Quando l’arte si fonde
con il paesaggio
Stefano castelli
gattinara*
Le opere di Ambasz realizzano l'utopia di un
ampio campo in cui il costruito, il naturale e
l'artificiale coesistono armonicamente
Il rapporto annuale del WWF del 2005 sosteneva che,
mantenendo l'attuale modello di consumo, tra circa 40 anni la biosfera sarà invivibile.
La soluzione, al di là degli infiniti rattoppi possibili, sembra obbligata:
gli economisti più sensibili suggeriscono di considerare l'ambiente come "fattore
patrimoniale" che deve essere implementato attraverso opportune politiche.
Questo si traduce in opere che producano un miglioramento di qualità,
oltre che di quantità degli elementi naturali, che diventano obiettivo
e non più strumento della produzione. Trasmettere alle future generazioni
un ambiente migliore di quello presente è uno dei principi su cui si fonda
il concetto di sostenibilità. Molto spesso, affrontando i concetti di
ambiente e paesaggio, i valori ambientali non coincidono con quelli estetici
di paesaggio. A quanto sembra siamo destinati a considerare il nostro "intorno" in
modo disunitario, una volta con gli occhi di studiosi del paesaggio, un'altra
con quelli di studiosi dell'ambiente. Nell'architettura di Emilio Ambasz la dicotomia
tra ambiente e paesaggio viene superata. Usando la natura su una scala più ampia,
Ambasz ci presenta l'intero ambiente come una costellazione da cui l'architettura
trae la sua stessa essenza; nelle sue opere natura e architettura sembrano inseparabili.
La sua ricerca apre la promessa di un ampio campo in cui il dato e il costruito,
il naturale e l'artificiale, coesistono armonicamente. Nel suo lavoro di progettazione
architettonica non ci sono quasi mai oggetti che appoggino semplicemente al suolo
come accade normalmente in architetture più convenzionali, dove gli edifici
tendono ad essere delle cose a sé e basta. Le creazioni architettoniche
di Emilio Ambasz sono un po' fuori e un po' dentro la terra. Sono come lastre
di pietra che emergono dalla superficie, o fessure che screpolano la terra, piuttosto
che tentativi di tenere sotto controllo l'universo attraverso strumenti della
logica o un linguaggio convenzionale. Con implacabile precisione e instancabile
pazienza è attento a cogliere come pochi fanno le occasioni della tecnologia
come un mezzo insostituibile per portare alla luce l'evento l'architettura. La
cosa che rende originale Ambasz è che la tecnologia per lui è uno
strumento per suggerire presenze architettoniche. "Green over gray" è il
motto di Emilio Ambasz, eccentrico profeta di una nuova architettura ecologica.
Il verde della natura sopra il grigio del cemento. Ambasz costruisce edifici
che non si vedono, in cui ci sono prati e giardini al posto dei tetti, con pareti
ricoperte di cascate di piante, alberi e fiori; Ambasz è stato in grado
di coniugare artificio e natura, tecnologia e ambiente, sofisticata modernità e
romantica arcadia, restituendo al paesaggio naturale lo spazio che la costruzione
gli ha sottratto. É il caso delle immagini archetipe delle piramidi di
cristallo, dei diedri, dei coni che affiorano dalla roccia o dalla terra come
nel caso dei Lucille Halsell Conservatories a S. Antonio nel Texas o dei Giardini
Termali di Sirmione sul Lago di Garda.
Molti dei progetti di Ambasz possono sembrare
visionari e utopici, ma basta sfogliare il vasto repertorio fotografico del sito
ufficiale dell'architetto per rendersi conto che non si tratta di utopia ma di
concrete risposte ai problemi ambientali. Questi edifici soddisfano i committenti
proprio perché si occupano di questioni concrete: di organizzazione del
lavoro, di climatizzazione che unisce tecnologia e metodi naturali, ma soprattutto
di benessere, in senso lato, dei suoi fruitori. Essi sono un concreto esempio
del fatto che ambiente, paesaggio e architettura possono tornare ad essere un
unico sistema armonioso. Tra le opere dell'architetto argentino è opportuno
soffermarsi su un recente progetto che dimostra ancora, una volta, l'originalità delle
proposte spaziali e urbanistiche di Ambasz: il Monument Towers a Phoenix in Arizona è una
torre a uffici. Il complesso architettonico è situato nel centro cittadino
che è costituito da grandi edifici molti dei quali coincidono con l'isolato
urbano, divenendo quindi il minimo comune denominatore dell'espansione della
città. L'insieme delle Monument Towers progettate da Ambasz ha una conformazione
geometrica che rinvia inequivocabilmente alla geologia e alla stratigrafia, è un
monolite opaco privo di ogni evidente elemento strutturale essendo completamente
rivestito da alette frangisole variamente orientabili che gli conferiscono una
sorta di costante vibrazione visiva che si contrappone alla solidità dell'intera
massa. La funzione delle alette è quella di deviare i raggi solari, proteggendo
gli spazi interni dell'edificio racchiusi nel vetro, al fine di ridurre l'accumulo
di calore e quindi la climatizzazione artificiale della torre. Le torri di Phoenix
sono opache, color grigio alluminio, quasi nere a seconda della luce, sono la
risposta del ventunesimo secolo al connubio fra architettura e geologia, se vogliamo
un esempio di land art in pieno centro metropolitano. Un esempio significativo
di architettura di land art, ma in questo caso in un contesto opposto alla città, è il
Matsunoyama Natural Science Museum a Niigata degli architetti Takaharu e Yui
Tezuka. Il museo in questione non potrebbe esistere senza il contesto collinare
in cui si erge, la sua forma evoca un enorme cobra meccanico (l'edificio è completamente
rivestito in acciaio Cor-Ten) bloccato nell'atto di mordere la preda. Il Matsunoyama
Museum è un esempio riuscito di land art e di earth-work: una landscape
architecture. Un'opera di land art segna una differenza nel sito che viene inventato,
costruito, ovvero messo in scena come paesaggio. Ma il museo è anche earth-art.
Un'opera di earth-art manipola il suolo della crosta terrestre con scavi, incisioni,
movimenti di terra che rimodellano il terreno. Qui la modellazione del suolo
nasce dalla prevista combinazione delle condizioni ambientali con l'architettura,
quando, durante l'inverno, le copiose nevicate (che arrivano fino a trenta metri
in un anno) rivestono completamente il museo facendolo scomparire e creando contemporaneamente
un nuovo suolo che fa intuire l'artificio, mentre l'interno del museo appare
come un cunicolo scavato nella neve, impressione enfatizzata dal distendersi
dell'edificio in orizzontale. L'edificio coinvolge l'intorno e diventa parte
di un sistema dove il paesaggio, la natura, la luce, l'organizzazione spaziale,
la soluzione formale, la scelta dei materiali concorrono insieme a formare un
ecosistema. Il museo dei Tezuka opera direttamente con la natura e sulla natura.
*Architetto - studio-architettura@castelli-gattinara.it
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