mission e prospettive dei Parchi Scientifici
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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
OTTOBRE 2004
 

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Mission e prospettive dei parchi scientifici
invito al confronto

mission e prospettive dei Parchi Scientifici
Invito al confronto
È necessaria una politica statale organica e complessiva

Remo Russo
Amministratore Delegato Parco Scientifico e Tecnologico di Salerno e delle Aree Interne della Campania ScpA
rrusso@pstsa.it



É di prossima pubblicazione, nella collana dei Quaderni di Ricerca del Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università degli Studi di Salerno, un lavoro della dottoressa Francesca D'Elia, Responsabile dell'Area Ricerca e Trasferimento del Parco Scientifico e Tecnologico di Salerno e delle Aree Interne della Campania (PST). Il lavoro, preceduto da una introduzione del professor Marcello D'Amato, docente di Istituzione di Economia Politica e Analisi Economica, nell'esaminare strumenti e metodi di misurazione dell'efficacia delle azioni di trasferimento tecnologico, propone un focus sulle attività svolte dal Parco ripercorrendone l’excursus storico e sviluppando statistiche e grafici circa i principali risultati da esso raggiunti. Se il framework proposto come metodo di rilevazione dell'efficacia delle azioni di trasferimento è un significativo contributo all'analisi delle attività condotte dal Parco, è, a mio avviso, la necessità di aprire un confronto sulla mission del Parco e sul suo divenire l'elemento centrale del lavoro di Francesca D'Elia.
Con tale convinzione, nel momento in cui
con forza si discute di Ricerca e Innovazione
e si invocano politiche e interventi strutturali,
lì dove sembra emergere un nuovo interesse al PST e alle sue nuove prospettive, sotto-
pongo, all'attenzione di quanti vogliano
contribuire, una prima riflessione sui Parchi Scientifici e Tecnologici, sul loro sviluppo, su criticità e fattori di successo, estraendo alcuni brani dal paper della dottoressa Francesca D'Elia:
«…dall'analisi del modello storico di Parco Scientifico e Tecnologico, emerge che, affinché esso abbia successo, risulta fondamentale che l'esperienza sia spontanea, sia promossa in un'area economicamente e strutturalmente già sviluppata, con la presenza forte e il ruolo centrale svolto dall'università o da un'altra istituzione di ricerca. Inoltre, il Parco si identifica con la presenza di ingenti infrastrutture legate alla produzione di ricerca scientifica e tecnologica. In effetti, queste condizioni erano coesistenti con un'altra caratterizzazione del modello storico di PST. Quella per cui il Parco (o i soggetti che vi operano all'interno) portava avanti l'obiettivo più o meno esplicitato di produrre tecnologia, ovvero di promuovere l'avanzamento delle conoscenze tecnologiche (e da qui il ruolo giocato dalle infrastrutture).
Come si è accennato, la spinta all'agglomerazione deriva dalla presenza di conoscenze tacite che non possono essere trasferite attraverso canali codificati. È la presenza di una componente tacita delle conoscenze che amplifica la necessità di interazione tra i diversi soggetti. La presenza di processi di learning by using e di learning by doing, infatti, ha evidenziato che un motore non trascurabile nel processo innovativo è dato dall'interazione tra ricercatori e utilizzatori dell'innovazione, tra enti di ricerca (università e altre istituzioni pubbliche) e soggetti industriali (e spesso anche con il consumatore o l'utente finale). ...La nuova ondata di Parchi Scientifici e Tecnologici, che ha caratterizzato dagli anni '90 sia i Paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione sia regioni all'interno dei paesi industrializzati (come nel caso del Mezzogiorno), ha dato avvio a una serie di esperienze che rispondono a obiettivi diversi da quelli del modello storico. Non si tratta più (o non solo) di favorire il migliore sfruttamento delle risorse conoscitive al fine di produrre tecnologie (di base) di avanguardia, ma di diffondere le tecnologie presso le aree locali con lo scopo di favorire e accrescere lo sviluppo economico generale (non solo tecnologico) della regione.
L'uso dello strumento Parco, allora, risulta mutato in quanto persegue due finalità differenti:
1. Uso anziché produzione di nuove tecnologie.
2. Sviluppo economico generale, anziché esclusivamente tecnologico, dell'area locale.
Il "nuovo modello di PST", dunque, si basa sull'assunzione principale che un Parco Scientifico punti principalmente all'uso della tecnologia fungendo in primo luogo da liason con i centri internazionali dove vengono create e identificate le nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche.
Ritorna, dunque, importante il concetto di rete di integrazione e cooperazione per l'innovazione evidenziato in precedenza.
In linea con tali orientamenti, il programma di intervento nazionale per la costituzione dei PST nel Mezzogiorno. In riferimento alla struttura del Parco, infatti, si ritrovano molte delle indicazioni più sopra evidenziate. La focalizzazione sul trasferimento tecnologico e sul sostegno all'adozione di capacità innovative da parte delle imprese che operano sul territorio di riferimento, l'apertura internazionale richiesta ai progetti, l'importanza attribuita ai servizi reali da offrire alle imprese (commercializzazione, finanza, coordinamento e controllo), l'accento posto sulla criticità della formazione del capitale umano, individuano un modello di Parco Scientifico che non vede come elemento prioritario la creazione di "vuoti contenitori" ma di "contenuti essenziali".
Quando, dunque, negli anni '80 l'idea di Parco Scientifico e Tecnologico si andava diffondendo in quasi tutti i paesi industrializzati, anche l'Italia vedeva partire le sue prime esperienze (Area Science Park nel 1982 e Tecnopolis Novus Ortus nel 1985). Da quel momento, e con una certa accelerazione, la volontà di creare e sviluppare strutture simili si è andata sempre più diffondendo nelle diverse regioni e nelle diverse aree del paese.
L'elemento singolare è che mentre nei maggiori paesi esteri le iniziative realizzate si caratterizzano per un certo grado di omogeneità e per una certa coerenza di sviluppo, tanto da far emergere precisi stili di PST (quello anglosassone - che vede la spinta iniziale dell'Università -, quello francese - che vede la spinta iniziale della collettività locale -, quello tedesco - che vede i PST come agenzie soft - e quello giapponese -che vede la spinta iniziale nel Governo centrale -), nel caso italiano, al contrario, si può osservare una certa disomogeneità. Ciò che in ultima istanza appare evidente è che manca una politica statale organica e complessiva alla quale le diverse esperienze possano richiamarsi».

 

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