ARTIGIANI E BANCA MONTE DEI PASCHI
UN’OPPORTUNITÀ DA COGLIERE AL VOLO
L’APERTURA
DEL MERCATO CINESE
UNA SFIDA STIMOLANTE PER IL PAESE
L’APERTURA DEL MERCATO CINESE
UNA SFIDA STIMOLANTE per il PAESE
Un’indagine sul rapporto tra
la nostra imprenditoria e l’immensa nazione asiatica
Sàntolo
Cannavale
Esperto Mercati Finanziari
s.cannavale@virgilio.it
Le considerazioni sull'economia mondiale offrono sempre
maggiore spazio alla crescita registrata nei paesi emergenti. In
presenza di una robusta ripresa mondiale (con l'eccezione dell'Europa),
di prezzi delle materie prime ai massimi storici, di una quantità di
moneta circolante molto elevata, ci sarebbero tutte le condizioni per assistere
ad una ripresa dell'inflazione. All'assenza di aspettative inflazionistiche
di lungo periodo si collegano, tra l'altro, bassi tassi d'interesse.
Molti ritengono che questo sia conseguenza della forza produttiva cinese.
Spiegazione condivisibile solo in parte. Enzo Rullani, dell'Università Ca'
Foscari Venezia richiama l'attenzione sui tre grandi newcomers (nuovi competitori)
dell'economia globale (Cina, India, Russia) che continuano a crescere
a tassi consistenti - dal 6 all'8% annuo - mentre gli Stati Uniti potranno
arrivare a metà e l'Europa a un terzo e anche meno. Dunque l'aggressività commerciale
cinese è solo la punta di un iceberg. Dietro di essa si intravede
una diversa geografia della crescita mondiale, mossa da forze rilevanti
che non si fermeranno al variare della congiuntura. I tre giganti
si fanno avanti con le immense riserve di lavoro, di spazi e di ambiente
a basso costo di cui dispongono, mentre l'Occidente sta perdendo il monopolio
dell'economia della conoscenza su cui si è basata, finora, la divisione
del lavoro a scala mondiale. Conoscenze e tecniche produttive passano,
sempre più rapidamente,
ai nuovi venuti. L'Unione degli industriali di Padova ha spostato
l'attenzione sulla percezione (e l'esperienza) che della Cina hanno gli
imprenditori e ha effettuato una ricerca su un campione di 500 imprese.
L'indagine fa il punto sull'esperienza diretta degli imprenditori con la
Cina e le sue prospettive, sulla dimensione del fenomeno della concorrenza
sleale e il suo impatto sul fatturato delle imprese, sulle opinioni degli
imprenditori circa le strategie di contrasto alla concorrenza cinese e
infine, sul tipo di ruolo atteso dall'associazione di rappresentanza. La
distribuzione del campione per classe di addetti e fatturato riproduce
fedelmente l'universo di riferimento: il 72,8% è composto da aziende
con meno di 50 addetti (16,7% fino a 9 addetti; 23,2% da 10 a 19; 32,9%
da 20 a 49); il 44% da aziende con fatturato fino a 4 milioni di euro,
il 29,5% da 4 a 10 milioni, il 23,5% da 10 a 50 milioni; il 3% fattura
oltre 50 milioni di euro. L'apertura internazionale delle imprese padovane
e del Nord Est trova nei dati dell'indagine puntuali conferme: 7 imprenditori
su 10 (72%) intrattengono rapporti con i mercati esteri. La quota di fatturato
realizzata da queste aziende all'estero è in
media del 42%. La pressione competitiva dei prodotti cinesi è avvertita
soprattutto dal sistema moda (78,9%), calzature (75%), gomma e materie
plastiche (52,2%), legno e arredo (43,5%), comparto metalmeccanico
(24,1%). Il ruolo di crescente rilievo del mercato cinese è confermato
dal fatto che il 21,4% delle imprese intrattiene già rapporti economici
con il paese orientale. Una percentuale che sale al 29,6% nel metalmeccanico
e al 23,5% nell'alimentari e bevande, mentre è di poco inferiore
nella gomma e materie plastiche (21,2%) e nel sistema moda (19,4%).
La presenza sul mercato cinese cresce, soprattutto, in relazione alla dimensione
d'impresa: si passa dal 15,1% nelle imprese fino a 50 addetti, al
28% nella fascia fra 50 e 100 addetti, al 35,9% fra 100 e 250. Le aziende
con oltre 250 addetti intrecciano quasi tutte affari con la Cina (80%).
