art. 2381 c.c. che valorizza comportamenti responsabili,
equilibrati, informati, tesi a realizzare, nel rispetto dei ruoli e delle funzioni
di ciascun organo, quella corretta collegialità che è il presidio
migliore per ispirare la gestione a comportamenti finalizzati a conseguire valore
per la proprietà e, ancor prima, per tutti gli altri stakeholders. La
collegialità del momento decisorio consente di evitare che gli amministratori
con delega diventino arbitri della vita aziendale, anziché promotori e
soprattutto esecutori delle scelte collettive del consiglio, eliminando quella
situazione di "premiarato tirannico" che, a mio avviso, è alla
base di molti comportamenti non corretti o, addirittura, illeciti. Ruolo essenziale
nel realizzare l'adeguato funzionamento del consiglio di amministrazione lo ha
il presidente, cui è riconosciuto il diritto/dovere di coordinare i lavori
e di provvedere affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte
all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri. Di fatto, il presidente
deve svolgere un essenziale ruolo di bilanciamento tra amministratori con delega
e amministratori senza delega (o anche cosiddetti indipendenti), con una attività politica
di conduzione caratterizzata da una forte moralità e terzietà,
a garanzia della immagine e della missione della società; deve essere
il garante della coesione interna: anche l'usciere di una società deve
avere la certezza di poter ricorrere al suo presidente se ritiene di aver subito
un torto. Già nel codice Higgs (2003) si legge che: <I ruoli di presidente
e amministratore delegato devono essere mantenuti distinti. L'amministratore
delegato non deve successivamente divenire presidente>. Nel decalogo pubblicato
dalla Spencer Stuart (2004) si legge: <Il presidente è l'animatore
e l'arbitro del lavoro del consiglio. Le informazioni sugli argomenti da trattare
sono fornite ai consiglieri con anticipo e dettagli adeguati alla loro importanza,
prevedendo anche un tempo idoneo per la discussione in consiglio>. Dal Financial
Times (2005) si legge che il presidente modello è una persona che lavora
bene con l'amministratore delegato; incoraggia le discussioni sfidanti; rivede
con regolarità le performance del top manager; gestisce una agenda stringente
ma flessibile; ha uno stile di leadership aperto; non è il precedente
amministratore delegato; è una persona di vasta esperienza; è una
persona che si è preparata a svolgere il proprio ruolo; è una persona
responsabile; sa bilanciare la governance in senso stretto con la strategia.
L'art. 2381 c.c., nella formulazione della riforma, ha finalmente disciplinato
l'informazione endoconsiliare, riconoscendo che non vi possono essere flussi
informativi corretti, né verso gli organi di controllo né verso
i soci e il mercato, se l'informazione non circola adeguatamente all'interno
del consiglio di amministrazione. Al presidente il ruolo di "mediatore" nella
circolazione dell'informazione, secondo uno stile di neutralità di tipo
professionale, propria di chi ha la responsabilità della retta conduzione
di un organismo decisionale collegiale. Se poi l'azione del consiglio si fonda
sul principio della "company stakeholder responsability", concentrandosi
sulla creazione di valore a tutti i livelli e per tutti i portatori di interesse
interagenti con l'impresa, si recupererà la inseparabilità del
business dall'etica, preservando il valore economico di impresa da repentini
e inaspettati crolli ed evitando, altresì, crisi di identità -
di fiducia - di valori - all'intero sistema di organizzazione dell'impresa e
in particolare agli uomini che vi operano. E ciò è tanto più importante
se si condivide il modello di capitalismo leggero e personale che Bonomi e Rullari
(nel loro lavoro "Il capitalismo personale. Vite al lavoro" pubblicato
da Einaudi) ritengono possa rappresentare l'evoluzione italiana al post fordismo:
un modello di sviluppo che si orienta verso le produzioni complesse e che è caratterizzato
da varietà, variabilità e indeterminazione, con conseguente necessità di
lavoro creativo e strutture flessibili. Un capitalismo, quindi, incentrato sulle
persone, sulle relazioni e conoscenze, su un'efficiente interrelazione tra dimensione
locale e globale, ha bisogno di fondarsi sulla fiducia e affidabilità dei
comportamenti.
*Dottore Commercialista
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