Liberare le energie bloccate
del Mezzogiorno
Il coraggio
di crescere
Piccola Industria
Il coraggio
di crescere
di Vito Salerno
Giuseppe Morandini
Per risollevare le sorti dell’economia bisogna sostenere e tutelare le Piccole e Medie Imprese
Per i nostri lettori abbiamo realizzato un’intervista con Giuseppe Morandini rappresentante nazionale della Piccola Industria.
Da novembre lei è il nuovo presidente della Piccola Industria di Confindustria, di quelle piccole e medie imprese che hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo di questo Paese, ma che ora attraversano un momento delicato. Come possiamo rilanciare la competitività di questa importante fetta del nostro tessuto produttivo?
Prima di raccontarle i nostri progetti, vorrei approfittare dell’occasione per ringraziare gli industriali di questa terra, che si stanno impegnando con grande energia e concretezza per contribuire al lavoro di tutta la squadra. Come rilevava lei, le pmi rappresentano una fetta importante del nostro tessuto produttivo, formato per il 99% da realtà produttive con meno di 50 dipendenti. A questo universo appartengono aziende dinamiche che riescono a reggere la competizione dei mercati, anche quelli geograficamente e culturalmente più lontani, coniugando la qualità con l’innovazione e la tecnologia. Ma ci sono altresì casi di imprese e settori che non riescono ad ampliare, se non peggio a mantenere, le loro quote di mercato, aziende che faticano ad affrontare le nuove dimensioni e dinamiche della competizione globale. Per rilanciare la competitività del sistema Paese e risollevare le sorti di un’economia che non cresce, occorre decidere di sostenere e tutelare realmente questo patrimonio. Piccola Industria ha già sottolineato alle forze politiche la sua richiesta, richiesta che è stata fatta propria e ribadita anche dal presidente Montezemolo: serve una figura istituzionale all’interno della futura compagine governativa, un vice ministro con delega operativa sulle piccole imprese, con il quale poter discutere di sviluppo strategico e definire strumenti e risorse in grado di impattare sui nostri storici gap competitivi: bassa capitalizzazione, scarsa internazionalizzazione, innovazione senza ricerca, assetti di governance chiusi, snodo generazionale e, soprattutto, dimensioni inadeguate.
La crescita dimensionale è, in effetti, uno snodo chiave per le piccole imprese: cosa si può fare per aiutare gli imprenditori a gestire con successo questo passaggio?
Oggi quella della crescita è una sfida che dobbiamo assolutamente vincere se vogliamo competere sui mercati del mondo. Gli imprenditori devono muoversi per primi, e lo dico anche a ragione della mia personale esperienza, perché è soprattutto una questione di mentalità. Non si cresce né per legge né per decreto, ma per convinzione profonda dell’imprenditore, che deve trovare il coraggio di svincolarsi dalla cultura famigliare, se questa significa mettere a repentaglio il futuro dell’impresa. Non dobbiamo più sacrificare la possibilità di crescere alla necessità di mantenere il controllo assoluto della nostra azienda. Dobbiamo aprire con coraggio, qualora sia opportuno, il capitale a investitori esterni e la gestione a manager preparati. Per farlo, c’è bisogno di promuovere la progettualità strategica delle piccole imprese che non crescono, non tanto per mancanza di risorse finanziarie, quanto per carenze, in particolar modo nei settori tradizionali, di capacità organizzative e manageriali. E qui la politica può fare molto: può definire linee di incentivazione che consentano l’utilizzo, da parte delle imprese, di consulenze strategiche, di manager e ricercatori a tempo, di meccanismi di trasferimento tecnologico. Può erogare incentivi in base a precisi criteri selettivi, definiti in business plan accurati e periodicamente verificabili.
Tra i numerosi ostacoli che le piccole imprese debbono affrontare ogni giorno, ce ne sono due particolarmente ostici: credito e burocrazia. Cosa occorre fare per superarli?