Questi rapporti sono, prevalentemente, di natura commerciale: il 40,2%
delle imprese esporta direttamente in Cina e il 39,3% importa prodotti
dal paese orientale. Il 16,85 dichiara di svolgere attività commerciale
tramite agente o distributore cinese, il 9,3% tramite un proprio ufficio
di rappresentanza in Cina. Con riferimento agli investimenti diretti, ben
il 10,3% delle imprese è presente in Cina con una o più unità produttive,
di cui 7,5% a capitale interamente italiano, il 2,8% in joint-venture
con imprese cinesi. Tra le imprese che superano i 100 addetti, il 20% produce
direttamente in Cina. Per le imprese che esportano in tale mercato,
questo rappresenta già in media il 7,5% del fatturato, mentre le
importazioni dirette dalla Cina incidono per il 17,3%. Relativamente alle
imprese esportatrici, il sondaggio ha rilevato i principali ostacoli alla
penetrazione dei prodotti in Cina: i maggiori problemi sono collegati alla
presenza di dazi doganali troppo elevati (26%) e alla scarsa chiarezza
delle norme (24%). Oltre la metà degli imprenditori (54%) ha segnalato,
fra le altre problematiche, la lunghezza dei tempi di contrattazione, la
difficoltà dovuta ai
prezzi di vendita, che si configura a volte come concorrenza di prodotti
simili o addirittura clonati. Fra le aziende già presenti in Cina,
otto su dieci operano con un proprio marchio di produzione (78,5%),
a significare che non si tratta di rapporti commerciali sporadici, ma di
relazioni tendenzialmente stabili. Di queste, il 44% si è tutelato
dalla contraffazione del marchio: o attraverso l'estensione della sua validità (14,3%),
o con la sua registrazione in Cina (29,8%). A fronte di queste valutazioni,
che sembrerebbero tracciare un quadro positivo delle relazioni economiche
con la Cina, vengono evidenziati anche i lati negativi. Un imprenditore
su quattro afferma che la propria azienda è già stata danneggiata
dalla concorrenza cinese (24,2%), che comprime i margini e i volumi
di vendita ottenibili sul proprio mercato. Un ulteriore 30,8 per cento
ritiene che potrà essere danneggiato in futuro. Il settore merceologico
influisce sensibilmente sull'esposizione alla concorrenza cinese: è il
sistema moda il più esposto (41,7%), seguono gomma e materie plastiche
(36,4%) e metalmeccanico (28,1%). L'impatto sui volumi di vendita
assume valori non marginali. Fra le aziende danneggiate, 1 su 5 (19%) dichiara
nell'ultimo anno una riduzione del fatturato di oltre il 20% per
effetto della concorrenza cinese. Per il 30,6% la perdita è stata
dal 5 al 20%, per il 28,1% fino al 5%. Tale problema si pone soprattutto
per chi sfida i cinesi sul loro stesso mercato oppure intreccia i propri
affari con il paese orientale. Oltre metà delle aziende (55%) vede
come problema la presenza sul mercato dei beni prodotti in Cina, per più motivi,
fra i quali spicca la competitività in termini di prezzo, dovuta
ad una serie di fattori noti: bassissimo costo del lavoro, assenza
di vincoli relativi al rispetto dell'ambiente, alla qualità e sicurezza
dei prodotti e alla tutela dei lavoratori, disponibilità di una
moneta super svalutata (dumping). L'esperienza, diretta o indiretta, con
la Cina concorre dunque a formare negli imprenditori un sentimento ambivalente:
da un lato la percezione delle opportunità offerte dal "risveglio" cinese
dall'altro il timore per le minacce portate alle imprese e all'economia
nazionale, soprattutto di prezzo. Qual è la strategia più efficace
per contrastare questa concorrenza? Gli imprenditori si dividono
quasi a metà: il 48,5% ritiene che si debbano proteggere i prodotti
e le imprese italiane, il 51,5% pone invece l'accento sull'aumento di competitività dell'
economia nazionale e indica nel mercato il luogo dove affrontare
le sfide lanciate da Pechino. Il 41% chiede di aumentare la competitività del
sistema produttivo italiano, ma solo il 24,2% invoca il rafforzamento
dei dazi doganali sui prodotti importati dalla Cina. Per il 13% è necessario
stringere accordi con la Cina per la libera circolazione delle merci,
formula che sottende la necessità di rilanciare, e in parte ridefinire,
il nostro sistema produttivo, attraverso investimenti in innovazione,
sviluppo tecnologico, combinati a una maggiore qualità dei prodotti.
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