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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2006
 

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Commissione massimo
scoperto: rischio usura

Il Mediatore europeo:
i primi dieci anni di attivitÀ

Lo strumento dell’affidamento “in house”

Mobbing: ne soffrirebbero
dodici milioni di persone

Lo strumento
dell’affidamento “in house”


k Luigi D'ANGIOLELLA*

La P.A. non può sempre assegnare un
servizio direttamente alla società mista

Una società mista deve muoversi e operare sui mercati secondo logiche concorrenziali

l tema delle società miste ritorna in questa rubrica allo scopo di presentare alcune novità che, negli ultimi mesi, si stanno velocemente succedendo su di un tema assai sentito.
Come già detto in precedenza, questi nuovi soggetti che si affacciano sul mercato, godendo di indubbi privilegi, finiscono, però, per pregiudicare le imprese del settore ove operano, per avere un partner pubblico che quasi sempre è il loro “fornitore” principale.
Da più parti, specie in sede comunitaria, si sono, dunque, avviate serie riflessioni sulla possibilità per l'Ente pubblico di favorire la propria società mista con affidamenti “diretti” dei servizi comunali. Tale circostanza, peraltro, è stata in un recente passato avvalorata dalla giurisprudenza, per la quale l'affidamento diretto di un servizio alla società mista, di cui l'affidante è socio, è una maniera per svolgere i servizi pubblici ai sensi dell'art. 113 T.U. Enti Locali (sul punto, T.A.R. Campania, Prima Sezione, 30 aprile 2003 n. 4203). Sennonché, il Giudice Comunitario di recente è intervenuto più volte su tale questione per limitare notevolmente questa possibilità.
Con la recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea 13 ottobre 2005 in causa C-458/2003 “Parking Brixen”, si è confermata una linea secondo cui nel settore delle concessioni di pubblici servizi la gara pubblica è esclusa solo se il controllo esercitato sull'impresa affidataria dall'autorità pubblica concedente è “analogo” a quello che essa esercita sui propri servizi e se il detto ente realizza la maggior parte della sua attività con l'autorità detentrice.
Trattandosi di un'eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le due condizioni enunciate secondo la Corte debbono formare oggetto di un'interpretazione restrittiva, e l'onere di dimostrare l'effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene. La vicenda ha origine dalla scelta di un Comune italiano di affidare direttamente alcuni servizi di parcheggio ad una società per azioni dallo stesso ente partecipata totalmente. Tuttavia, tale decisione è stata impugnata dalla società Parking Brixen dinanzi al Tribunale amministrativo del Trentino Alto Adige, sezione autonoma per la provincia di Bolzano. A sua volta, tale Sezione ha rimesso gli atti alla Corte di giustizia Ce, chiedendo un pronunciamento pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 del Trattato Ce.
La soluzione individuata dalla Corte di giustizia, e di cui si è detto, è fondata su alcuni principi già affermati in altre occasioni dal medesimo Giudice. Il punto di partenza è rappresentato ovviamente dalla qualificazione dell'affidamento di un servizio di parcheggio pubblico a pagamento come concessione di pubblico servizio, sulla base del criterio, oramai consolidato, secondo cui è tale l'attività attribuita da una autorità pubblica ad un prestatore di servizi, quando quest'ultimo riceve un corrispettivo direttamente dall'utenza per le prestazioni rese. Ad avviso dei giudici comunitari, la natura di società in house non solo non è configurabile in presenza di una compartecipazione di soggetti pubblici e privati al capitale sociale, ma ciò può dirsi anche quando alla totale partecipazione pubblica si accompagnino alcuni elementi dai quali risulti una limitazione dei poteri di controllo da parte dell'ente locale sul soggetto incaricato del servizio. Si è stabilito che finanche quando la partecipazione dell'Ente pubblico alla società concessionaria è, quindi, totalitaria, ciò non significa un controllo di per sé assoluto. Ad esempio, fattori quali un oggetto sociale troppo ampio, la previsione obbligatoria della privatizzazione formale della società, la potenziale operatività dell'impresa su tutto il territorio nazionale e anche all'estero e, soprattutto, il riconoscimento statutario di ampi poteri gestionali in capo all'organo esecutivo esercitabili autonomamente e senza necessità di autorizzazione preventiva da parte del soggetto pubblico di riferimento, sono elementi che, secondo la Corte, rendono precario il controllo dell'Ente sulla società, con la conseguenza di non poterla considerare come rapporto di “controllo analogo” ai fini dell'applicazione del meccanismo dell'in house providing. In altre parole, la società mista non sempre è braccio operativo dell'Ente e, dunque, una minima autonomia d'impresa impone la gara. La evidente volontà di sottoporre ad una interpretazione restrittiva l'applicazione della dinamica dell'in house providing è una tendenza che sembra trovare ampi consensi e che finirà per influenzare anche i Giudici italiani, i quali in parte già si stanno muovendo in tal senso.
Non è difficile immaginare che in futuro la sentenza in commento avrà l'effetto di depotenziare lo strumento dell'affidamento in house a società miste. Con questo non si vuol dire che oramai è esclusa la possibilità di costituire società a totalitaria o maggioritaria partecipazione pubblica, cui affidare direttamente lo svolgimento di determinate attività di servizio, ma che le condizioni richieste per poter procedere in tal senso rappresenteranno forti limiti alla concreta realizzazione di tali soggetti.
Con riferimento all'esperienza italiana, poi, sarà complesso costruire tra l'ente e la società un rapporto di controllo tale da escludere qualsiasi autonomia della seconda rispetto al primo.
Un siffatto rapporto gerarchico tra i due soggetti presupporrebbe il ricorso ad un modello non sempre adeguato a governare amministrazioni pubbliche ed enti strumentali in forma di impresa.
Ed in più, andrebbe verificata la adattabilità di tali modelli, latamente pubblicistici, al nuovo diritto societario, che impone una perfetta coincidenza tra gestore e amministratore (art. 2380 bis C.C).
D'altra parte, la “stretta” della Corte Europea era, a mio avviso, auspicabile.
Una società mista si muove sul mercato e deve avere una logica di questo tipo: la partecipazione alle gare nel settore dei servizi pubblici è, infatti, il minimo comune denominatore delle imprese che agiscono in concorrenza.

Avvocato - studiodangiolella@tin.it

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