Anche in questo caso si tratta di superare vecchi modelli culturali. Nel credito, per esempio, sia le banche sia le imprese devono adottare comportamenti trasparenti. Gli istituti bancari, da parte loro, devono andare oltre il ruolo di erogatori e diventare consulenti preparati su tutti i servizi del mercato finanziario per avvicinare le imprese alle nuove forme di credito. Servono banche che siano ancora più vicine alle imprese, che sappiano anteporre il progetto alle garanzie. Ma abbiamo pure bisogno di imprese che sappiano dialogare meglio con le banche, senza contrapposizioni e antagonismi. Di passi avanti ne abbiamo fatti, anche grazie al protocollo Confindustria-Abi, firmato nel 2004 con l'obiettivo di far condividere a imprese e banche un percorso di sviluppo congiunto. Sono stati sottoscritti accordi in tema di internazionalizzazione; è stato affrontato il problema dei crediti Iva; sono stati individuati sistemi per favorire trasparenza e confrontabilità delle condizioni applicate ai conti correnti business, e altro ancora. Si tratta adesso di passare alla fase applicativa dei protocolli, promuovendo la loro conoscenza sul territorio. Vogliamo che ogni impresa, rivolgendosi alla propria filiale, trovi interlocutori informati delle modifiche concordate e possa riscontrare un effettivo cambiamento nel rapporto con la propria banca. Nel capitolo burocrazia abbiamo pure segnato un punto significativo: siamo, infatti, riusciti a ottenere una cabina di regia per la semplificazione e abbiamo avanzato nostre proposte per un metodo di lavoro che consenta finalmente di passare dalla semplificazione annunciata a quella percepita, anche per iniziare a scalfire il colosso dei 10 miliardi di euro, ossia il costo che le imprese pagano ogni anno per gli adempimenti burocratici.
E per quanto riguarda il Mezzogiorno?
Inutile affermare che occorre rilanciarne le possibilità di crescita e farne la nuova frontiera dello sviluppo. Lo sappiamo bene, Confindustria lo ha ribadito più volte. Adesso dobbiamo passare dalle enunciazioni di principio ai fatti concreti. Dobbiamo continuare a impegnarci in Europa per la fiscalità di vantaggio e attuare politiche di attrazione degli investimenti esteri. Dobbiamo batterci con determinazione per combattere la piaga del lavoro sommerso, che vale almeno il 25% del Pil. Proseguire sulla strada della difesa della legalità, sulla quale Confindustria è stata sempre in prima linea. E poi dobbiamo puntare sul rilancio del turismo, che è uno degli asset principali dell’Italia. È onestamente ridicolo pensare che il nostro Paese, che conserva oltre il 60% del patrimonio storico e artistico del mondo e che ha innegabili, naturali vantaggi competitivi di partenza, non riesca a sfruttare le potenzialità di un settore che occupa, direttamente e indirettamente, circa tre milioni di persone - oltre il 12,3% della nostra forza lavoro - e rappresenta già oggi circa il 12% del Pil. Attualmente il nostro Paese è al quinto posto tra le mete turistiche, dopo Francia, Spagna, Usa e Cina. E si prevede che nel 2020 scenderà al settimo, superato da Hong Kong e Gran Bretagna. Non possiamo continuare a perdere posizioni, dobbiamo invertire la rotta. Come dobbiamo invertire la rotta nella logistica. L’inadeguatezza della situazione infrastrutturale pesa sulle nostre imprese in maniera drammatica. Non solo. Lo scorso febbraio, in occasione della giornata della logistica, Confindustria ha rimarcato che la carenza di un sistema efficiente comporta per l’Italia un onere di 7,5 miliardi di euro l'anno. E se pensiamo che per logistica si intende la movimentazione di beni, servizi, persone, conoscenza, in una parola il futuro, abbiamo forse più chiaro con quale enorme, costoso, ritardo dobbiamo fare i conti. Sono situazioni che non possiamo tollerare oltre: è ora di mettere le nostre piccole e medie imprese nelle migliori condizioni per poter crescere e confrontarsi ad armi pari con i concorrenti stranieri.
Presidente Piccola Industria Confindustria |