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  Dicembre 2012

Articoli n° 1
gennaio/febbraio 2006
 

EDILIZIA INDUSTRIALE - Home Page
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Quando l’arte si fonde con il paesaggio

Stefano castelli gattinara*

Le opere di Ambasz realizzano l'utopia di un ampio campo in cui il costruito, il naturale e l'artificiale coesistono armonicamente



Il rapporto annuale del WWF del 2005 sosteneva che, mantenendo l'attuale modello di consumo, tra circa 40 anni la biosfera sarà invivibile. La soluzione, al di là degli infiniti rattoppi possibili, sembra obbligata: gli economisti più sensibili suggeriscono di considerare l'ambiente come "fattore patrimoniale" che deve essere implementato attraverso opportune politiche. Questo si traduce in opere che producano un miglioramento di qualità, oltre che di quantità degli elementi naturali, che diventano obiettivo e non più strumento della produzione. Trasmettere alle future generazioni un ambiente migliore di quello presente è uno dei principi su cui si fonda il concetto di sostenibilità. Molto spesso, affrontando i concetti di ambiente e paesaggio, i valori ambientali non coincidono con quelli estetici di paesaggio. A quanto sembra siamo destinati a considerare il nostro "intorno" in modo disunitario, una volta con gli occhi di studiosi del paesaggio, un'altra con quelli di studiosi dell'ambiente. Nell'architettura di Emilio Ambasz la dicotomia tra ambiente e paesaggio viene superata. Usando la natura su una scala più ampia, Ambasz ci presenta l'intero ambiente come una costellazione da cui l'architettura trae la sua stessa essenza; nelle sue opere natura e architettura sembrano inseparabili. La sua ricerca apre la promessa di un ampio campo in cui il dato e il costruito, il naturale e l'artificiale, coesistono armonicamente. Nel suo lavoro di progettazione architettonica non ci sono quasi mai oggetti che appoggino semplicemente al suolo come accade normalmente in architetture più convenzionali, dove gli edifici tendono ad essere delle cose a sé e basta. Le creazioni architettoniche di Emilio Ambasz sono un po' fuori e un po' dentro la terra. Sono come lastre di pietra che emergono dalla superficie, o fessure che screpolano la terra, piuttosto che tentativi di tenere sotto controllo l'universo attraverso strumenti della logica o un linguaggio convenzionale. Con implacabile precisione e instancabile pazienza è attento a cogliere come pochi fanno le occasioni della tecnologia come un mezzo insostituibile per portare alla luce l'evento l'architettura. La cosa che rende originale Ambasz è che la tecnologia per lui è uno strumento per suggerire presenze architettoniche. "Green over gray" è il motto di Emilio Ambasz, eccentrico profeta di una nuova architettura ecologica. Il verde della natura sopra il grigio del cemento. Ambasz costruisce edifici che non si vedono, in cui ci sono prati e giardini al posto dei tetti, con pareti ricoperte di cascate di piante, alberi e fiori; Ambasz è stato in grado di coniugare artificio e natura, tecnologia e ambiente, sofisticata modernità e romantica arcadia, restituendo al paesaggio naturale lo spazio che la costruzione gli ha sottratto. É il caso delle immagini archetipe delle piramidi di cristallo, dei diedri, dei coni che affiorano dalla roccia o dalla terra come nel caso dei Lucille Halsell Conservatories a S. Antonio nel Texas o dei Giardini Termali di Sirmione sul Lago di Garda.

Molti dei progetti di Ambasz possono sembrare visionari e utopici, ma basta sfogliare il vasto repertorio fotografico del sito ufficiale dell'architetto per rendersi conto che non si tratta di utopia ma di concrete risposte ai problemi ambientali. Questi edifici soddisfano i committenti proprio perché si occupano di questioni concrete: di organizzazione del lavoro, di climatizzazione che unisce tecnologia e metodi naturali, ma soprattutto di benessere, in senso lato, dei suoi fruitori. Essi sono un concreto esempio del fatto che ambiente, paesaggio e architettura possono tornare ad essere un unico sistema armonioso. Tra le opere dell'architetto argentino è opportuno soffermarsi su un recente progetto che dimostra ancora, una volta, l'originalità delle proposte spaziali e urbanistiche di Ambasz: il Monument Towers a Phoenix in Arizona è una torre a uffici. Il complesso architettonico è situato nel centro cittadino che è costituito da grandi edifici molti dei quali coincidono con l'isolato urbano, divenendo quindi il minimo comune denominatore dell'espansione della città. L'insieme delle Monument Towers progettate da Ambasz ha una conformazione geometrica che rinvia inequivocabilmente alla geologia e alla stratigrafia, è un monolite opaco privo di ogni evidente elemento strutturale essendo completamente rivestito da alette frangisole variamente orientabili che gli conferiscono una sorta di costante vibrazione visiva che si contrappone alla solidità dell'intera massa. La funzione delle alette è quella di deviare i raggi solari, proteggendo gli spazi interni dell'edificio racchiusi nel vetro, al fine di ridurre l'accumulo di calore e quindi la climatizzazione artificiale della torre. Le torri di Phoenix sono opache, color grigio alluminio, quasi nere a seconda della luce, sono la risposta del ventunesimo secolo al connubio fra architettura e geologia, se vogliamo un esempio di land art in pieno centro metropolitano. Un esempio significativo di architettura di land art, ma in questo caso in un contesto opposto alla città, è il Matsunoyama Natural Science Museum a Niigata degli architetti Takaharu e Yui Tezuka. Il museo in questione non potrebbe esistere senza il contesto collinare in cui si erge, la sua forma evoca un enorme cobra meccanico (l'edificio è completamente rivestito in acciaio Cor-Ten) bloccato nell'atto di mordere la preda. Il Matsunoyama Museum è un esempio riuscito di land art e di earth-work: una landscape architecture. Un'opera di land art segna una differenza nel sito che viene inventato, costruito, ovvero messo in scena come paesaggio. Ma il museo è anche earth-art. Un'opera di earth-art manipola il suolo della crosta terrestre con scavi, incisioni, movimenti di terra che rimodellano il terreno. Qui la modellazione del suolo nasce dalla prevista combinazione delle condizioni ambientali con l'architettura, quando, durante l'inverno, le copiose nevicate (che arrivano fino a trenta metri in un anno) rivestono completamente il museo facendolo scomparire e creando contemporaneamente un nuovo suolo che fa intuire l'artificio, mentre l'interno del museo appare come un cunicolo scavato nella neve, impressione enfatizzata dal distendersi dell'edificio in orizzontale. L'edificio coinvolge l'intorno e diventa parte di un sistema dove il paesaggio, la natura, la luce, l'organizzazione spaziale, la soluzione formale, la scelta dei materiali concorrono insieme a formare un ecosistema. Il museo dei Tezuka opera direttamente con la natura e sulla natura.

*Architetto - studio-architettura@castelli-gattinara.it

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